di Ornella Mallo

Ci chiamano uomini, ma siamo alberi.

Esili, robusti, flessuosi, resistenti. Più o meno segnati dal vento e dalle intemperie. Spogli o ricchi di foglie che brillano al sole, effondendo nell’aria il loro profumo. Caparbiamente attaccati al suolo o così alti da toccare il cielo.

 

Le nostre radici sono Memoria. Germogliamo da semi fecondati da atti d’amore, miracoli attraverso i quali si tramanda la vita, in un “ripetersi del non ripetersi”, come scriveva Hikmet. Nel dna presente in ciascuna cellula, conserviamo il ricordo di coloro che ci hanno generato, lo stupore dell’ innamoramento. E veniamo al mondo custodendo in una conchiglia, depositata nei nostri fondali, la memoria delle voci che percepivamo ovattate mentre eravamo immersi nel liquido amniotico, nostra prima esperienza del mare.

 

Una memoria, cui gradualmente si aggiungono altre memorie: l’odore della madre, la voce del padre, l’abbraccio con i corpi che ti proteggono.

Inanelliamo uno dopo l’altro  gli attimi che viviamo, che pian piano diventano anni. A ricordarli, uno dopo l’altro, si disegnano all’interno dei nostri tronchi dei cerchi, sempre più ampi, che includono quelli precedenti, tutti con la nostra anima al centro. E, generando i figli, perpetuiamo il nostro percorso di vita.

La vita chiude il suo cerchio.

I ricordi ne sono il senso.

Ci chiamano alberi, ma siamo uomini, con memoria di altri uomini. Tutti insieme formiamo una lussureggiante foresta, che abita la Terra, imbibendo la sua aria di ossigeno e dandole un significato. Insieme costruiamo la Storia, un’entità grandiosa che vive grazie a noi, di cui facciamo parte e alla quale partecipiamo con le nostre azioni quotidiane, anche quelle in apparenza prive di significato. Cammini, incisi nella nostra memoria e tramandati nei racconti di generazione in generazione; segnati da continue costruzioni e demolizioni di ciò che si era costruito: periodi di stabilità, alternati a eccidi, stermini, guerre, in un continuo fare e disfare, un “panta rei” senza sosta. E l’Arte rielabora la Storia, la scandaglia nelle sue profondità, riempie i ricordi di contenuto. Il culto della memoria sconfigge la morte, impedendo che tutto diventi un “riversarsi vano di sabbia che si muove senza pesare sulla sabbia”, come scriveva Ungaretti.

 

Ma di quale memoria?

È davvero possibile, per noi che guardiamo gli alberi che ci circondano nella loro compattezza, leggere uno per uno, e soprattutto decodificare ciascuno dei cerchi che il tempo ha tracciato all’interno dei tronchi?

O soltanto l’albero che li detiene ne conosce il significato, e lo custodisce gelosamente dentro di sé, per paura che gli altri possano contaminarlo?

Scriveva Evtuscenko:” […] Che sappiamo dei fratelli nostri, degli amici? […] E del nostro stesso padre tutto sapendo non sappiamo nulla. Gli uomini se ne vanno… e non tornano più. Non risorgono i loro mondi segreti. E ogni volta vorrei gridare ancora contro questo irrevocabile destino.”

 

Ogni uomo ha il diritto di custodire dentro di sé i ricordi e i pensieri più segreti. È l’unica libertà che abbiamo: la mente e il cuore possono volare dappertutto, realizzare i sogni più fantasiosi. Guai a violare gli scrigni che risiedono nelle nostre intimità più profonde.

 

Quanto alla Storia, il popolo ha diritto di conoscere la verità degli eventi per non essere preso in giro, manipolato. Invece i fatti vengono sapientemente occultati da chi sta al potere. Non esiste una verità, ma tante verità quante sono le fonti da cui provengono. Pensiamo ai campi di sterminio, alle stragi di cui soltanto il tempo ci dà notizia, lentamente, molto dopo che sono accadute.

Inondati dalle bugie, comprendiamo il corso degli eventi solamente a lunga distanza. Solo pochi di noi riescono ad abbattere i muri dietro cui viene trincerata la verità.

E molto spesso, pagano con la vita il prezzo di questo amore per la giustizia.

 

Cito Petacco,

 

A una ragazza del’43

 

“Quando comincia una guerra la prima vittima
è sempre la verità.
Quando la guerra finisce
le bugie dei vinti
sono smascherate,
quelle dei vincitori
diventano storia.”
Correggo Petacco, con la mia idea di memoria, in tempi di Memoria negata. Cito Franco Carollo:
“Quando la guerra finisce
quei morti in fila
spogliati di divise e dignità
nudi
maleodoranti
offesi e resi schifosi alla vista
resteranno patrimonio di tutti.
Non ci saranno Bugie.
Non ci sarà Storia.
Di parte.”

Perché moriamo in piedi: come gli alberi.