di Ornella Mallo                                                                                                  24/04/2020
Holt, negli scritti di Kent Haruf, non è che uno sfondo. O, se vogliamo, un pretesto. La cittadina del
Colorado in cui sono ambientati i romanzi della “Trilogia della pianura”, di cui “Benedizione” fa
parte, viene dipinta con pochissime pennellate sapienti, conformemente allo stile scabro dello
scrittore americano, tanto scarnificato di abbellimenti inutili, quanto essenziale ed incisivo nel
risultato.
Dalle pagine del romanzo emergono le sue strade squadrate, “dritte come le righe di un libro”. Le
villette ordinate e le stoppie di frumento che brillano al sole, appena fuori città, nelle strade
secondarie.
In contrasto con questo ordine apparente, l’animo umano, tempestoso e complesso, traversato da
passioni contrastanti tra loro. E ciascuno dei personaggi incarna un aspetto caratteriale dell’Uomo in
quanto tale, su cui si riversa l’attenzione minuziosa dello scrittore.
Leggendo “Benedizione”, mi è venuto in mente quanto scrive Pessoa: “Nella vasta colonia del
nostro essere, c’è una folla di molte specie che pensa e sente in modo diverso.”
Come pure Michel De Montaigne: “Noi siamo fatti tutti di pezzetti, e di una tessitura così informe e
bizzarra che ogni pezzo, ogni momento va per conto suo. E c’è altrettanta differenza tra noi e noi
stessi che fra noi e gli altri.”
E così, la trama apparentemente compatta dell’animo umano, come apparentemente compatto è il
paesino di Holt, viene lentamente sgomitolata in tutte le sue ambivalenze, muovendo dal
personaggio di Dad Lewis, malato terminale di cancro, cui viene predetta dai medici la morte
imminente, che sarebbe avvenuta prima della fine dell’estate. Di lui lo scrittore fa dire a uno dei
personaggi del libro: “Dad Lewis è una persona da conoscere. […] Puoi regolare il tuo orologio su
quello di Dad Lewis. E non credo si riferisse al tempo.”
Accanto a lui, Mary, la moglie, di cui s’intravede la vecchiezza e il muoversi lento al suo fianco, in
una devota assistenza che lo sorreggerà fino alla fine dei suoi giorni. Con tratti scarni ma decisi, lo
scrittore fa affiorare dalle pagine del racconto i personaggi, rendendoli perfettamente visibili al
lettore.
A Dad e a Mary, così uniti nel loro amore coniugale, si affianca Lorraine, la figlia, che giunge da
Denver per stare vicino al padre. Lorraine ha un destino contrastante con quello dei genitori: è una
donna di età matura, segnata dalla perdita della figlia, investita da una macchina, e dalla relazione
difficile con Richard, che non piace al padre.
La coppia ha anche un altro figlio, Frank, che aleggerà come un fantasma per tutta la durata del
romanzo: il rapporto tormentato con lui, turberà il padre al punto di sognarlo, poco prima di morire,
insieme ai suoi genitori. Nonostante gli strenui tentativi di rintracciarlo, messi in atto dalla madre, di
fatto Frank ha lasciato la famiglia di origine senza lasciare traccia. Dad non è stato in grado di
gestire il disagio che aveva nei suoi confronti, a causa della sua omosessualità, e probabilmente è
stato questo il motivo per cui il figlio ha deciso di rompere in modo drastico con la famiglia di
origine.
Quindi già, da questi pochi tratti, emergono le differenze e i contrasti esistenti tra persone che fanno
parte dello stesso nucleo familiare; lo scrittore mostra come non siano così univoci e semplici i
rapporti tra gli esseri umani.
Sempre per rafforzare il tema, Haruf accosta a questa famiglia altri personaggi: dalla vicina di casa
Berta May, con la bambina Alice; a due abitanti del villaggio, madre e figlia, Willa e Alene; fino
alla figura del reverendo Lyle. E piano piano, scioglie la matassa, e dimostra come la popolazione di
Holt non è unita, nonostante le apparenze, ma disgregata, nella realtà.
Sicuramente ottusa e bigotta nel suo atteggiamento ostruzionistico nei confronti del reverendo Lyle,
che viene rimosso dal mandato per avere sottolineato, in un sermone, la giustezza e la portata
rivoluzionaria del “Discorso della montagna”, tratto dal Vangelo di Luca, traslandolo alla condotta
che deve avere la potenza americana nei confronti degli altri stati.
“Ma ciò che voglio dirvi ora, qui, a Holt, in questa calda mattina di giugno, è questo: forse Gesù
non stava scherzando. […] Magari era pienamente consapevole di come va il mondo e conosceva di
persona la crudeltà e la cattiveria, il male e l’odio. Li conosceva così bene per esperienza personale,
diretta. Porgete l’altra guancia. […] E se ci provassimo? […] Ma se invece dicessimo: State a
sentire, […] vogliamo farvi dei doni[…]. Tutto il denaro pubblico degli Stati Uniti, tutto l’impegno
e le vite umane che avremmo impiegato per distruggere, vogliamo impiegarli per creare. […] In
pratica, vogliamo amarvi.[…] Vi tratteremo come fratelli e sorelle. Porgeremo la nostra guancia
nazionale collettiva e ve la lasceremo colpire, se è proprio necessario. Ascoltate, noi…”
Il discorso di Lyle non solo non viene accettato, ma il reverendo viene aggredito e allontanato dalla
cittadina di Holt, in quanto giudicato simpatizzante dei terroristi.
Con questo, lo scrittore vuole dimostrare come la grettezza, negli animi della collettività, sia dura a
morire; e come l’abbia vinta, invece, sui valori morali della solidarietà e dell’accoglienza.
Contrasti, quindi, su contrasti. Per cui, all’amore coniugale fedele e trasparente che intercorre tra
Dad e Mary, lo scrittore accosta l’amore adulterino tra Alena e un uomo sposato, mettendo in risalto
la lealtà dell’una e la viltà dell’altro. Alla devozione di Lorraine, vicina al padre fino alla fine,
accosta la strafottenza di Frank, che sparisce per sempre.
E fra tutti i personaggi, pare che lo scrittore si incarni nel reverendo Lyle, che viene dipinto nella
sua attività preferita, che è quella di passeggiare per strada, sul far della sera, guardando, attraverso i
vetri delle finestre, quello che succede nelle case: spiare la vita altrui, per cercare di coglierne il
significato, e per esplorare gli abissi più profondi, portandoli alla luce.
All’agente che lo ferma e lo invita a tornare a casa perché le persone si sentivano violate nella loro
intimità, dice di volere vedere “Persone in casa propria di notte. Vite comuni. Che trascorrono senza
che loro se ne rendano conto. Speravo di ritrovare qualcosa.. […] La preziosa normalità. […] Ciò
che ho visto è la gentilezza e la dolcezza reciproche tra le persone. Lo scorrere lento del tempo in
una notte d’estate. La vita normale.”
L’agente, di rimando, risponde: “Be’, le persone in generale sono piuttosto buone. La maggior parte.
Non tutte. Quello che vedo io è il rovescio della medaglia”.
Quindi l’animo umano, con tutte le sue contraddizioni, è il vero protagonista dei romanzi di Haruf,
e, in particolare, di “Benedizione”, che fa parte, insieme al “Canto della pianura” e a “Crepuscolo”,
della Trilogia della Pianura. Lo scrittore ne ha una visione ottimistica, alla fine. I personaggi positivi
prevalgono su quelli negativi, che comunque acquistano, nel corso della narrazione, dei barlumi di
ravvedimento.
Poetica quanto mai la descrizione della morte di Dad, un personaggio positivo, nonostante i
dissapori col figlio, così umani, del resto: la perfezione non ci appartiene. E’ solo un anelito.
Aneliamo di giungere alla fine dei nostri giorni, il più possibile migliori di come siamo all’origine.
In un cammino verso la magnanimità, che è poi la vera bellezza dell’anima.
Una lettura, quella di “Benedizione”, edificante, che consiglio vivamente in questi giorni così oscuri
e cupi, in cui tutto viene messo in discussione, e più che mai è importante rispettare i valori della
solidarietà e dell’aiuto reciproco.
(fonte immagine: web)