di Fulvio Fisicaro

Palermo, 29 ottobre 2021

Tutto il mondo ha gli occhi puntati su Next Generation EU, il poderoso meccanismo finanziario messo in piedi dall’Unione Europea per combattere e risolvere la crisi pandemica che affligge l’economia mondiale dal 2019. Guardano al NGEU tutti i popoli della Terra per sperare in un futuro migliore; lavoratori regolari e irregolari, disoccupati, pensionati, profughi, disabili, ricchi, poveri, tutti uniti in un patto sociale globale. Innegabile che al centro di questa febbrile attenzione ci sia l’esperimento di chiamare un banchiere centrale a gestirne la parte italiana, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza: Italia così fragile, al centro delle rotte dell’immigrazione, malato cronico dell’economia europea. Come cita il Governo nelle premesse al PNRR, tra il 1999 e il 2019 il PIL in Italia è cresciuto in totale del 7,9 per cento; in Germania, Francia e Spagna, l’aumento è stato rispettivamente del 30,2, del 32,4 e del 43,6 per cento. Tra il 2005 e il 2019, il numero di persone sotto la soglia di povertà assoluta è salito dal 3,3 per cento al 7,7 per cento della popolazione, prima di aumentare ulteriormente nel 2020 fino al 9,4 per cento. Il FTSE MIB, principale indice del mercato azionario italiano, vale oggi il 52 per cento del suo massimo storico, registrato il 7 marzo 2000. Radio Off ne parla con Cleo Li Calzi, Docente LUMSA, Responsabile Regionale del Dipartimento PNRR del Partito Democratico.

Quali ritiene essere gli aspetti centrali del PNRR?

“A me piace sempre sottolineare che resilienza è un concetto statico; resistiamo perché dobbiamo tornare al sistema in cui eravamo. Ciò è assolutamente antitetico rispetto alla ripresa. Dobbiamo ragionare invece su un piano di cambiamento dell’Italia e quindi leggere il PNRR non soltanto per gli investimenti ma soprattutto per le grandi riforme che prevede. Ce ne sono ben 51 che dobbiamo realizzare perché Bruxelles ci confermi le risorse che ci ha dato in stanziamento eventuale nel caso in cui attuiamo le riforme. Non a caso si è chiuso due giorni fa un Consiglio dei Ministri in cui è stato approvato un ennesimo decreto legge sul PNRR che fissa alcuni paletti di riforme fondamentali e genera alcuni interventi, che in Sicilia sarebbero estremamente utili perché veramente ci possa essere ripresa economica. Parlo in particolare delle zone economiche speciali, le ZES, che malgrado definite da due anni non sono partite e che permetterebbero invece un’attrattività d’impresa significativa. Dentro al PNRR ci sono anche tutta una serie di strumenti per accelerare e per riuscire a fare realmente un cambiamento delle modalità di spesa, creando sviluppo e non soltanto facendo spesa. Sottolineo sempre che il PNRR, quindi il Recovery Fund, non è un fondo strutturale, ma è una faculty , come viene chiamata tecnicamente. Il fondo strutturale va per stati di avanzamento della spesa, con il faculty ci saranno riconosciute le spese fatte solo al raggiungimento degli obiettivi che sono di natura nazionale”

.​Sul piano politico economico regionale?

“Proprio per quello che dicevo, che è una faculty , non esiste una dotazione per Regioni. Come per il PO FESR, la Regione Siciliana aveva proposto, all’inizio del Piano, una sorta di Recovery Fund della Sicilia. Ma non c’è una dotazione, la guida è tutta nazionale. Nei decreti 77/2021 e 80/2021 emessi dal Governo c’è tutto: cabina di regia e sistema di governance. La Regione Siciliana deve farsi trovare pronta a partecipare ai vari avvisi pubblici che in automatico partono dal livello nazionale. Sappiamo che con le reti irrigue la Sicilia non si è classificata con nessun progetto all’interno di quelli ammessi perché i progetti non rispondevano agli obiettivi del PNRR; magari rispondevano a delle necessità del territorio, ma non erano aggiornati rispetto alle caratteristiche del Piano. Per cui, noi dobbiamo farci trovare pronti: questo è il tema che io darei. Pronti rispetto al PNRR, di cui ormai conosciamo le carte, per chi se le è lette quelle numerose carte, e nel trovarci pronti non può arrivare il bando prima che io cominci a progettare, perché gli obiettivi sono già scritti.”

Sull’indirizzo dei fondi?

“I fondi vanno indirizzati leggendo con attenzione il PNRR e intercettando le traiettorie di sviluppo della Sicilia. Qua devo sottolineare una cosa: bisogna prima avere una visione strategica di che economia vuoi fare rappresentare alla Sicilia; senza una visione strategica, partecipi a dei bandi, a delle occasioni, ma non riesci a creare massa. E’ chiaro che abbiamo delle economie e ambiti prevalenti: l’agricoltura, i nostri giovani, per dare loro modo di non spopolare i nostri territori, dare opportunità ai giovani di sviluppare le loro imprese in Sicilia, le infrastrutture abilitanti per potere fare investimenti. Però anche in Sicilia, torno a dire, le riforme. Se noi pensiamo di fare queste cose nella stessa modalità con la quale le facevamo prima, falliremo tutto il PNRR e alla fine diremo che non ci hanno dato i soldi, solo alla fine. Sono scritte le regole, quindi dobbiamo invertire le tendenze e lavorare in modo riformista.”

Nel ringraziarla, a lei la conclusione.

“Chiuderei sempre sottolineando questo: il PNRR è un piano per il cambiamento dell’Italia, non è un piano per resistere, resilienza, ma un piano per cambiare. Quindi la prima cosa che dobbiamo realmente fare, un po’ tutti noi, cittadini, imprese, istituzioni dell’Italia, è sapere se realmente vogliamo cambiare, e vogliamo cambiare per essere un’economia competitiva, anche al Sud, anche in Sicilia, anche nei nostri territori.”

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