di Giandiego Marigo 27/03/2020
Non ne parla più nessuno, sommersa dalla ricorrenza del coronavirus, che ormai occupa ogni possibile spazio. Insieme a lei sono scomparsi gli omicidi, le rapine, la mafia e tutto quanto riempiva giornali e social prima di lui … l’orribile virus.
Esiste però, è ancora lì ed aumenterà anzi nel dopo virus. Lo sta già facendo, infida, serpeggiante. Una realtà di cui non ci si vuole occupare. Quante famiglie ne soffriranno dopo questo disastro? Quanti negozi chiuderanno definitivamente? Quante partite IVA, operai di piccole aziende, commessi di negozi , giovani laureati senza lavoro e garanzie, quanti precari, lavoratori in nero vedranno chiudersi l’impressione di luce che intravedevano in fondo al loro personalissimo tunnel? Molti già intravedono il buio oltre la pandemia e certamente questo isolamento forzato non facilita.
La povertà! Come non ci piace parlarne, quanti comportamenti inconsulti, reazioni sconsiderate, atteggiamenti preconcetti essa provoca? Quanta paura trasferiamo nello stesso pensarla e nel rapportarci ad essa?
Chi scrive la conosce, sin troppo bene, sebbene sino ad oggi essa fosse la versione occidentalizzata, tutto sommato soft, di quella che chiamiamo povertà. Il medioevo prossimo venturo ce ne riserverà una visione più globalizzata? Più uniforme ed equa nella sua assurda e cinica crudeltà?
Sino a quando potremo continuare in questo gioco del non vedere quel che ci avviene attorno? Nella storia umana alle pandemie è sempre conseguito un periodo di follia e di povertà. A questo aggiungiamo la crudeltà teorizzata e praticata della globalizzazione liberista ed il gioco è fatto, il medioevo tecnologico servito.
I sondaggi (comunque addomesticati dal sistema, sarebbe illusorio ed assolutamente ingenuo pensare che così non sia) ci consegnano un indice di povertà in costante aumento, sia a livello locale che mondiale. La reazione è spesso inconsulta ed ulteriormente aggravata dall’emergenza. Negli Stati Uniti si abbandonano da tempo gli ultimi senza assicurazioni e garanzie, tanto più in questo momento, in cui si sceglie chi curare, qui da noi si multano i clochard senzatetto perché sono in giro, si opprimono i migranti anziché gli scafisti, si vive la povertà come fastidio, malattia, colpa.
È una realtà triste, pur essendo figli della povertà non riusciamo ad amarla, la odiamo anzi e trasferiamo quest’odio su chi , già di suo, è costretto a subirla.
Per non parlare della carità pelosa di chi, ha tutto e concede l’elemosina (saltuaria e misera) a chi non ha più niente.
In un mondo fondato sullo strapotere dell’economia e della finanza, dove spariscono le ragioni morali ed etiche e l’unico metro diviene la capacità di accumulo di potere e denaro, che si spinge oltre il cinismo sino alla crudeltà; la povertà è di fatto una malattia ed una colpa. Il calvinismo ci dice che il povero è punito in vita perché non grato a Dio. Il meccanismo che accredita il povero di una responsabilità personale è in atto e serve a chi povero non è come comoda giustificazione all’egoismo.
POVERTÀ
Come vi si racconta povertà?
Non c’è, sapete. nessuna nobiltà in denti rotti in bocca
né sdegnoso distacco, nel non aver vestiti
Non Valentino vestito di nuovo nessuna brocca di biancospino
nessuna tenerezza, né dolcezza
non c’é mediazione o compromesso
non c’è molta poesia nella paura!
La compassione poi dà persin fastidio
Non c’è gloria in una camera ammuffita
o in un armadio di vestiti smessi.
Tutti più larghi o stretti di quanto poi non serva.
Tutti vecchi e dismessi
tutti che ti qualificano per quel che sei
nessuno e niente.
Fuori dal tempo, inelegante, povero!
Non c’è nulla di epico
nel perder casa, nel non averla affatto
nel non veder futuro!
Non c’è interesse in voi, che fate solo finta, d’ascoltare.
Nulla di eroico o di spirituale ed è persin difficile da dire.
Nessun piacere si prova nel narrare
d’impotenza e dolore
Non c’è interesse, certo in chi t’ascolta
non è una bella storia
non c’è pathos, poca o nulla suspance
Vi si rappresenta soltanto il fallimento
morta speranza fa solo un po’ paura, nulla di bello.
Come posso spiegarvi umiliazione se non ci son parole,
se non c’è il modo giusto a raccontare.
Se a volte è impossibile ascoltare?
Come posso spiegarvi il rinunciare
alla socialità per la vergogna,
della tua bocca, del tuo vestito vecchio e stretto
di anni ed anni…in cui ti hai disimparato a stare insieme
per voi è normale il scegliere un vestito,
per uscire di nuovo questa sera
chi sono io … il pezzente per dire a voi
che no! non è normale, anzi è dolore
e persino umiliazione?
(fonte immagine: web)