di Ornella Mallo 18/04/2024

Scrive Vivian Lamarque: “Siamo poeti, vogliateci bene da vivi di più, da morti di meno, che tanto non lo sapremo.” Il riferimento a questa citazione è suggerito dal titolo che Maria la Bianca ha scelto per la sua prima silloge di poesie, “(non) Sarò pubblicata postuma”. Intanto per l’ironia, cifra che accomuna gli assunti delle due poetesse. Poi, perché nelle due asserzioni si percepisce l’urgenza delle due scrittrici di essere lette hic et nunc, e non in un domani di cui nessuno ha certezza. Significativa al riguardo la dedica con cui si apre la silloge: “A me. / A te. / A mio padre e a mia madre, / ai miei figli e a mia figlia. / Qui e ora.” Vengono in mente i famosi versi di Alda Merini, poetessa cui l’Autrice dedica una delle sue poesie: “Tu che continui a dirmi / che verrai domani / e non capisci che per me / il domani è già passato.” Ma se da una parte La Bianca vuole essere ascoltata ‘adesso’, dall’altra non vuole affidare alle sue poesie messaggi che non restino scolpiti nel tempo, e che del tempo subiscano l’erosione. Anzi. Sembrerebbero in contrasto con il titolo gli ultimi versi della plaquette: “Ultima dea sarò / pubblicata postuma”. In realtà la contraddizione è solo apparente, perché ciò che la poetessa vuole affermare con forza è la sua dignità di donna, dignità che in quanto tale è inscalfibile ed eterna, come lo è la deità nella sua accezione classica.

La poesia di Maria La Bianca è smaccatamente femminile. Questa valutazione non è affatto sessista. La differenza infatti tra letteratura maschile e letteratura femminile non risiede nello stile: ogni scrittore ha il proprio stile, che discende dalla sua personalità, dal suo vissuto, dalla sua formazione culturale. La diversità scaturisce dal differente punto di vista da cui sgorgano gli scritti. Il punto di vista delle donne si distingue da quello degli uomini perché storicamente la donna ha avuto un altro ruolo sociale rispetto all’uomo: “L’uomo va a fare la guerra, la donna sta in casa e si occupa dei figli, almeno storicamente è così, ed è chiaro che il loro punto di vista sulle cose della vita sarà diverso”, scrive Dacia Maraini. E Annie Ernaux di rimando: “Sì, penso che esista questa differenza di sguardo, non necessariamente antagonista, ma la differenza c’è. C’è una dominazione maschile nella società. Ad esempio, il tema della sessualità non può essere affrontato nell’identica maniera da un uomo e da una donna. Non vedo nel mondo di oggi l’evoluzione femminista sperata negli anni ’70.”

Le poesie della silloge “(non) Sarò pubblicata postuma” esprimono una visione prettamente femminile della vita, della società, dell’amore, della sessualità. La scrittura è potente, arriva con forza al lettore la necessità – avvertita con urgenza dalla poetessa – di liberare la donna dalla soggezione nei confronti del maschio in cui ancora oggi sostanzialmente versa, al di là delle innegabili conquiste. Nella poesia “8 marzo” leggiamo: “Un’ora d’aria / donne / in ogni giorno respiro. / Per tutte un fiore / sbocciato all’ombra / del rispetto.” E nella poesia “Allineamento” affronta il tema della sessualità femminile scrivendo: “Se servisse dare buoni consigli / ti direi / figlia mia / non credere all’allineamento degli astri. […] / Usa la testa / il cuore / la vagina / in movimenti diacronici di salvezza. / […] lascia che la testa vaghi / nella regione del cuore / ospite rapito della ferita di Eva.” Nella lirica “Ostetricia nuova”, La Bianca augura alla figlia di procedere nel suo cammino di vita con fierezza, e di emulare l’esempio che lei da madre le ha lasciato, superando gli inciampi di percorso attraverso la propria evoluzione di donna: “Tu sarai donna / oltre ogni spedito andare / nel vedere la donna che sono / come sono prima e dopo e sempre / e pur madre. / Libertà. / […] Nelle tue mani depongo / ciò che recide e unisce / tuo malgrado ostetriche di reciproca nascita. / Ho appreso nelle doglie ciò che non fa male.”

Scrive la studiosa Hélèn Cixous: “Le donne scrivono con l’inchiostro bianco, cioè con la memoria del latte materno che scorre dentro di loro.” Questo sguardo protettivo, augurale in quanto generativo di speranza nella perpetuità della vita, si incontra anche nella poesia “Ai figli”, in cui rivolgendosi al figlio maschio scrive: “Scorrerà lievemente per te / nel primo sole / l’indomita parvenza d’eternità / che oggi / oltre le ombre della sera / m’abbandona.”

Sempre da un punto di vista squisitamente femminile scaturiscono tutte le poesie che affrontano tematiche sociali, come l’immigrazione, o la condizione dei senza tetto. In “Morto migrante quindicenne”, la poetessa leva un grido di dolore per la morte su un​ barcone – cui durante il Covid non si permise di attraccare – di un ragazzo di quindici anni, esattamente come se ne fosse la madre. Leggiamo: “Con parole di madre / tacciono le mie parole l’abisso / che non l’ha inghiottito in tempo / per sottrarci al silenzio. / […] È morto un figlio di quindici anni. / Silenzio.” Il titolo della poesia è estrapolato dall’articolo del giornale che trattò questo fatto di cronaca. Maria La Bianca rimarca la disumanità con cui fu affrontato l’argomento: l’indifferenza del giornalista fu tale da non riportare, addirittura, il nome del quindicenne defunto. Lo stile ricorda molto quello della Szymborska: la poetessa polacca scrisse la poesia ”Un minuto di silenzio per Ludwika Wawrzynska” per commemorare la maestra elementare morta per salvare quattro bambini dalle fiamme, e allo stesso tempo per rimproverare tutti i poeti che di fronte a questo atto eroico avevano taciuto. Memorabili i versi: “Il minuto di silenzio per i morti / a volte dura fino a notte fonda.” Parafrasando Helen Cixous, La Bianca impiega come inchiostro il latte che zampilla dai propri seni, per scrivere i versi dedicati a un bimbo di sei mesi annegato in un naufragio: “Cresce / il mare come il ventre / a fondo / ancora un / pensiero e una / voce. / Di Madre.” Ed è madre e maestra elementare nella poesia “Prova di un copione per una recita senza finale”, in cui riunisce in un unico abbraccio tutti i bambini le cui vite sono state stroncate da un mare solcato nella speranza di sfuggire a un destino di guerra e di miseria: “Io / da / grande / volevo / essere / grande. […] Un suono che cresce di onde / ed un canto. / Ninna nanna.”

L’occhio attento della poetessa si posa anche sui clochard che vagano per le strade della sua Palermo: “Palermo è un cartone sotto il cielo / la notte buia / coperta che non riscalda / attesa di latte in un bicchiere / parole / poche / scambiate sul bordo della strada.” Della città natia racconta l’essere stata terra di conquista da parte di popoli che non sempre l’hanno valorizzata, più spesso ne hanno sfruttato le risorse saccheggiandola: “Palermo / […] è tutte le città abituate all’offesa”; e pone l’accento sul volto multietnico della Palermo di oggi: “Marmi di puttini alati / e pelle nera raccolta dal mare.” L’Autrice denuncia la finta religiosità e l’ipocrisia farisea che maschera l’egoismo. In “Pasqua eretica” scrive: “Giaculatorie inchiodano il costato / squarciato nelle vostre genuflessioni. / ​Puntellate di croci il velo del tempio / dove stride il suono di campane a festa.” E in “Notre Dame”: “Brucia / nostra signora / vergine / di altra cura / mente / qui sulla terra / è pianto.”

La personalità di Maria La Bianca pervade i versi in modo assolutamente identitario. Emerge una donna orgogliosa che rielabora il mito di Didone in una direzione opposta a quella della tradizione, ripresa da Ungaretti. Il poeta, nei “Cori descrittivi di stati d’animo di Didone” scriveva: “Grido e brucia il mio cuore senza pace / Da quando più non sono / se non cosa in rovina e abbandonata.” Si contrappongono con decisione i versi scritti dalla poetessa: “Didone non brucia più. / Se ne faccia ragione /l’antico cantore di Roma / e il suo eroe / capostipite triste e codardo / […] Oggi / non le serve il pugnale / non piange il consorte tradito. / Dall’alto affacciata al torrione / saluta e ritorna a regnare. // Nello sguardo altro mare.” Questa rivisitazione del mito di Didone ricorda quella operata dalla poetessa Candelaria Romero nei confronti del mito di Penelope. La poetessa argentina, nella poesia “Penelope”, parla di una donna la cui tela non è più “tesa come vela per portare / a casa Ulisse”. Allo stesso modo, la Didone di Maria La Bianca, che poi è il suo alter ego, è “regina” che “non cede ricchezze nel mare”, bella di bellezza “vera”, che non nasce dal desiderio di compiacere il maschio, ma semmai dalla riscoperta di sé e del suo valore di donna. In “La bellezza che sono” scrive: “Io sono vera / più della voce che ti muore / tra le braccia in un istante. / E sarò bellissima ancora / come non mi hai visto mai / con tutto il mio carico / disarmato nella testa / e corpo senza più pensieri / neanche per te.”

L’Autrice non è, però, donna che rinuncia al femminile desiderio di essere amata. Nella poesia “Ante litteram” infatti leggiamo: “Baciami nella lampada fioca della luna / […] perché sarà la memoria di un bacio ad accarezzarci l’anima / nella distanza senza sguardi sulla bocca / in ogni desiderio di stelle.” Ma La Bianca, consapevole della propria ricchezza interiore, allontana con sdegno gli scialbi replicanti del mito di Narciso, tristemente centrati su sé stessi, incapaci di amarla come merita. Scrive: “No / non farò come un uomo / non mi farò scudo dell’arma interrogativa / di un’improbabile onestà retrattile. / […] Non cedo alla tentazione. / La sostengo allo sguardo / la pretendo alla donna che sono. / Tu / ​abbassa gli occhi / come l’uomo che sei o che non sei.” Dai versi affiora la sua visione dell’amore, che ricorda quella di Lacan. Lo psicoanalista scriveva: “L’amore è dare all’altro quello che non si ha”. Il controcanto della poetessa è: “L’amore è l’increspatura / la piega / l’ombra che ti induce a voltarti / dove non sei.” I versi di Maria La Bianca sono liberi da schemi metrici, scarniti fino all’osso, essenziali, ma proprio per questo fortemente incisivi. Le sue poesie, scritte con un linguaggio attinto dal quotidiano, sono stilettate che arrivano dritto al cuore del lettore. Prorompono con prepotenza le molteplici sfumature della personalità della poetessa, che ribadisce la propria unicità e il rifiuto di modelli ‘politicamente corretti’: “C’è una vecchiaia / che non teme l’audacia del salto. / Un canto per ogni voce tra le canne. / Tutta uguale ho lasciato scorrere / la sinfonia dei grilli / sulla strada.” Al tempo stesso, in modo tipicamente femminino, La Bianca accoglie presso di sé qualsiasi essere bisognoso della sua cura e della sua protezione. Viene in mente quanto scriveva al proposito Edith Stein: “La donna è la protezione e quasi la dimora di altre anime che in lei possono svilupparsi. Questa duplice funzione di compagna dell’anima e di madre delle anime, non è limitata agli stretti confini dei rapporti matrimoniali e materni, ma si estende a tutti gli esseri umani che entrano nel suo orizzonte.”