di Ornella Mallo (Palazzo del Poeta, 18 ottobre 2023)

Oggi più che mai ha senso chiedersi che cosa sia la poesia, dal momento che l’Uomo sembrerebbe volerne demandare la composizione all’intelligenza artificiale, lasciandosi così sostituire da essa. Davvero si può definire poesia il prodotto ottenuto grazie alla Chat Gpt, ovvero “Il Versificatore” che immaginò Primo Levi in un racconto nel lontano 1966? Formulerò meglio la domanda: la macchina può sostituire l’uomo se si vuole scrivere poesia? In che cosa consiste la sua essenza? Cosa vuole esprimere il poeta quando scrive? Per Ghiannis Ritsos il Poeta risponde a queste domande attraverso la sua opera, e non parlando di essa: la lingua del Poeta infatti è laconica, sintetica, mentre analitica è quella dei critici. “La poesia, precisamente nella misura in cui è poesia, dice sempre più e meglio di quanto noi possiamo dire di essa”, scriveva. Chiedere ai poeti di parlare di poesia è snaturarli. Essi trasfondono nelle loro creazioni le intuizioni suscitate dall’attenta osservazione della natura e della realtà della vita in modo im-mediato, ossia senza mediazione tra contenente e contenuto. “Vento d’autunno / allo sguardo / tutto è haiku”, scriveva Takahama Kyoshi. E la Dickinson: “Vedere il cielo d’Estate / è Poesia, anche se mai in un libro costretta – / Le vere Poesie fuggono –“ Prescindendo quindi dalla funzione che aveva la poesia ai suoi albori, che era divinatoria ed “eternatrice”, per dirla con Ugo Foscolo, di eventi e gesta di eroi, che venivano tramandati a memoria in epoche in cui l’alfabetizzazione non era frequente, grazie al ritmo impresso dalla metrica, nelle età successive l’esigenza di scrivere poesia muove dalla necessità di fissare in un fermo-immagine il kairòs, ovverossia l’istante, termine che è participio presente del verbo instare, e sta per imminente, incombente. La poesia infatti si ribella alla crudeltà del “tempus edax rerum”, ossia del tempo divoratore di tutte le cose.

La fuggevolezza dell’attimo ne comporta l’unicità e al contempo la permanenza, in quanto si imprime fermamente nella memoria dell’uomo, il cui telos, ossia il fine, è coglierne l’essenza in una tensione verso l’epifania del suo significato recondito, invisibile e perciò ineffabile. La prima ricerca, dunque, che compie il Poeta, è ​

quella di un linguaggio che esprima l’esperienza del momento, da cui scaturisce una comprensione intellettiva e una reazione emozionale personale, qualitativamente unica e identitaria, diversa da soggetto a soggetto, perché soggettiva è la sensibilità, ossia la capacità di sentire ciò che si sta vivendo; la percettibilità dell’evento si diversifica in base alla recettività personale. Ecco perché Ghiannis Ritsos in una poesia di un verso solo scrive: “Un profondo sapore della fine precede la poesia. Inizio.” La momentaneità dell’istante in particolare, e la finitezza della vita in generale, spingono il Poeta se non a eternarle, quanto meno a fermarne la fugacità in Poesia. E l’inizio consiste nella ricerca di un linguaggio che non sia solamente proteso verso la resa del recondito che sussiste fuori di sé, ma anche della propria interiorità. Scriveva Pavese in uno stralcio de “Il mestiere di vivere”: “La vita non è ricerca di nuove esperienze, ma di sé stessi. Scoperto il proprio strato fondamentale, ci si accorge che esso combacia con il proprio destino e si trova pace”. E in un altro passo: “affermare che la vita è più importante dell’opera significa essere un dilettante, significa che la propria opera non si è fatta vita”. E Ritsos: “Com’è arduo per la parola passare dal sangue alla poesia.” Quindi la vita non deve essere altro rispetto all’opera poetica, ma un tutt’uno: la poesia esprime la vita attraverso la parola. E, circa l’originalità del linguaggio che deve usare lo scrittore, asseriva Ingeborg Bachmann: “Gli scrittori dovranno veramente abdicare quando avranno in bocca solo frasi che hanno anche gli altri. L’espressione è qualcosa di diverso dall’esternare opinioni. Io provo a farlo proprio cercando di non farmi corrompere dall’attualità, ma di corrompere l’attualità.” Corrompere l’attualità significa che il Poeta non si lascia condizionare dalla realtà in cui vive, ma la domina per interpretarla, alternando l’uso del microscopio e del periscopio. I risultati della sua analisi sono esternati in una lingua tutta sua, creata apposta per rispecchiarlo e identificarlo, distinguendosi così da tutti gli altri.

Giovanni Giudici al riguardo osservava: “Riconquistare la propria (o comunque, una propria) lingua come una lingua straniera, liberata dall’usura dell’abitudine e pertanto investita di una più intensa potenzialità comunicativa, è privilegio e anche arduo compito del poeta: privilegio che gli è accordato dalla grazia misteriosa ( o manzonianamente, « divino spavento » ) comunemente chiamata ispirazione e più sommessamente definibile come positiva ​autocostrizione allo scrivere; compito che è impossibile assolvere senza il soccorso di quella grazia”. E Amelia Rosselli sulla parola diceva: “incorrevo nella parola intera, intesa come definizione e senso, idea, pozzo della comunicazione”.

Il Poeta può servirsi della Poesia per diffondere valori etici, primo fra tutti quello della gratuità dell’atto creativo in arte, la sua non assoggettabilità al potere economico. Scriveva la Pizarnik: “oh aiutami a scrivere la poesia più prescindibile / quella che non serva nemmeno / a essere inservibile / aiutami a scrivere parole / in questa notte in questo mondo”. Oppure: “Un giorno, forse, troveremo rifugio nella realtà vera. / Intanto, posso dire fino a che punto sono in disaccordo?

Conveniamo quindi con Ritsos che la poesia è testimonianza di vita, e in quanto tale, non può essere ridotta a mero prodotto di laboratorio. Il Poeta non può essere sostituito nel processo creativo. La macchina non ha un mondo interiore da esprimere, sensi attraverso cui percepire la realtà. Non è unica, è clonabile, e i suoi prodotti sono omologati. Non ha una sua volontà, agisce obbedendo ai comandi dell’uomo, e soprattutto non ha un suo vissuto, imprescindibile quando si scrive poesia. Diceva la Pizarnik: “Ora so che ogni poesia dev’essere provocata da un assurdo scandalo del sangue. Non si può scrivere solo con l’immaginazione, o solo con l’intelletto; è necessario che il sesso e l’infanzia e il cuore e le grandi paure e le idee e la sete e di nuovo la paura lavorino all’unisono mentre io mi chino verso il foglio, mentre io stramazzo sulla carta e provo a dare un nome alle cose, e anche a me stessa”.

La vera poesia assolve una funzione catartica rispetto alle sofferenze della vita. “Scrivere una poesia è riparare la ferita fondamentale, lo squarcio”, asseriva Alejandra Pizarnik. Ed opera il miracolo di essere ricreata dal lettore diventando altro rispetto alle intenzioni dell’autore, perché sarà il fruitore, a seconda della sua sensibilità, a trasferire nel testo le proprie significazioni regalando alla poesia un’altra vita. “Ogni lettore è un altro poeta; ogni testo poetico, un altro testo.”, scriveva Octavio Paz.

Per concludere, lo stesso papa Bergoglio, in un convegno promosso da “La Civiltà cattolica e dalla Georgetown University”, ha sottolineato l’importanza dell’opera dei poeti nel processo di mutamento della società: essi possono segnare la strada nella lotta all’uniformità e al materialismo. “Non soltanto guardare, ma anche sognare. Noi abbiamo due occhi: uno di carne e l’altro di vetro. Con quello di carne guardiamo ciò che vediamo, con quello di vetro guardiamo ciò che sogniamo. Poveri noi se smettiamo di sognare!” Sognare sì, ma restando dentro il mondo, affinché non si trasformi in una realtà senza di noi, come ha paventato il Poeta e scrittore premio Nobel Gunther Anders: “Cambiare il mondo non basta. Lo facciamo comunque. E, in larga misura, questo cambiamento avviene persino senza la nostra collaborazione. Nostro compito è anche quello di interpretarlo. E ciò, precisamente, per cambiare il cambiamento. Affinché il mondo non continui a cambiare senza di noi. E, alla fine, non si cambi in un mondo senza di noi.” Governato dalle intelligenze artificiali.

quella di un linguaggio che esprima l’esperienza del momento, da cui scaturisce una comprensione intellettiva e una reazione emozionale personale, qualitativamente unica e identitaria, diversa da soggetto a soggetto, perché soggettiva è la sensibilità, ossia la capacità di sentire ciò che si sta vivendo; la percettibilità dell’evento si diversifica in base alla recettività personale. Ecco perché Ghiannis Ritsos in una poesia di un verso solo scrive: “Un profondo sapore della fine precede la poesia. Inizio.” La momentaneità dell’istante in particolare, e la finitezza della vita in generale, spingono il Poeta se non a eternarle, quanto meno a fermarne la fugacità in Poesia. E l’inizio consiste nella ricerca di un linguaggio che non sia solamente proteso verso la resa del recondito che sussiste fuori di sé, ma anche della propria interiorità. Scriveva Pavese in uno stralcio de “Il mestiere di vivere”: “La vita non è ricerca di nuove esperienze, ma di sé stessi. Scoperto il proprio strato fondamentale, ci si accorge che esso combacia con il proprio destino e si trova pace”. E in un altro passo: “affermare che la vita è più importante dell’opera significa essere un dilettante, significa che la propria opera non si è fatta vita”. E Ritsos: “Com’è arduo per la parola passare dal sangue alla poesia.” Quindi la vita non deve essere altro rispetto all’opera poetica, ma un tutt’uno: la poesia esprime la vita attraverso la parola. E, circa l’originalità del linguaggio che deve usare lo scrittore, asseriva Ingeborg Bachmann: “Gli scrittori dovranno veramente abdicare quando avranno in bocca solo frasi che hanno anche gli altri. L’espressione è qualcosa di diverso dall’esternare opinioni. Io provo a farlo proprio cercando di non farmi corrompere dall’attualità, ma di corrompere l’attualità.” Corrompere l’attualità significa che il Poeta non si lascia condizionare dalla realtà in cui vive, ma la domina per interpretarla, alternando l’uso del microscopio e del periscopio. I risultati della sua analisi sono esternati in una lingua tutta sua, creata apposta per rispecchiarlo e identificarlo, distinguendosi così da tutti gli altri.