Fu svegliata di soprassalto.  Aveva dormito fino a che il sole, ormai alto, giocando con le tende, aveva illuminato la parete e il letto. Era giorno fatto, la pesantezza del risveglio in pieno giorno si portava dietro una nausea pesante, mal di testa che non erano solo dovuti alla sbornia. Bastava poco per stordirla, una birra, magari seguita da un drink più alcolico. Le piaceva quel senso di leggerezza che le dava l’alcool, si alleggeriva di tutti i pesi che la zavorravano a terra. Trovava sempre aperto, non c’era che l’imbarazzo della scelta. E non sceglieva mai il solito. Aveva scelto un locale vicino casa, nelle strade che sfioravano Borgo Vecchio e salivano verso Via

Libertà. C’era cicaleccio ancora, un cicaleccio alcoolico, sfatto di drink, voci sopra i toni,  clienti in diaspora tra i tavoli. Aveva chiesto la birra e l’Aperol Spritz. Incantata si ripeteva tutto guardando dentro il bicchiere, rivedeva e si ripeteva i dialoghi e le scene, come in una moviola per mettere a fuoco. Poi, una volta a casa, dopo la sosta sul divano, era crollata sul letto e l’alcool aveva avuto la meglio sui pensieri, sprofondandola nel sonno.

Il risveglio fu subito un ritorno alla realtà. Fu fulminata da un pensiero geniale, brillante, meglio della scoperta dell’atomo. Il computer. Doveva assolutamente recuperare la cronologia dei link aperti su quel pc dove Alessandro smanettava  E malgrado la testa pesante, fu subito sveglia o quasi.

 

Lottò con lo stivaletto. Occorrevano alcuni minuti per calzarlo, ma era comodo e ne valeva la pena e la stizza. Aveva indossato le prime cose tirate fuori dall’armadio, jeans, camicia e cardigan di lana, la sciarpa attorno al collo e l’impermeabile. Si ritrovò nel traffico, subito dopo aver speso qualche minuto per un caffè bollente al bar, bruciando anche le solite quattro chiacchiere davanti al quotidiano con il portiere. Il cui  stupore non durò a lungo, sapeva quando Alice andava di fretta.

Il traffico a quell’ora era insopportabile e la sua tensione crebbe. Fece diverse piccole infrazioni che furono una sofferenza necessaria e infine fu dietro quella porticina, domandondosi se avesse dovuto chiedere qualche permesso, intanto era già entrata. La tensione fu insopportabile appena fu di fronte al computer. Fu presa dall’ansia che la cronologia fosse stata alterata, non si chiese nemmeno se Alessandro fosse stato ricoverato, né quanto fosse attendibile quell’operazione di recupero. Ritrovò la cronologia usando l’orario di accesso come bussola e i primi link che aprì rimandavano ad annunci immobiliari. C’era un video che animava una casa, una porta si apriva e accedeva ad una stanza che sembrava una camera da letto. Il successivo si spostava completamente da annunci immobiliari. Era una maschera piena di simboli. Alla destra il Pentacolo alle cui punte si affacciavano faccine tipo smile e sotto una scritta: Red Baal. I caratteri gotici al centro si intrecciavano in un ideogramma incomprensibile, alla sinistra un essere mostruoso muovendosi si trasformava in un delizioso supereroe. Pensò: -Bingo! Come cazzo si apre ora questa pagina? –

Ripassò il mouse, nulla. Nessuna tendina. – Forse non è quella la strada… troppo ovvia. –

In realtà fu colpita da qualcosa che si apriva spulciando le pagine aperte successivamente. Non in successione cronologica con quella così vistosamente sospetta. Una pagina innocua e ordinaria. In inglese con un layout giallo crema, anonimo, niente immagini semoventi, né scritte cubitali. Trattava di spirito. – The spirit  lost … lo spirito perduto nelle foreste che pratichi ti allontanano dalla tua vera missione. – Mission sottolineato e poi una descrizione di boschi nordici e idilliaci. Laghi specchiati, fate e fauni. La frase finale le gelò il sangue, non sapeva quanto fosse sulla strada giusta, eppure d’istinto sentì un campanello. Copiò e incollo i link su mail che si rispedì e volò via. Sull’uscio un incontro inaspettato e una voce alle spalle, perentoria, dai toni chiaramente accusatori:

– Ah, lei! Dottoressa, devo solo ringraziarla se Alessandro è stato ricoverato! Non ha saputo? Ha tentato di buttarsi.

 

Lo sguardo era falsamente calmo oppure lo era davvero? In tal caso era inquietante, malato. La madre del ragazzo cosa stava progettando, quale trappola mentale? Alice si mise sulla difensiva e in atteggiamento di attesa. Non disse nulla, ma l’altra si allontanò lasciandola interdetta. Di buoni motivi ne aveva per dubitare di quella donna, ed era pronta a non cascare nei trabocchetti che già prefigurava, tuttavia doveva dirselo, l’aveva battuta. Si, un punto a suo favore, aveva segnato e Alice incassato. Lezione imparata, si spera. Alice non ne era per niente sicura.

Si riprese dallo shock pensando al lavoro che l’aspettava per dipanare i misteri del pc. Sentiva di essere sulla buona strada e doveva dimenticare quella scena appena accaduta per conservare integra l’energia e dedicarla al mistero, molto più importante di una falsa pantomima montata per destabilizzarle il morale e l’autostima.

Intanto la sofferenza dentro le mura di quel luogo l’ attirava come una calamita. Il senso di colpa, tutti i sensi di colpa dell’umanità le precipitarono addosso. Doveva resistere, ne era cosciente, ma la lotta era con la sua stessa natura. Le corsero incontro il senso di colpa cosmico delle stragi di innocenti, le fustigazioni e le crocifissioni della vittima per eccellenza, il pianto delle Pie Donne, l’errore degli Ebrei, la rimozione della Sacra Pietra del Sepolcro. Le risuonarono le orecchie dei pianti delle marce della morte, dei campi di sterminio, dei volti vittime, bambini piangenti, vecchi alla fine ripiegati sulle ginocchia, impotenti, sangue su macerie e…

No, non adesso. Si chiamò per nome:  «Alice, nooo. Non Adesso. Svegliati!»

 

tratto dal romanzo “La prima ora del mattino” di Clotilde Alizzi