Di Fabio Gagliano

Breve storia di una festa (più o memo) internazionale, oggi nel secondo anno della pandemia, con una riflessione sui diritti (mai) acquisiti per sempre e il punto sulle prime rivendicazioni dei lavoratori: le ore lavorate.

un’altra Festa dei Lavoratori senza manifestazioni, con le iniziative dei sindacati in streaming e il tradizionale concerto senza pubblico in streaming su Rai Tre e Radio Due. La parola d’ordine di quest’anno, “l’Italia si cura col lavoro“, si riferisce  a come  la pandemia abbia inciso sui fronti del lavoro e dell’economia.

Anche se in 82 Paesi la Festa del Lavoro  è una giornata di festa nazionale, negli Usa il 1° maggio è una festività dedicata alla primavera e alla “lealtà verso gli Stati Uniti”, ideata nel 1958 dal presidente Eisenhower che impose questa formula per evitare che la Festa del Lavoro diventasse per davvero “universale” unendo i lavoratori (evidentemente “socialisti e comunisti”) di ogni continente.

Ma la Festa del Lavoro nasce proprio in America: è stata infatti istituita in ricordo dei sanguinosi scontri del 1886 a Chicago tra  polizia e manifestanti, che chiedevano maggiori diritti e, soprattutto, la riduzione della giornata lavorativa a 8 ore (contro le 16 lavorate al giorno): molti manifestanti anarchici, furono poi condannati a morte. L’episodio è passato alla storia prendendo il nome di rivolta di Haymarket dalla piazza dove si teneva il mercato delle macchine agricole, dove avvennero gli scontri.

Ma perché le manifestazioni presero origine incentrandosi sulla giornata lavorativa? Questo ce lo aveva già spiegato Karl Marx nel 1849 nel suo famoso saggio “Lavoro salariato e capitale”. Nell’introduzione Engels spiega in maniera molto chiara la chiave di lettura di tutto il pensiero di Marx: l’operaio non è pagato in base a ciò che produce, al suo lavoro, ma per il tempo in cui mette a disposizione la sua forza lavoro, tenendo conto ovviamente anche del plusvalore. Ma il salario non è parte del valore del prodotto finale che il capitalista venderà sul mercato, infatti né il prodotto finale né il processo produttivo vedono partecipe in maniera attiva l’operaio salariato; egli è proprietario solo della sua forza lavoro che è costretto a vendere al capitalista per garantirsi la sua sopravvivenza. Non è un caso che Marx definisca infatti gli operai salariati come i “nuovi schiavi”. Marx, quindi definisce scientificamente il concetto di salario: esso è una somma di denaro determinata in base al tempo (giorni, mesi, settimane, etc.) di utilizzazione della forza lavoro, in parole semplici è il suo prezzo. Ed esso non dipende dal valore della merce una volta venduta sul mercato. È  un valore già prestabilito al momento in cui il capitalista compra la forza lavoro dell’operaio.

Nel IV capitolo, Marx spiega che se aumenta il capitale aumenta anche la forza lavoro e di conseguenza ci sarà una maggior richiesta di chi la può produrre, cioè il proletariato, la classe operaia. Di conseguenza, stando alle leggi di domanda e disponibilità, aumenterà quindi la domanda di lavoro e anche il prezzo della forza lavoro. Tuttavia l’operaio non godrà di una maggiore soddisfazione sociale, in quanto il valore del suo salario sarà si aumentato ma in maniera diseguale rispetto al valore del capitale, che in relazione avrà registrato un aumento molto più grande. E qui dobbiamo fare un’importante distinzione tra salario reale e salario nominale. Il salario reale infatti corrisponde alla quantità di merci che io posso realmente comprare con una determinata somma di denaro (potere di acquisto); il salario nominale, invece, è la somma per la quale l’operaio si vende al capitalista.
In sintesi, abbiamo 3 possibili scenari:

1. L’aumento del salario nominale, accompagnato solitamente anche da un aumento delle merci sul mercato (aumento del capitale), comporta nella maggioranza dei casi una diminuzione del salario reale.

2. Il salario nominale non aumenta affatto e rimane invariato, mentre il valore di scambio del capitale aumenta in maniera spropositata, provocando una diminuzione ancora più grande del salario reale; questo è anche il caso più probabile.

3. Nel peggiore dei casi, nonostante il capitale registri un notevole aumento di valore, il salario nominale potrebbe addirittura diminuire provocando così una discesa ancora più rapida per il salario reale; in sostanza peggiori condizioni di vita per il proletariato e per le masse lavoratrici.

Anche nel miglior dei casi l’operaio vede sempre un peggioramento delle sue condizioni di vita, in quanto diventa ancora più diseguale il rapporto tra la ricchezza dell’operaio e la ricchezza del capitalista.

E questo è il fulcro che consente l’esistenza stessa di una classe privilegiata e una classe sfruttata, il principale cardine su cui poggia tutto il sistema capitalista: il diseguale e inverso rapporto di valore tra capitale e lavoro. All’aumentare del profitto, quella parte che si aggiunge al capitale e va a costituire il capitale accresciuto, diminuisce il salario reale e aumenta il potere dei capitalisti sulla classe operaia.
A questo punto è quindi palese che l’abbattimento del capitalismo potrà avvenire solo eliminando il profitto, ma, nello stesso tempo, sorge anche spontaneo chiedersi quale possa essere una soluzione alternativa. In questa opera, però, Marx si limita a questa aspra critica del sistema capitalista.

Ai nostri giorni, al netto della pandemia e del terremoto economico provocato dalla covid, QUANTE SONO, OGGI, LE ORE LAVORATE NEL MONDO? Dal XIX secolo a oggi molto è cambiato: la cultura, le leggi, il lavoro, i diritti, la consapevolezza. Ma ogni progresso sul fronte dei diritti dei lavoratori è costato caro, e la lezione della Storia è che “nulla è mai acquisito per sempre”. In un’economia che cambia velocemente regole e strumenti, ogni diritto delle fasce più deboli, i lavoratori, quelli precari, quelli che dipendono da uno stipendio a fine mese e quelli che un lavoro non ce l’hanno, va “presidiato” e difeso, se necessario.

Tra le bandiere delle prime rivendicazioni, a molti potrebbe sembrare che “la battaglia delle ore di lavoro” sia vinta definitivamente, salvo poi riflettere sulle infinite varianti del lavoro atipico o sulla pratica diffusa degli straordinari non retribuiti.

Per quanto riguarda proprio il Lavoro Atipico, se oggi la situazione appare disastrosa a causa della pandemia, non è che fino al 2019 le cose andassero bene, anzi.

Secondo uno studio della Confartigianato di Mestre dal 2007 al 2018 c’è stata nel nostro Paese una diminuzione delle ore lavorate. Inoltre la bassa crescita del Pil registratasi negli ultimi 12 anni ha condizionato anche la qualità dei nuovi ingressi nel mercato del lavoro.

Se i lavoratori dipendenti a tempo parziale sono aumentati di oltre 1 milione di unità (+40,2% sul 2008), quelli a tempo pieno, invece, è sceso di 341 mila unità (-2,3% sul 2008).

Il calo delle ore lavorate è stato maggiore al Mezzogiorno: -10,7% (pari a -1,4 miliardi di ore lavorate) tra il 2007 e il 2016 (ultimo anno in cui i dati regionali sono a disposizione); -5,8% nel Nordest (-563 milioni), il -5,7% nel Nordovest (-755 milioni), -5,1% nel Centro (-491 milioni).

Tra le regioni i cali più importanti si sono visti in Molise e in Sicilia (entrambi -12,4%), in Campania (-12,3%) e in Basilicata (-11,1%). Per contro, la Lombardia (-4,8%), il Lazio (-2,9%) e il Trentino Alto Adige (-1,1%) sono state le meno interessate da questo fenomeno. Tra il 2008 e il 2018 l’escalation del numero di dipendenti a tempo parziale ha specie interessato il Sud (+355.000 unità, +55,4%). Più contenuto il dato che ha riguardato il Centro (+226.000, +41,1%), il Nordovest (+275.000, +35,7%) e il Nordest (+187.000, +30,1%). Campania (+68,6%), Calabria (+66,7%) e Puglia (+62,3%), invece, hanno registrato la più alta percentuale di crescita.

Marche (+26%), Umbria (+22,8%) e Veneto (+12%), sono state meno coinvolte dall’aumento della “precarizzazione” del mercato del lavoro.

Appare evidente che Le risorse del Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) dovranno creare lavoro e rilanciare l’industria , attraverso nuovi investimenti che dovrebbero privilegiare il meridione d’Italia . Il lavoro è l’unica via per costruire il futuro dell’Italia, l’Italia si cura col lavoro!

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