Sembrava che tutto fosse stato risolto o che si fosse dimenticato. Invece adesso dopo che il dimenticatoio si è protratto nei limiti del possibile ecco che i nodi  vengono al pettine. Stiamo parlando della strage di via D’Amelio dove morì Paolo Borsellino e tutti i componenti della sua scorta. Si può benissimo dire che oltre alla beffa di processi farlocchi adesso arriva anche il danno con la richiesta da parte degli imputati scagionati di un risarcimento di ben cinquanta milioni di euro. Subito dopo la strage gli organi investigativi si premurarono di dare un colpevole in pasto alla opinione pubblica costruendo un pentito farlocco che risponde al nome di Vincenzo Scarantino piccolo malavitoso del rione Guadagna, il quale più volte ha fatto dichiarazioni di un suo coinvolgimento nell’organizzazione della strage e tra ammissioni e ritrattamenti apparve chiaro a tutti che il soggetto in questione non era per niente affidabile soprattutto quando accusava mafiosi di grosso calibro, tra l’altro smentito da storici pentiti del calibro di Santino Di Matteo, Giovanni Brusca e Totò Cangemi. Ma agli inquirenti non interessavano le contraddizioni dello Scarantino, i pareri dei pentiti storici e neanche il grido disperato della di lui consorte, quando durante i primi giorni di arreso del marito dichiarava ai quattro venti che “Enzino” con la strage non c’entrava nulla e che, si, era un malavitoso, ma di basso rango, un ladro di gomme d’auto che non poteva avere organizzato una cosa tanto grande. Scarantino è stato un pentito costruito bello e buono a suon di vessazioni e violenze anche davanti alla moglie ed ai figli piccoli dalla squadra di poliziotti guidata dal questore Arnaldo La Barbera poi deceduto nel 2002.  Vincenzo Scarantino è stato continuamente imbeccato e costretto prima ad autoaccusarsi della strage come colui che procurò la 126 imbottita di tritolo e poi utilizzato come pentito atto ad accusare mafiosi di spicco nel ghota mafioso. Dalle sue finte dichiarazioni sono stati arrestati Cosimo Vernengo, Gaetano Murana, Giuseppe La Mattina, Gaetano Scotto e Natale Gambino  e dopo ben quattro processi si è potuto stabilire una verità processuale. Con le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza si è stabilita la falsità dello Scarantino e i cinque sono stati riconosciuti innocenti e messi fuori dalla galera. Adesso costoro partono all’attacco dello stato chiedendo di essere risarciti con ben cinquanta milioni di indennizzo, soldi che purtroppo verranno fuori dalle tasche dei contribuenti italiani, mentre dovrebbero essere scuciti da coloro che ordirono il depistaggio della strage avallando le dichiarazioni di Vincenzo Scarantino. Giudici, poliziotti e collusi vari che in quel tempo guidavano il picciotto della Guadagna dovrebbero adesso chiarire i motivi della loro avallo. Dovrebbero dire a quali ordini ubbidivano e perché hanno agito in questo modo, attentando e cospirando contro la sicurezza dello stato.

Liborio Martorana

 

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