Nel 1998 Josè Saramago pubblica il romanzo “Cecità” (nell’originale portoghese “Saggio sulla cecità”). Vi si racconta che in una città capitale di un paese imprecisato si manifesta una epidemia: tutti diventano velocemente e progressivamente ciechi; in tale situazione, invece della solidarietà tra bisognosi, si instaurano rapporti di terrore e sudditanza. Una sola donna rimane immune dall’epidemia e testimonia ciò che accade, uccide il capo dei ciechi malvagi e guida un gruppo di ciechi fuori dal manicomio lager dove erano rinchiusi. Questa piccola comunità rimane unita come nucleo della rinascita mentre l’epidemia scompare.

Nello stesso anno 1998 a Saramago viene attribuito il premio Nobel per la letteratura.

Nel 2004 Saramago pubblica il romanzo “Saggio sulla lucidità”: nella stessa città, quattro anni dopo i fatti narrati in “Cecità”, si tengono le elezioni dove l’85% degli elettori vota scheda bianca; il potere (governo, partiti, presidente della repubblica), invece di interrogarsi sulla distanza che lo separa dal popolo e che ha prodotto il risultato inatteso, attribuisce il risultato delle votazioni a un complotto innescando una spirale punitiva e di repressione che giunge a livelli incredibili (dichiarazione dello stato d’assedio, organizzazione di attentati di stato, innalzamento di muri) alla ricerca di un colpevole inesistente, finché una lettera delatoria accusa la donna protagonista di “Cecità” (già una volta anomala e assassina) come responsabile della ribellione delle schede bianche. L’individuazione del capro espiatorio contro ogni evidenza (neanche l’ispettore incaricato dell’indagine crede a questa montatura) innesca il meccanismo che porta al finale.

Ognuno potrà trovare analogie con la storia contemporanea, e riflettere sui meccanismi del mondo nel quale esercitiamo (o crediamo di esercitare) ogni giorno la nostra libertà. Saramago ce ne offre l’occasione; come i grandi scrittori, non propone soluzioni prestabilite; qualsiasi sia l’epilogo scelto non ha la minima intenzione di dare giudizi morali, piuttosto di porre interrogativi.

 

Fabrizio Vasile