Newton, uomo scorbutico e secondo molti anche sgradevole, pare fosse anche paranoico e temeva la povertà e le critiche degli altri. Fu inoltre litigioso e si azzuffò con molti suoi contemporanei come Hooke e Leibniz (che detestava).

Tuttavia era un genio e la fotografia di apertura di questo articolo si riferisce ai suoi studi di ottica: Newton studiò la dispersione ottica di un raggio di luce bianca che attraversa un prisma di vetro si scompone nei vari colori. Si accorse per primo che cambiando la direzione dei raggi colorati con una lente, in modo che convergessero in un secondo prisma, si riotteneva la luce bianca. Invece isolando un raggio colorato e facendolo passare per un prisma esso rimaneva invariato. Newton concluse che la luce bianca era formata dalla combinazione di vari colori. 

Al di là di questa scoperta, il suo pensiero appare attualissimo non solo per le sue ricerche nel campo dell’ottica (fu matematico e filosofo), ma in maniera fondamentale per ricordare ai nostri contemporanei come si ragiona. Attività che, per tutta una serie di motivi che discuteremo in un prossimo articolo, sembra da molti miseramente dimenticata.

Nel Luglio del 1687 Newton diede alla luce la prima edizione, di un’opera che cambiò per sempre il metodo d’investigazione della natura, Philosophia Naturalis Principia Mathematica (Principi matematici della filosofia naturale).

Il metodo newtoniano, fondamentale nell’evoluzione non solo delle sue scoperte scientifiche, ma di tutte quelle venute dopo, fino ai nostri giorni, consiste in due parti fondamentali: un procedimento analitico, che procede dagli effetti alle cause, a cui succede un procedimento sintetico, che consiste nell’assumere le cause generali individuate come ragione dei fenomeni che ne derivano. A questi due procedimenti Newton applica quattro regole fondamentali, da lui così definite:

  1. Non dobbiamo ammettere spiegazioni superflue;
  2. A uguali fenomeni corrispondono uguali cause;
  3. Le qualità uguali di corpi diversi debbono essere ritenute universali di tutti i corpi;
  4. Proposizioni inferite per induzione in seguito a esperimenti, debbono essere considerate vere fino a prova contraria.

Ma come spesso è accaduto, le idee che a posteriori possono sembrare ovvie e scontate ad una qualunque persona dotata di buon senso del XXI secolo, nel XVII secolo trovarono non poche difficoltà ad affermarsi.

Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, inizialmente nominato “De Motu Corporum”, venne presentato alla Royal Society il 28 Aprile 1686, e il 19 Maggio durante un’assemblea venne annunciato “Che Philosophia Naturalis Principia Mathematica del signor Newton fossero stampati immediatamente in bella lettera, e che gli fosse scritta una lettera per comunicargli la decisione della Society.” Le prime copie del manoscritto si esaurirono in poco tempo, ma la penetrazione all’interno degli ambienti scientifici del tempo non fu semplice, l’Europa colta era dominata dalla fisica cartesiana e gli ambienti culturali erano permeati da questo tipo di filosofia che, in un certo senso, faceva più appello all’immaginazione che alla ragione. Anche dopo molti anni dalla pubblicazione dei “Principia”, si preferiva adottare come testo per l’insegnamento la “Physics” di Rohault, una traduzione delle teorie cartesiane. Nel 1718, Samuel Clark, allievo di Newton, per far entrare i concetti dei “Principia” all’interno delle accademie dovette ritradurre in latino la fisica di Cartesio, ma aggiungendo un commento in chiave newtoniana. La fortuna di quest’opera, anche se con molta difficoltà, permise di cambiare per sempre la visione del mondo; e un merito per cui i “Principia” videro la luce è stato grazie a Edmond Halley, che pagò la stampa, corresse le bozze e controllò i calcoli, cosa che gli costò “moltissimo tempo e inquietudini.”

Il fisico scozzese Brewster, la definì “un’opera memorabile non solo negli annali di una scienza o di un paese, in quanto formerà un’epoca nella storia del mondo, e sarà sempre considerata come la pagina più luminosa degli atti della ragione umana.” Oggi, Philosophiae naturalis principia mathematica può essere considerata come il primo trattato di fisica moderna, fondamento e punto di partenza dello sviluppo successivo di questa scienza. Con Newton assistiamo alla formalizzazione completa ed esauriente di tutte le conoscenze accumulate nel processo detto “rivoluzione scientifica”, per arrivare infine alla sua più grande conquista: la legge di gravitazione universale. L’immensa varietà di fenomeni che essa riesce a spiegare (studio di maree, comete, moti lunari, ecc.) rappresentò agli occhi dei contemporanei la sua più eccezionale conferma.

E ora rivolgo un invito a tutti coloro che sentenziano senza analizzare, ai vari complottisti e creduloni del WEB: date retta a uno che ha scoperto la legge della gravitazione universale e osservate questa sua semplice ma fondamentale regola: «Hypotheses non fingo», in base alla quale si rifiuta qualsiasi spiegazione che prescinda da una solida verifica sperimentale; non fingo ipotesi significa perciò l’impegno a non assumere alcuna ipotesi che non sia stata indotta da una rigida concatenazione di esperimenti e ragionamenti basati sulla relazione di causa e effetto.

Meditate, gente, meditate.

Fabio Gagliano

Origine immagine: WEB