04/04/2024

Scriveva William Blake: “Ho cercato Dio e non L’ho trovato. Ho cercato la mia anima e non l’ho trovata. Ho cercato mio fratello e li ho trovati tutti e tre.” In questa citazione si raddensa la silloge “Pensieri in movimento” di Rosa Maria Chiarello. Le poesie di questa raccolta sono un autentico “Grido d’amore”: nella lirica così intitolata, leggiamo: “nell’immensità del tempo / si nutre l’amore, / il mio langue / sui bordi delle strade / o lungo i margini di fiumi inesplorati”. I pensieri della Poetessa si muovono verso l’Altro, troppo spesso ignorato e rinnegato esattamente come Cristo: “Cristo in Croce /deriso e beffeggiato / […] Muore quando nostro fratello / ci tende la mano / e indifferenti volgiamo lo sguardo.” Nel prossimo la poetessa non trova solo Dio, ma anche sé stessa, intanto perché dal servizio verso l’Altro ricava il senso dell’esistenza; e poi, perché è possibile conoscere sé stessi soltanto attraverso il confronto con un ‘tu’. Scrive: “Mostrami te ed io sarò nuda / come un bimbo appena nato, / quando il primo vagito / illumina il buio delle menti.”

È la stessa Autrice a usare la parola “cammino” nei ringraziamenti posti in calce alla silloge, e la figura che frequentemente ricorre nei versi è quella del “poeta errante”: il percorso indicato dalla sua poesia abbatte i muri autistici che isolano gli uni dagli altri generando ghettizzazioni, ingiustizie, violenze e guerre. Il suo è un viaggio all’insegna di un Amore che combatte il ristagno negli angusti confini dell’egolatria, permettendo allo sguardo di elevarsi verso un infinito ‘oltre’: “Vorrei volare oltre, dove l’oltre è l’amore”; “Oltre il tempo / il dolore si placa / e il giorno ricomincia.”

Opportuno citare quanto asserisce John O’ Donohue in “Anima amica”: “Non possiamo riempire il nostro vuoto con oggetti, beni o persone, ma dobbiamo calarci nel vuoto per trovare dietro al nulla la fiamma dell’amore che ci attende per riscaldarci.” Un amore aggregante, che unisce l’Umanità nel Corpo di Cristo. Nella poesia Croce” leggiamo: “La Croce ci accompagna / dalla nascita alla morte. / […] Eppure spesso ce ne dimentichiamo, / riusciamo a mortificare / il Cristo ogni giorno / con le nostre opere infami. / […] Muore e risorge, / risorge in ogni Essere amato. / Sì, perché solo l’amore / ci conduce per mano / verso la luce.” L’amore di cui parla l’Autrice è fatto di “attenzione”, nel senso che dava Simone Weil a questa parola: tensione verso l’alterità, nei confronti della quale si rivolge uno sguardo inclusivo. Senza il ‘tu’ – parte integrante e necessaria del proprio essere – l’’io’ non esiste. “Per essere realmente presenti all’altro occorre aver incontrato sé stessi. Questo è sicuro, ma è anche altrettanto vero che senza l’altro io non posso incontrare me stesso.”, scriveva Jean Sulivan.

Chi è l’Altro, dunque, con cui si relaziona Chiarello? L’Altro è l’ultimo, invisibile nella nostra società materialistica: “File di case, […] nascondono vite / di uomini soli / alla ricerca di pace.” L’Autrice non dimentica nessuno degli emarginati del nostro tempo, dai drogati, che “nella notte si aggirano come fantasmi”, ai clochard “coperti di stracci, / senza amore”; dagli uomini ammassati sui barconi in balia di “onde assassine”, alle vittime di guerre volute da chi ha sete di ricchezza, e continua “ad armare, ad uccidere.”

L’Altro è l’uomo amato, con cui costruisce e consolida giorno dopo giorno il “Noi”; lo invita a sostenerla nelle sue fragilità, ad amarla con ardore. Leggiamo: “Vorrei […] scendere le scale del firmamento, / con te che mi porgi il tuo sostegno, / nelle notti buie / quando uno spiraglio di luce mi ammanta.”; “Eppure ancora cerco / l’amore che colora di rosso le mie notti”. La poetessa riconosce ed esalta il valore inestimabile della “quiete di casa”, che si identifica nella “quiete accesa” di cui parlava Ungaretti: la trova nella sua famiglia, che dell’amore è propagazione: “il profumo di famiglia mi fa compagnia”, scrive. E aggiunge: “L’amore guida i nostri passi […] anche quando il buio s’impossessa di noi”.

L’Altro è la madre scomparsa: la sua memoria è resa vivida dalle foto che la ritraggono e dai luoghi in cui la donna viveva. Intesse con la sua figura un accorato dialogo che colma la sua assenza, rendendola presenza. Vengono in mente le lettere scritte dalla poetessa Nelly Sachs nei mesi successivi alla scomparsa della madre. In esse leggiamo: « Che silenzio parlante tra noi, beata ​anima di mia madre. Tutto è stato spazzato via, tranne la nostra destinazione. La morte è la dissipatrice del superfluo. Respiro, sangue, carne, ossa, cervello, denti, occhi, viscere – corrosi -rimane il “silenzio parlante”, la “nostalgia”. […] Morte, tu che partorisci le anime, tu, involucro della nostalgia placata. Placata nell’eternità. » Il controcanto della poetessa Rosa Maria Chiarello: “Non so quando / né so dove / ma un giorno ti rincontrerò. / Sarà allora che potrò /aprirti il mio cuore / come quando bambina / trasparente, mi specchiavo in te. / Oggi guardo il cielo / e sei la mia stella / oltre l’infinito crepuscolo, / […] Mi illudo che sei lì / a guardarmi e ad illuminare / questo rotto cuore / che cerca di raccogliere i cocci.”

L’Altro è infine la stessa Poetessa. “In solitudine mi guardo allo specchio / nel sorriso spento del giorno che giace.”, scrive. “Penso ai giorni verdi dell’esistenza / quando il desiderio inappagato / mordeva il cuore. / Oggi che la grigia età sopraggiunge, / la malinconia mi assale / mi inghiotte nell’amarezza, / mi stordisce.” E se da un lato si sente ingabbiata da “lacci di egoismi”, dall’altro lato da questi stessi lacci si divincola, e si proietta in una dimensione trascendente, al di là del tempo e dello spazio, in comunione con quel Dio che cerca incessantemente, e che trova nel silenzio. “Scie di silenzi accompagnano il mio vivere, / mi guardo attorno / dove l’unico amico / è una penna e un foglio.” Scriveva Adriana Zarri in “Un eremo non è un guscio di lumaca”: “Il silenzio contiene ogni possibile parola. Non per nulla, all’interno di Dio, si chiama verbo”.

Rosa Maria Chiarello apre comunque alla speranza. La speranza è offerta dall’arte, in generale, e dalla poesia, in particolare. “Fino a quando l’ultimo uomo / di questa meravigliosa terra, / si commuoverà al suono di una poesia, / […] ancora si avrà la certezza / che l’umanità non si è dissolta / al suono del potere e del vile denaro.” Non è un caso che la silloge si apra con un intreccio tra poesia e pittura, nel pieno rispetto del principio “ut pictura poesis” del poeta Simonide di Ceo. Nella lirica incipitaria “Fra la terra e il mare” le parole sono pennellate, riproducono fedelmente il quadro di Antonino Scarlata, che compare nella prima di copertina. La poesia – come del resto il dipinto – è un vero e proprio inno alla vita che “germoglia / fra la terra e il mare” in un tripudio di colori, da quelli fiori che adornano il cappello, all’azzurro del mare su cui quest’ultimo galleggia, dall’indaco del cielo che domina la scena, al celeste delle sardine “vicine vicine / a farsi compagnia”. Questo canto corale fa pensare a una solitudine finalmente sconfitta, e a sensi inebriati da “dolci effluvi” piuttosto che dal “puzzo putrido / quando il malessere stordisce i sentimenti”.

Le poesie della silloge “Pensieri in movimento” presentano un linguaggio semplice. Il verso è sì libero, coerentemente al desiderio di libertà da schemi più volte affermato dalla poetessa nel corso dell’opera, ma nello stesso tempo è lirico, musicale specchio dei suoi stati d’animo, resi attraverso immagini metaforiche. La chiarezza del linguaggio rende immediata al lettore la comprensione di riflessioni profonde sulla vita, sul tempo, sulla morte, sui mali della nostra epoca e sull’amore, in piena coerenza con quanto asserisce sulla scrittura Jean Sulivan: “Scrivere non è ciò che si crede: ordinare idee al di fuori di sé secondo una logica che comporta l’accordo col «mentale». Scrivere è dimenticare, lasciare che la memoria diventi carne e sangue finché emerga la parola millenaria dell’istante- eternità, cioè quello scintillio che fanno la vita e la morte quando s’incontrano fra il niente del passato e la notte del futuro”.