E’ una storia un po’ particolare quella di Gianluca Calì, imprenditore nel campo della compravendita di auto. Una storia che sembrerebbe sbagliata e inverosimile. Una storia sbagliata, come dice una vecchia canzone di Fabrizio De Andrè.

Ma questa storia non è una canzone da canticchiare in qualsiasi momento. E’ la storia di un uomo che ha sempre avuto un sogno, quello di fare imprenditoria e contribuire alla crescita del proprio Paese, quel paese che sotto certi aspetti non riesce a comprendere ciò che lui vuole  dire, ma preferisce convivere con quella apparente tranquillità del quotidiano vivere. E questa di Calì è una storia come quella di tanti altri imprenditori, costretti a raccontare una storia sbagliata, una storia di quelle che non si vorrebbero vivere, fatte di richieste estorsive, di attentati incendiari, di visite particolari nelle sedi delle loro attività, dove un copione già visto e rivisto va in scena a danno non solo dell’imprenditore ma persino di tutta la collettività.

Quando un imprenditore comincia a subire gli attacchi del racket e non vuole sottostare al ricatto mafioso, ha una sola possibilità: rivolgersi allo stato, il quale stato dovrebbe dare protezione e aiuto alla vittima. Dovrebbe aiutarlo nel portare avanti il proprio lavoro, perché è chiaro e assodato che un imprenditore, dal momento che denuncia le richieste di pizzo e la sua storia diventa pubblica, il suo giro d’affari subisce un netto calo, l’azienda è costretta a ridimensionare il personale e gli acquisti.

Nel frattempo, le banche cosa fanno? Alla minima difficoltà chiedono di rientrare dalle scoperture e, subito dopo, chiudono il conto lasciando l’imprenditore in mezzo ai guai. Morale della favola, l’imprenditore non potendo più fare fronte agli impegni di lavoro si vede suo malgrado costretto a chiedere fallimento. Ed è a quel punto che un’azienda florida, come nel caso di Calì, con circa venti dipendenti e un fatturato di oltre venticinque milioni di euro diminuito nell’arco di un paio di anni, deve dichiarare il “de profundis” al suo sogno.

Gianluca Maria Calì oggi si trova in questa situazione. Non solo vittima del racket, ma anche della lentezza degli organi preposti ad aiutarlo. Non gli è mai stata data una scorta, ha dovuto di tasca propria comprarsi una macchina blindata e adesso gli è stato interdetto l’utilizzo di un’arma per difesa personale. A questo punto viene legittimo chiedersi: “Ma ne vale la pena denunciare le vessazioni criminali?”. Vale la pena entrare in questa spirale di rispetto della legalità, quando poi si è lasciati soli dallo stato? Questa è una domanda che è stata posta spesso a Gianluca Calì, e la sua risposta è sempre stata chiara e lampante: “Si, senza ombra di dubbio”.

A questa risposta spesso pubblica lo stato italiano dovrebbe fare in modo che il tessuto produttivo nazionale possa continuare a produrre e a creare ricchezza e valore aggiunto, attuando in tempi celeri tutte quelle leggi, anche economiche, affinchè un’azienda continui a progredire e possibilmente ad ampliarsi nel rispetto delle leggi e delle regole. A meno che lo stato non voglia ampliare le commemorazioni alla Libero Grassi.

Giovedì 22 settembre l’imprenditore si racconterà ai microfoni di OFF RADIO, la trasmissione condotta da Liborio Martorana e Gilda Sciortino su RADIO OFF, attraverso il libro “Io non pago – La stra-ordinaria storia di Gianluca Maria Calì”.

Liborio Martorana