RECENSIONE A CURA DI ORNELLA MALLO ALLA SILLOGE “PAROLE DI ORA, PAROLE DI ALLORA”, DI GIULIA MARIA BARBARULO

Il Convivio ed., 2022. Ne “L’arte della metafisica” Giorgio De Chirico scriveva: “Si può concludere che ogni cosa abbia due aspetti: uno corrente, quello che vediamo quasi sempre e che vedono gli uomini in generale, l’altro lo spettrale o metafisico che non possono vedere che rari individui in momenti di chiaroveggenza e di astrazione metafisica, così come certi corpi occultati da materia impenetrabile ai raggi solari non possono apparire che sotto la potenza di luci artificiali quali sarebbero i raggi x.” Esattamente come i raggi x di cui parla il pittore, la poesia di Giulia Maria Barbarulo non si ferma dinanzi alla barriera che oppone il materialismo della società di oggi alla scoperta dell’intima essenza delle cose, inducendo le persone a gettare “occhiate brucianti, di superficie”, ma la oltrepassa dando parola a ciò che sta oltre, al metafisico che pervade il cosmo intero: la poetessa dà voce all’anima che è presente perfino nei ciottoli e che, discendendo da Dio, è divina. Nella poesia “Di oro e di blu”, in cui spiega il senso della sua poetica, la Barbarulo scrive: “Il divino è dentro di noi. / Lo capirono i poeti che questo suolo baciarono / e lo cantarono stregati.” E aggiunge: “Tra loro appagavano l’animo / e ritrovavano il rumore del loro tempo”. Dunque i poeti colgono sì la dimensione immateriale che è dentro di loro e dentro l’universo di cui sono consapevoli di essere soltanto una piccolissima parte, ma non sono distaccati dai tempi in cui vivono, anzi ne sono immersi, e si fanno interpreti del vociare della gente comune, da cui si discostano nella misura in cui disapprovano l’approccio barbaro e violento degli uomini di oggi all’altro da sé e alla Natura. La poesia della Barbarulo rivela di essere non frutto di artificio e di altisonante retorica avulsa dalla realtà, ma al contrario, un’impietosa analisi dei tempi che stiamo vivendo, ricca di riflessioni profonde e propositive. Tiene conto dei cambiamenti operati nella nostra società dall’avvento del Covid: alla resa dei conti, per la poetessa l’irruzione del virus non è stata vissuta come un’occasione per migliorare i rapporti umani, e per imprimere loro una virata verso modalità altruistiche e solidali, ma, al contrario, ha confermato la natura egoistica dell’uomo moderno, la sua indifferenza e insensibilità: “Ci dividono spartiacque / di solitudine / e profondità carsiche di dolore”. Tante le poesie scritte dalla Barbarulo sul tema, in cui si passa dalla condanna nei confronti di coloro che hanno abbandonato i loro animali per strada temendo che potessero contagiare il Covid, alla riflessione sulla freddezza dell’uomo cibernetico, che usa gli strumenti sofisticati di oggi per continuare a dichiarare guerre contro i propri simili, esattamente come in passato. In “C’era una volta nel cuore” la poetessa scrive: “Siamo progrediti, / siamo civili / -esordisce- / E la guerra? –incalzo / io dal mio canto- / […] E, il discernimento, / capacità solo dell’uomo. / Mi guarda, incredulo / e non risponde al fuoco.” L’impegno civile che la poetessa assolve attraverso le sue liriche non si limita alle riflessioni sul Covid 19 e sulla guerra, ma si esplicita anche nella condanna ​nei confronti della deforestazione perpetrata in Amazzonia, e nei confronti del barbaro omicidio di Willy Monteiro Durante avvenuta nel settembre del 2020. Nei suoi versi la Barbarulo esprime la sua riprovazione verso “Le tristi passioni e / il colpevole, indifferente silenzio.” Ma la poesia ha anche il compito di indicare la strada che conduce verso un mondo migliore: per l’autrice l’unica forza capace di irrigare le forre disseccate dall’arsura dei nostri tempi è l’amore. In primis l’amore verso Dio, la cui voce va ascoltata: essa pervade tutto il creato che di Lui è un’emanazione non scissa, ma parte integrante. Nella poesia “Naufragio”, rivolge un’accorata preghiera alla Madonna affinché “incammini per sentieri celesti / noi, funamboli privi di cielo”; e nella poesia “A cielo aperto” scrive: “noi grani allogliati, / illusi, dietro venditori di fumo, / ideatori di ingannevoli idolatrie.” Individua un’altra via di uscita da questa situazione di stallo nell’amore verso la Natura: nella poesia “Natura naturans” scrive: “Busserò a tutti i cuori, / a tutte le porte del tempio alla soglia dell’infinito, / perché tu possa vivere. […] E’ da te, occulta e mistica, / che viene la vita.” E per finire, nell’amore verso l’altro da sé, non solo spirituale, ma anche carnale, come leggiamo in “Dopo il dolore”: E’ memoria l’amaro di bruciato. / Irrompe la vita / in un cantar di baci.” La vita confluisce in tutti i suoi aspetti nelle poesie che compongono la silloge: la poetessa si sofferma sul dolore che la intride e sulla volatile felicità; sul tempo che scorre veloce e sulla necessità di una lentezza che permetta di fermarsi a riflettere per afferrare il senso delle cose; sul senso di eterno che pervade il suo perpetuarsi e sulla finitezza impressa dalla morte: “E’ indefinibile la vita. / Coi desideri, coi sentimenti / o senza. / E’ un tremito che ci possiede / con lo stigma della fine.” E ancora, compie un’approfondita analisi sull’umbratile natura umana e sull’io, “profondo e criptico”, sfuggente persino a sé stessi: “Non potrai né saprai / mai leggere il mio cuore, / bugnato in punta di diamante.” E se la vita, come scrive nella poesia “Luna d’Oriente”, “è un andare a capo”, lo strumento necessario affinché irrompa la primavera è l’arte. La poetessa dà ampio risalto al potere salvifico della musica, in particolare della musica sacra, autentico “tedoforo di Dio”, che “c’immette nell’inaccessibile / e nell’oltre.” E sottolinea la forza rigenerante delle parole, cui fa riferimento nel titolo che dà alla silloge: “Parole di ora, parole di allora”, pubblicata nel giugno 2022 da “Il Convivio Editore”: “Non più parole assenti, spente, / dirupi tenari, / ma vibranti suoni / di sistro al vento, / al profumo di mille fiori. / L’amore. / La sciara di fuoco, / bruciante e luminosa, / del nostro essere.” La forma che la poetessa sceglie per rivestire la sua poesia è classica: confluisce in essa la profonda conoscenza che l’autrice ha della cultura greca e delle Sacre Scritture. I termini sono forbiti e ricercati, al fine di conferire raffinata eleganza e musicalità alla scrittura, mai banale, sempre profonda, fonte inesauribile di interrogativi e riflessioni. Definirei la poesia della Barbarulo anche visionaria e cromatica: i versi mostrano a tratti il colore dell’oro fulgente del Sole e delle stelle, il rosso sangue della luna, metafora dell’amore, le policromie dei fiori e degli arcobaleni, e i grigiori delle ardesie insieme al nero fiammante delle ossidiane, a loro volta metafore del dolore scaturente dal male e dalla morte. Senz’altro, nel panorama di oggi, così drammaticamente infestato da banali ovvietà, la poesia della Barbarulo si distingue positivamente per la sua forte identità e per i suoi propositi innovativi.

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nei confronti della deforestazione perpetrata in Amazzonia, e nei confronti del barbaro omicidio di Willy Monteiro Durante avvenuta nel settembre del 2020. Nei suoi versi la Barbarulo esprime la sua riprovazione verso “Le tristi passioni e / il colpevole, indifferente silenzio.” Ma la poesia ha anche il compito di indicare la strada che conduce verso un mondo migliore: per l’autrice l’unica forza capace di irrigare le forre disseccate dall’arsura dei nostri tempi è l’amore. In primis l’amore verso Dio, la cui voce va ascoltata: essa pervade tutto il creato che di Lui è un’emanazione non scissa, ma parte integrante. Nella poesia “Naufragio”, rivolge un’accorata preghiera alla Madonna affinché “incammini per sentieri celesti / noi, funamboli privi di cielo”; e nella poesia “A cielo aperto” scrive: “noi grani allogliati, / illusi, dietro venditori di fumo, / ideatori di ingannevoli idolatrie.” Individua un’altra via di uscita da questa situazione di stallo nell’amore verso la Natura: nella poesia “Natura naturans” scrive: “Busserò a tutti i cuori, / a tutte le porte del tempio alla soglia dell’infinito, / perché tu possa vivere. […] E’ da te, occulta e mistica, / che viene la vita.” E per finire, nell’amore verso l’altro da sé, non solo spirituale, ma anche carnale, come leggiamo in “Dopo il dolore”: E’ memoria l’amaro di bruciato. / Irrompe la vita / in un cantar di baci.” La vita confluisce in tutti i suoi aspetti nelle poesie che compongono la silloge: la poetessa si sofferma sul dolore che la intride e sulla volatile felicità; sul tempo che scorre veloce e sulla necessità di una lentezza che permetta di fermarsi a riflettere per afferrare il senso delle cose; sul senso di eterno che pervade il suo perpetuarsi e sulla finitezza impressa dalla morte: “E’ indefinibile la vita. / Coi desideri, coi sentimenti / o senza. / E’ un tremito che ci possiede / con lo stigma della fine.” E ancora, compie un’approfondita analisi sull’umbratile natura umana e sull’io, “profondo e criptico”, sfuggente persino a sé stessi: “Non potrai né saprai / mai leggere il mio cuore, / bugnato in punta di diamante.” E se la vita, come scrive nella poesia “Luna d’Oriente”, “è un andare a capo”, lo strumento necessario affinché irrompa la primavera è l’arte. La poetessa dà ampio risalto al potere salvifico della musica, in particolare della musica sacra, autentico “tedoforo di Dio”, che “c’immette nell’inaccessibile / e nell’oltre.” E sottolinea la forza rigenerante delle parole, cui fa riferimento nel titolo che dà alla silloge: “Parole di ora, parole di allora”, pubblicata nel giugno 2022 da “Il Convivio Editore”: “Non più parole assenti, spente, / dirupi tenari, / ma vibranti suoni / di sistro al vento, / al profumo di mille fiori. / L’amore. / La sciara di fuoco, / bruciante e luminosa, / del nostro essere.” La forma che la poetessa sceglie per rivestire la sua poesia è classica: confluisce in essa la profonda conoscenza che l’autrice ha della cultura greca e delle Sacre Scritture. I termini sono forbiti e ricercati, al fine di conferire raffinata eleganza e musicalità alla scrittura, mai banale, sempre profonda, fonte inesauribile di interrogativi e riflessioni. Definirei la poesia della Barbarulo anche visionaria e cromatica: i versi mostrano a tratti il colore dell’oro fulgente del Sole e delle stelle, il rosso sangue della luna, metafora dell’amore, le policromie dei fiori e degli ​arcobaleni, e i grigiori delle ardesie insieme al nero fiammante delle ossidiane, a loro volta metafore del dolore scaturente dal male e dalla morte. Senz’altro, nel panorama di oggi, così drammaticamente infestato da banali ovvietà, la poesia della Barbarulo si distingue positivamente per la sua forte identità e per i suoi propositi innovativi. Ornella Mallo