Se non sono già avvenuti, quali cambiamenti si preparerebbero al vertice di cosa nostra?

Cambiare per non cambiare. Si potrebbe dire cosi oggi a distanza di qualche giorno dalla morte di Totò Riina, riconosciuto come il capo dei capi fino al giorno in cui è stato arrestato. Si, perché dopo l’arresto, Totò u curtu ha cominciato il suo declino come capo di cosa nostra. Basta pensare a tutto ciò che diceva mentre era in carcere, probabilmente, sapendo di essere intercettato durante le sue passeggiate con il boss pugliese Lo Russo. Un vero boss non parla e non minaccia e a volte comunica facendo allusioni, a meno che, non voglia mandare dei segnali ben specifici. Ma in questo caso un boss come Totò Riina aveva bisogno di mandare segnali di minacce all’esterno facendosi intercettare? Oppure poteva utilizzare metodi meno sgamosi? Ciò potrebbe significare che la famiglia di Corleone potrebbe essersi indebolita al cospetto di cosa nostra.  I comportamenti di Totò Riina in carcere, come anche il libro scritto dal figlio Salvatore  e l’intervista fatta  nel salotto di Bruno Vespa, potrebbero intendersi come gli ultimi colpi di coda di una animale ferito che non si rassegna alla perdita di potere all’interno dell’organizzazione.  In tutto questo, il panorama che si delinea sembra essere quello di uno stallo nella corsa al potere, nella gestione della cupola, quella cupola istituita  diversi decenni addietro, nel fantomatico incontro tra i mafiosi siciliani ed i cugini d’oltre oceano per stabilire un nuovo modus vivendi.  Dall’arresto di Riina il nome che è stato fatto nella sua  successione è quello di Matteo Messina Denaro, capo della famiglia di Castelvetrano ed imperante nel territorio del trapanese. Ma Totò Riina a quanto pare, durante una delle sue tante intercettazioni in carcere fece intendere che non vedeva di buon occhio il trapanese. E sembrava infastidito del fatto che questo novello boss si stesse facendo strada. Di ciò ne hanno parlato fior di giornali ed esimi mafiologi indicando il boss di Castelvetrano come normale sostituto del capo nella gestione degli affari di cosa nostra. Nel frattempo sono passati venti quattro anni dall’arreso del grande capo, venduto a detta di qualche voce di popolo, dal suo vecchio compagno d’armi Bernardo Provenzano. Ma sono solo voci e attualmente non ci sono riscontri ma solo misteri. Come non c’è riscontro alle notizie che hanno cominciato a circolare in questi giorni a proposito della successione del capo dei capi. In tanti si stanno chiedendo se l’erede di Totò Riina alla guida di cosa nostra possa essere il di lui figlio Salvatore, cosa al quanto improbabile visto che il rampollo di casa Riina sembrerebbe che si sia fatto beccare dalle telecamere di sorveglianza piazzate nei pressi della sua abitazione dalla polizia padovana, mentre sta acquistando della cocaina per i suoi festini da uno spacciatore africano. A meno che l’acquisto di stupefacenti per uso personale non sia tornato tra i reati perseguibili, Salvuccio Riina non ha molto da temere da parte della giustizia italiana. Cosa ben diversa è per lo status di cosa nostra, la quale facendo riferimento a certi codici d’onore, sempre che esistano ancora, questa sua debolezza non potrebbe portarlo ai vertici dell’organizzazione e ne sminuirebbe la figura. Tutte queste voci che oggi fanno un nome e domani un altro, sono solo voci che servono a creare nell’immaginario collettivo, delle nuove figure da mitologia mafiosa, mentre  da qualche parte si parla di metodi elettorali per designare il nuovo capo dei capi, aspettando il beneplacito dei cugini d’oltre oceano.

Liborio Martorana