Si è da poco conclusa l’esercitazione militare Vostok 2018, la perfetta rappresentazione delle attuali divisioni politiche e strategiche fra Oriente e Occidente. 300 mila uomini dell’esercito russo, migliaia di carri armati, centinaia di aerei, navi e la sorprendente partecipazione dell’alleato, ma un  tempo rivale, cinese.

Dall’11 al 15 settembre sono state coinvolte la maggior parte delle forze schierate nei distretti Centro e Ovest della Federazione russa.  Il ministro della Difesa Sergej Šojgu ha dichiarato che Vostok 2018 è  la più grande esercitazione dai tempi di Zapad-81 che simulò una rapida invasione dell’Europa occidentale da parte dell’Armata Rossa e delle restanti forze del patto di Varsavia.  “Non si è mai tenuto niente di simile per territori, strutture di comando e truppe interessate, immaginate 36.000 carri armati e veicoli blindati muoversi allo stesso tempo, tutto verrà testato in condizioni quanto più simili possibili a quelle di un conflitto“  ha aggiunto il ministro della difesa.

In una nota rilasciata dal Cremlino si legge che tale esercitazione è necessaria al fine di assicurare il mantenimento delle capacità militari dell’esercito russo dato “l’attuale contesto internazionale, il quale ha spesso promosso una postura aggressiva e affatto amichevole nei confronti del nostro Paese”.

Il riferimento al contenzioso ancora in corso con Europa e Stati Uniti per l’annessione della Crimea è chiaro, ma se da Occidente la Russia si trova in perenne antagonismo con la NATO, da Oriente il Cremlino al momento non deve temere alcuna minaccia.  Anzi negli ultimi decenni la Federazione russa ha cercato di sfruttare la zona al confine con la Cina come campo in cui coltivare migliori rapporti con l’imponente vicino, malgrado Mosca sappia di poter finire relegata  al ruolo di partner subalterno dato l’enorme divario in termini di PIL e crescita annua che c’è fra lei e Pechino.

L’alleanza Russo-Cinese è nulla più di una momentanea comunione di intenti il cui avvicinamento è da attribuire più alle prese di posizione occidentali che allo sforzo diplomatico operato dai due paesi nel tentativo di trovare un punto d’incontro. Dal momento che Pechino è nel pieno delle guerra commerciale, combattuta a colpi di dazi doganali, contro gli USA sovranisti di Donald Trump e Mosca continua a patire le sanzioni economiche (rinnovate per l’ennesima volta) dell’UE e degli Stati Uniti in risposta all’annessione della Crimea, i due colossi asiatici sono stati involontariamente spinti l’uno fra le braccia dell’altro.  Per suggellare questa nuova alleanza e per mettere in scena una diretta e precisa prova di postura  rivolta alle potenze occidentali, l’Armata popolare di liberazione cinese ha inviato un contingente di 3.500 militari, 800 blindati, 6 aerei e 24 elicotteri.

L’opposizione coesa all’Occidente non riesce comunque a nascondere il secolare antagonismo strategico che esiste fra Russia e Cina, che condividono migliaia di chilometri di confine e un recente passato di conflittualità e dispute territoriali,  soprattutto perché Pechino, da quando è entrata nell’Olimpo dei pesi massimi commerciali, ha iniziato a nutrire delle non troppo velate  volontà espansionistiche nell’Artico e nell’Asia centrale, entrambe zone di influenza storicamente di appannaggio russo.

Nei primi anni ‘90 il PIL dell’appena nata Federazione russa era superiore a quello della Cina, oggi quello cinese è quattro volte più grande ed espone Mosca ad una dipendenza commerciale da Pechino che Vladimir Putin, nonostante le sanzioni, si ostina a negare.  Resta il campo della ricerca e dello sviluppo militare, settore in cui Pechino è perennemente  in ritardo e cronicamente a corto di uffici di progettazione, ma su cui la Russia non ha mai smesso di investire trasformandolo nello strumento del suo ritorno al centro del palcoscenico internazionale.

 

Fabrizio Tralongo

 

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