di Fulvio Fisicaro 13/05/2025
I prossimi cinque referendum che si terranno il prossimo 8 – 9 giugno ci danno l’occasione per riflettere sui contenuti dell’istituto giuridico. Il referendum abrogativo è regolato dall’art. 75 della Costituzione.
Art 75 -E` indetto referendum popolare per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.
Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali.
Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati.
La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli
aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. La legge determina le modalità di attuazione del referendum.
Il referendum abrogativo ex art. 75 è un notevole strumento di democrazia diretta garantito al popolo. Non è tuttavia possibile abrogare la Costituzione né parti di essa; il meccanismo di intervento sulla Costituzione deve trovare il motore nel Parlamento e non può avvenire al di fuori. Il legislatore ha probabilmente voluto proteggere la legge costituzionale da qualsiasi plebiscito unitario popolare, potenzialmente pernicioso per il mantenimento dell’equilibrio democratico. La modifica della Costituzione è regolata dall’art. 138.
Al corpo elettorale è riservata la possibilità di abrogare con referendum eventuali modifiche costituzionali, e neanche in tutti i casi. A determinate condizioni, previste dal terzo comma dell’art. 138, il corpo elettorale non può opporsi in nessun caso.
Art 138 – Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.
La Costituzione italiana contiene una serie di pesi, contrappesi, misure e contromisure di grande complessità e fascino. In linea generale, però, rispetto al referendum abrogativo, strumento di espressione della volontà del corpo elettorale, il peso usato non pare equanime ad istituti simili o della stessa natura.
Nessuna consultazione elettorale necessita di un quorum per essere valida; eppure, l’evento di un’affluenza al di sotto del 50 per cento sarebbe oggi più che mai plausibile. Il referendum costituzionale ex art. 138 non prevede quorum, pur avendo grande similitudine con quello abrogativo ex
art. 75, visto che le modalità di richiesta prevedono lo stesso numero di firme di elettori (entrambi 500.000).
Quando l’Assemblea Costituente volle porre un quorum al referendum abrogativo, aveva davanti un corpo elettorale che partecipava alle elezioni politiche in percentuali che superavano il 90 per cento (a titolo esemplificativo: 1948 92,23 per cento, 1953 93,84 per cento; 1958 93,83 per cento). Porre un quorum del 50 per cento significava creare un ulteriore controllo che si aggiungeva a quello della Corte Costituzionale nell’approvazione dei quesiti referendari; si è voluto affermare che eventuali referendum formalmente validi che però non trovavano reali radici nel corpo elettorale non avrebbero potuto abrogare nulla, scoraggiando così ogni iniziativa futile. Oggi, questa visione dalla quale consegue la fissazione del quorum penalizza l’istituto del referendum abrogativo nell’entità del limite posto. Il quorum del 50 per cento non è più attuale: non ha più la stessa proporzione rispetto all’affluenza elettorale che aveva nel periodo in cui fu fissato. Così si sottrae forza all’espressione diretta del corpo elettorale e si diminuisce la democrazia. Ecco spiegato perché il quorum va abolito, abbassato o regolato. Sarebbe addirittura possibile istituire un criterio di proporzionalità, valido per la legislatura, che fissi il quorum ad una certa percentuale dell’affluenza alle ultime politiche. Quando e se il corpo elettorale tornerà ad avvicinarsi alla politica votando in percentuali più congrue, allora anche il quorum potrà crescere. L’abolizione, l’abbassamento o il regolamento del quorum nel referendum abrogativo ex art. 75 non sarebbe di per sé una questione ideologica. Può riguardare tutte le forze politiche presenti in Parlamento.
Anche se la destra italiana è contraria a forme di democrazia diretta che non siano il premierato, potrebbe un domani trovarsi all’opposizione e trovare conveniente in senso politico il ricorso al referendum abrogativo. Una nuova regolazione e articolazione del quorum restituirebbe dignità ad un istituto che, alle condizioni attuali, può essere troppo facilmente svilito e svuotato con la semplice astensione. Fornirebbe nuovi stimoli di espressione della propria volontà agli elettori e li avvicinerebbe alla politica.
Lanciamo da Radio Off un appello a tutte le forze politiche democratiche: liberiamo da questo quorum il
referendum abrogativo ex art. 75 della Costituzione Italiana. Aumentiamo la democrazia.
(Fonte immagine: Web)