di Ornella Mallo 30/05/ 2022

Leggendo la silloge “Quello che non so di me” di Antonietta Gnerre, mi è venuta in mente la lirica “Il Sud” di Borges, in cui il poeta spiega cos’è per lui la poesia. Scrive: “Da uno dei cortili aver guardato / le antiche stelle, / dal sedile in / ombra aver guardato / quelle luci disperse / che la mia ignoranza non ha imparato a nominare / né a ordinare in costellazioni, / aver sentito il cerchio dell’acqua / nella segreta cisterna, / l’odore del gelsomino e della madreselva, / il silenzio dell’uccello addormentato, / l’arco dell’androne, l’umidità / – tali cose, forse, sono la poesia.” O anche ciò che scrive di sé la poetessa Alejandra Pizarnic: “Io ero predestinata a nominare le cose con nomi essenziali.” O Neruda, nella lirica “La poesia”: “Io non sapevo che dire, la mia bocca / non sapeva / nominare”. Dare un nome a tutte le cose significa riconoscerle nella loro identità: sia quelle che si vedono, ma soprattutto a quelle che non si vedono ma che non per questo non esistono, anzi racchiudono l’essenza della vita stessa. Questa è l’esigenza primaria della poesia, e del poeta in quanto tale. Non a caso la prima sezione di questa silloge si intitola “La misura dei nomi”. “Ecco i nostri nomi, pensieri che fanno rumore. / Pensieri che diventano un esercito di pensieri. / Che forse un giorno prenderanno / altre direzioni.” scrive. E delle nuvole, nella poesia “A Vincenzo D’Alessio”, dice che “Impareranno a chiamare per nome / le spighe che dormono. / A proteggerle dalla morte che le osserva. “ : evidente metafora di quanto abbiamo scritto. Leggiamo: “Chiedo alla poesia, / adesso che ti attraversa come una luce, / di consegnarti l’immagine vera di me / come la vita di una pianta. / Rileggerai tutti i versi che ho sottolineato. / Non mi nasconderai più come un segreto. / Guarderai la vocazione della mia povertà, / il mio ultimo risveglio. / Ecco, vorrei che le poesie della mia vita / ti fossero amiche. / Che il tralcio che ora stai fissando / fosse immortale come ciò che ho letto. / ” In questa lirica sono contenuti tutti gli elementi salienti della sua poetica: a cominciare dall’esigenza di dare un nome alla realtà che la circonda e che lei interiorizza facendola propria, proseguendo poi con il rapporto intimo che la poetessa ha con la natura, che ricorda il panismo dannunziano de “La pioggia nel pineto”; fino poi a slargarsi abbracciando il mondo in cui vive, spesso cinico al punto da diventare crudele, invitandolo a virare verso una dimensione umana di carità. Queste, dunque, sono le tematiche affrontate nella raccolta, il cui titolo parla della ricerca che la Gnerre conduce verso verso quella parte di se che non ha un nome, che sfugge alla possibilità di essere identificato, e che però fa parte del suo essere in modo non marginale, ma incisivo e determinante. Leggiamo: “Quello che non so di me / è superiore alla pioggia. / Si rifiuta di cadere. / E’ una bellezza che resiste / al buio dei temporali. / E’ una piccola follia / che si ferma sopra le curve / della massa informe delle strade. / Quello che non so di me / conta gli anni dei fiumi, / tutte le mani che hanno lavato / le lenzuola. E le cose ferme a terra / tra gli abbracci delle piante. / C ’è remissione nel naufragio dei miei occhi. / C’è supplica nel prestare attenzione / alle cose che mi mancheranno. “ L’attenzione è un altro elemento fondamentale della sua poetica: attenzione minuziosa rivolta al paesaggio dell’Irpinia, di cui dice che “somiglia all’universo”: un paesaggio così intriso delle emozioni della poetessa, da formare un tutt’uno con il suo mondo interiore. Specchio e proiezione al tempo stesso dei suoi stati d ’animo , da un lato; e dall’altro, un mondo vivo di suo, che con lei comunica fino a trasfondersi. Fa da sfondo paesaggistico anche la spiaggia di Pescoluse, luogo da lei “amato senza ritegno”. Posti in cui la poetessa ha vissuto e vive, e di cui intercetta e accoglie tutti gli elementi costitutivi come esseri viventi : dagli alberi al mare, dai delfini alle stelle, dalle nuvole alle foglie e alle montagne . Scrive la Gnerre: “Ora ogni forma vivente passa nell’imbuto del presente / e trova il suo posto. / Come io trovo il mio in te.” Questo verso è emblematico, perché da ​esso affiora un altro protagonista della silloge, che è il “tu” umano, cui la poetessa continuamente si rivolge, come a dire che tutto ciò che si apprende grazie all’osservazione del mondo circostante , non ha senso se non include l’ altro da sé: dunque la vita non va vissuta all’insegna di un ripiegamento solipsistico su sé stessi , ma deve essere abbraccio che accoglie tutta l’umanità. “Tu riproduci il punto esatto dell’amore”, scrive. Un abbraccio materno, pieno di un amore che è comprensione e compassione, nel significato più nobile di questi termini. La poetessa, nella lirica dedicata a Pasolini, si definisce “Madre di un figlio e di figli mai nati”, ma questa definizione è riduttiva. Non è solo madre del proprio figlio, Mario, di cui scrive: “Quello che mi piace del tuo nome / è ciò che non è stato nei secoli. / Da bambino ti svegliava / quando non sapevi parlare.” E’ madre anche di George Stinney, che ricorda nella poesia che conclude la silloge, condannando la sua esecuzione capitale. Di lui scrive che “continua a illuminarci. / Osserva i pensieri di chi è innocente.” E’ madre del bambino che cade dal barcone in un’acqua “ profonda più del dolore”, “ cercando un abbraccio ” . Scrive : “Ora è il tuo tempo. / Devi riemergere. / Abbraccio dopo abbraccio, / indumento dopo indumento. / In alto ci sono i frammenti del tuo presente. / La resistenza della tua memoria. / E’ ora di cercarti nel futuro. “ Leggiamo anche: “Maggio ritornava a riesumare / l’accordo di una preghiera: / trasformare l’odio in amore. / Benedire i nemici, amare i nemici. “ Dunque la poesia della Gnerre ha un chiaro impegno civile , dal momento che invita gli uomini a essere umani, e a non consentire i genocidi e le efferatezze che contrassegnano le società di tutti i tempi, soprattutto quella di oggi , in cui si assiste a un’ indifferenza diffusa verso i bisogni dei più deboli, che dimostra come non sia stato imparato nulla dalla storia passata. Il tema del ruolo della memoria nella costruzione di sé e del mondo presente fino a modificarlo, ricorre prepotentemente in tutta la silloge: si va dalla memoria di tutto ciò che la poetessa ha vissuto singolarmente e come donna del suo tempo, alla memoria di tutti gli uomini, che non va mai accantonata. Scrive: “C’è una cosa davanti a me, / che si accumula come una promessa. / Cammina lenta come una radice / ama i miei passi /, la valigia bianca, / la metamorfosi delle mie spalle . / Di colpo la cerca il sole, ciò che non è trascorso: / il ritratto di una montagna / liberata dalla neve. / Questa cosa ha fede nella parola memoria. / E’ un dono, mi abbraccia, perdona le assenze, le parole superbe. / […] Dicono che sia un’ombra. / Io rispondo che è l’abito / che trasforma il mio corpo / quando vado in giro.” O anche “Lo sai / i ricordi sono sentinelle invisibili / che guardano il cielo.” I versi della poetessa sono densi ed eleganti nella loro semplicità. Non ci sono termini ridondanti, il lessico è semplice, ma non per questo poco curato, anzi: la parola viene esaltata in tutte le sue potenzialità, facendo affiorare tutto ciò che si cela dentro l’universo visibile. Ricorda molto la poesia della Campo, dalla Gnerre stessa citata ad esergo di una delle sezioni della silloge. Concludiamo queste note di lettura, citando versi che più degli altri racchiudono il suo credo poetico, e che sono auspicio di una vita vissuta intensamente, dinamica e non conchiusa in sé stessa ; di un mondo accogliente e materno, femminile, come è lei nella sua scrittura: “Credo nel pane della vita e in quello della rinascita. / Nella forma che si abbraccia di nascosto all’alba, / come una preghiera che sa attendere. / Credo negli esseri felici, quelli che insegnano a sorridere, / a guardare con ammirazione un animale nel bosco. / A piangere di gioia per il salto dei pesci nel mare. / Io amo il pane che è stato impastato / dalle donne della mia famiglia. / Credo nel pane dei secoli / come una promessa d’amore con la terra, / con le montagne, con il mare. / E cammino nei giorni di pioggia / e in quelli del sole come se fossero / gli ultimi giorni di questo mio viaggio.”​

(fonte immagine: associazioneorizzonti.it)