Un libro di Ornella Mallo

Recensione di Maurizio Guarneri 02/05/2024

Il titolo “Sarà come non fossimo mai stati” della raccolta di racconti di Ornella Mallo, è una contraddizione sintattica nel senso di Berto e Bottai, cioè un enunciato che contiene due enunciati dichiarativi, di cui uno è la negazione dell’altro: se si fa riferimento alla poesia di Neruda, citata all’inizio, è una proiezione nel futuro, oltre la morte: “nessuno si ricorderà del nostro tempo insieme… solo io e te, ora, possiamo ricordare, dopo di noi, nessuno”. Si riferisce ad un amore ed esprime il rammarico che di esso non resterà in futuro alcun ricordo.
Se invece lo riferiamo alle relazioni descritte nel romanzo, assume un significato diverso: una relazione mancata, poteva essere una relazione d’amore ma non lo è stata, non è stata un’unione o lo è stata solo parzialmente: c’è il dolore per un’occasione perduta!
I due enunciati sono entrambi presenti nel romanzo, si alternano, s’incrociano sotto forma uno di ideale dell’amore, l’altro come presa d’atto di una realtà ben diversa; inoltre sembra che tanto più aumenta la frustrazione dell’esperienza quotidiana tanto più si alimenta l’anelito ad un grande amore e tanto più l’amore viene idealizzato, nel continuo desiderio di ciò che non si ha e che non si potrà mai avere, in un “bovarismo senza fine, fine solo a sé stesso.”
Elsa evade dal deserto affettivo che la asfissia, da una realtà inadeguata, privilegia l’illusione, fantastica una vita idilliaca, per poi tornare, delusa, nuovamente alla realtà.

“Ci prendono per navi e siamo isole”: le navi si muovono, si dirigono verso una meta, hanno una rotta, si possono incontrare, possono approdare in un porto; le isole sono immobili, separate inevitabilmente l’una dall’altra, ma si possono raggiungere con una imbarcazione o anche a nuoto. Se sono circondate “dal vuoto che si interpone tra un cerchio e l’altro”, sono menti separate e irraggiungibili, non ci può essere alcun contatto: che tesori possiamo offrire a quelli che non giungono?
In una relazione sono necessari i ponti, i cui pilastri possono essere stima, sentimenti, affinità elettive, intesa sessuale, dialogo, passioni condivise, progetti comuni ecc. ecc.: se non c’è alcun elemento di questi non c’è relazione, non esiste rapporto; possiamo parlare di coabitazione, di convivenza, di gestione comune di un’abitazione.
Anche l’accoglienza e la solidarietà non sono unilaterali, unidirezionali, implicano sempre un’alleanza; persino l’ascolto necessita di uno che parli e di uno disponibile a sentire. Trasmissione e ricezione.

Nel racconto “Celeste” troviamo descritto ciò che avviene spesso in una relazione narcisistica: vi è la dipendenza, la gelosia morbosa, lei che pensa di poter cambiare lui con il suo amore, lui che la allontana da tutti e la isola in una bolla, spegne ogni suo interesse, attacca le sue qualità.
In realtà, come succede spesso in questi casi, l’amore di lei non cambierà la situazione e l’infelicità sarà la dimensione costante in cui vivrà, non solo la coppia, ma tutta la famiglia.
Ciò che colpisce in questo racconto è l’attaccamento morboso di Celeste che resiste a tutto, persino al fatto che lui la uccide, lei definisce il loro rapporto “un delirio a due”: mentre lui la sopprime, lei nega che lui lo stia facendo… e lo aspetta in cielo per poterlo riabbracciare!!! In questa vicenda possiamo vedere un soggetto che ama solo sé stesso e non ha alcun interesse per l’altra, e l’altra che non ha alcun amore per sé stessa ed è legata incondizionatamente all’altro a prescindere da tutto, anche dal male che riceve da lui. 

In “Era una bambina bellissima” lui sposa un’altra, lei rimane e diventa l’amante, poi resta incinta ma lui non vuole che lei abbia questa figlia, lei abortisce. “Tutti e due ostinati, tu a rifiutarmi, io a volerti a tutti i costi…” L’ostinazione è un elemento che si ripete in questi racconti insieme alla doppiezza, vi è una scissione della personalità: una parte che vede chiaramente la realtà, è consapevole, una parte che la nega, la ignora: in questi casi la consapevolezza non viene utilizzata e il pensiero e il comportamento non sono minimamente influenzati da essa. Tale doppiezza che genera ambivalenza, ambiguità, è visibile agli altri e allo stesso soggetto che la prova, mentre non è visibile ed è inconscia una terza parte che mantiene tutto così come è e si traduce in ostinazione. Qual è il significato di questa ostinazione?

Nel caso di Elsa ci troviamo difronte ad una rete di triangoli: sua madre aveva avuto un amore segreto, per compensare l’infelicità per un marito infedele, come Antonio, l’amante di Elsa, a sua volta tradito dalla propria moglie, e come suo marito.
”Figure maschili tutte uguali, che rincorre nell’illusione di ritrovare il padre, troppo austero, quando era stata bambina. Forte della stabilità che le danno, rimanendole a fianco, spera che possano colmare i suoi vuoti, e spegnere le paure che la tormentano.” Emerge un modello di donna incompleta, non autosufficiente, la quale ha bisogno di un uomo che le dia stabilità.  Questo è a livello cosciente, ma è possibile che, a livello inconscio, vi sia la tendenza a ripetere le situazioni triangolari già create dai genitori attraverso una catena fatta da tradimenti che legittimano e motivano altri tradimenti? Perché, così, alla fine sia il padre ”l’ultimo baluardo dell’ amore vero…”?

Siamo pupi, marionette nelle mani di un burattinaio e pertanto viviamo in modo passivo, subiamo quello che ci accade, oppure ogni essere umano risponde alle sue idee, alla sua affettività, ai suoi valori, ai suoi principi, alla sua etica e determina, quindi, attivamente la sua vita? Siamo o no responsabili delle nostre azioni, delle nostre scelte?

Scrive Anna Maria Bonfiglio nella postfazione: ”in queste storie di coppia la donna è la figura soccombente, secondaria nel rapporto a due, colei che cede il passo, rinuncia, si apparta.” Certamente questo tipo di donna era più frequente incontrarlo negli anni ‘50-‘60, prima del movimento del ‘68, del movimento femminista del ’77, e soprattutto prima del 1970, quando è stata approvata la legge sul divorzio. Questa legge, insieme alla conquista – attraverso gli studi e il lavoro – dell’indipendenza economica della donna, ha reso quest’ultima più forte e più libera di determinare la propria vita, senza dover subire il dominio da parte dell’uomo. Infatti oggi abbiamo ben il 50/100 di rapporti di coppia che finiscono con una separazione e in una città come Milano i singles hanno superato di gran lunga i soggetti accoppiati. Tuttavia, come la stessa Bonfiglio sottolinea, in questa società attuale “ancora resiste e persiste il retaggio di una condizione femminile subalterna” e lo si può trovare, in modo più evidente, nelle storie di femminicidio precedute da anni di soprusi e sopraffazioni.
Vi è un altro gruppo costituito da coppie che non riescono a separarsi sebbene il loro rapporto  sia arrivato al capolinea. In questi casi è utile servirsi della metafora della corda i cui capi sono tutti spezzati, ma vi è un’anima, un capo interno di acciaio che persiste tenacemente e solo un tronchetto potrebbe tagliare. Vi sono alcuni fattori  facilmente comprensibili, come per esempio una forte intesa sessuale che permane nonostante tutto, aspetto questo, di solito non evidente agli altri, oppure il rapporto come genitori dei figli nati dall’unione, l’importanza che acquista il partner come genitore che resterà per sempre, lo renderà unico, ed ancora l’imprinting dell’inizio della relazione, l’innamoramento, il ricordo di un grande amore che persiste come traccia mnestica nel tempo  e magari  alimenta la speranza di tornare a quella fase felice. Poi ci sono altri aspetti meno consci, meno evidenti, addirittura francamente patologici. Può esserci una problematica edipica, una situazione triangolare con uno dei soggetti in rivalità con il terzo elemento, una eccitazione nella sfida per la riconquista del partner. Ci può essere, in uno dei due soggetti o anche in entrambi, una visione narcisistica tale per cui ciascuno non riesce a vedersi senza l’altro; vi è un’incapacità da parte di uno o di entrambi di percepirsi come individuo che ha un valore in sé a prescindere dall’altro: ne deriva una condizione di dipendenza o di interdipenza.
Può trattarsi in alcuni casi di una relazione sado-masochistica, all’interno della quale vi è un piacere nell’infliggere sofferenza e specularmente un piacere nel provare sofferenza, nel vittimismo, nell’accusare l’altro, nel cercare di farlo sentire in colpa.
I ruoli si possono alternare nella stessa relazione tra l’uno e l’altra. Comunque spesso vi è una complicità di entrambi i membri della coppia: bisogna tenere presente che una relazione, per definizione, è formata da due persone, che sono parimenti responsabili in qualche modo.

Fare e farsi del male: oggi si chiamano “relazioni tossiche”, e lo sono non soltanto per i soggetti che formano coppie di questo tipo, ma anche per coloro  che vivono nello stesso ambiente; soprattutto i figli, le famiglie di origine di entrambi, i familiari e persino gli amici , si tratta di qualcosa di negativo che permea e pervade tutto l’ambiente, tutto l’entourage.
In “Sospesa” la madre , uscendo di casa, si sente osservata dalla figlia Beatrice e si sente in colpa “nel vederla spettatrice incolpevole delle nostre miserie di genitori”. Spesso di fronte ad un problema di coppia si pensa solo ai due che formano la coppia, ma in realtà vi è una ricaduta importante sui figli che risentono di una situazione  problematica, magari per anni, della mancanza di serenità, dell’ambiguità che impregna l’atmosfera familiare.
Questo è l’effetto nell’immediato, nell’infanzia, nell’adolescenza, fino a quando vivono in famiglia; ma vi è un effetto a lungo termine, importante, di tipo psicologico. Che modello maschile viene offerto? Che modello femminile avranno i figli? Che modello di relazione di coppia viene dato? Avranno, da adulti, sufficiente fiducia e sicurezza nel fare un progetto di famiglia? Sappiamo da Freud che, tendenzialmente, l’essere umano è mosso dalla coazione a ripetere, a ricreare le situazioni nevrotiche  vissute nell’infanzia,  ad applicare i modelli ricevuti dall’ ambiente familiare; tuttavia, per fortuna, è possibile sempre seguire vie alternative a quelle che la vita, la famiglia ha indicato, soprattutto se i figli  sono consapevoli e informati possono utilizzare il modello ricevuto al contrario, comunque esso  è un punto di riferimento, da cui partire.

In questi racconti troviamo molto spiccato l’amore per la natura, gli alberi, il cielo, il mare e più volte viene usata l’espressione “essere inghiottiti”, come se ci fosse il desiderio di un’unione / fusione con l’universo una sorta di reinfetazione, una relazione assoluta che sostituisca una relazione di coppia idealizzata. Troviamo ancora l’amore per i figli e infine l’amore per  la scrittura come espressione del proprio disagio di vivere.
La prosa di Ornella Mallo è una prosa ”poetica”, sia perché usa molte citazioni di poeti, di poesie, ma anche perché usa molto le immagini, le metafore nonché un linguaggio poetico. Un altro tema è la paura dell’oblio, la memoria come antidoto alla consapevolezza del tempo che passa inevitabilmente, al “panta rei”, al pensiero che non rimanga nulla; forse questo problema è più sentito quanto più il presente non è felice e per questo acquistano più valore il passato ed il futuro.

Facendo un movimento a 180° si può passare da una situazione di sofferenza ad una situazione di rinascita e, in questo senso, viene in mente il Kintsugi, una tecnica che viene utilizzata quando si rompe un oggetto in ceramica: invece che buttarlo o incollarlo come si fa in occidente, lo si ripara con l’oro messo fra i pezzi che vengono messi insieme ed allora il vaso diventa più bello di quanto non fosse prima.

La causalità della rottura rende unico l’oggetto nonché più prezioso per il metallo che lo decora. Nello stesso modo il dolore, per i giapponesi, non suscita un sentimento vergognoso, da estirpare o da occultare; le ferite dell’anima, così come i difetti fisici, non vanno celate ma esibite, essendo le stesse parte dell’uomo e della sua storia, e che a partire da esse, dalla loro accettazione e dalla loro trasformazione, prendono il via i processi di rigenerazione e rinascita interiore che ci rendono delle persone nuove e risolte. D’altra parte anche le perle nascono dal dolore, dalla sofferenza di un’ostrica ferita da un predatore: altro non è, una perla, che una ferita cicatrizzata. La famiglia descritta e realizzata da Michela Murgia, la famiglia “queer”, che si forma per “addizione“, è il risultato della “messa insieme di vari pezzi”: non è la famiglia formata da consanguinei  ma da membri  che sono uniti “per scelta“, “per amore”. Il primo aspetto importante è, quindi, come si vede nelle varie storie di questa raccolta, esternare il dolore, non nascondere i problemi e le ferite, ed in questo senso la scrittura è senz’altro uno strumento valido; il secondo aspetto è poterne parlare, poi si può aspirare a trasformare il negativo in positivo,   ”in oro”; ma per fare tutto ciò  è necessario  essere “artisti” nella vita.