Quella domenica pomeriggio di 27 anni fa, mi trovavo in macchina e la radio era accesa: era il 19 luglio 1992. Poco dopo, lungo il tragitto che da Agrigento mi riportava a Palermo, appresi della notizia dell’attentato di via D’Amelio.

Ho sentito un senso di paura, di smarrimento per quelle vite spezzate, per quel massacro.

Nel mirino della mafia, 57 giorni dopo la strage di Capaci, stavolta il giudice amico di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino. I due eroi che in vita sono stati lasciati soli.

Brandelli di corpi lacerati dallo scoppio di un’autobomba. Insieme al giudice amico di Falcone e della sua città, Palermo, c’erano cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

I loro volti, i loro nomi, viaggiano nei ricordi di tutti. Noi non dimenticheremo mai.

Non dimenticheremo, soprattutto, di chiedere giustizia. Quella giustizia ancora negata, che vede complici anche esponenti dello Stato.

Sin da subito si portò avanti la strategia del depistaggio. Un depistaggio ben organizzato, che ha spazzato via la dignità di ogni cittadino.

Grazie a Nicola Morra si è arrivati alla decisione di desecretare l’audizione di paolo Borsellino dell’8 maggio 1984 resa davanti alla Commissione parlamentare  antimafia dell’epoca. Una decisione preziosa. Insomma un altro tassello si aggiunge alle indagini, ma ancora non basta.

Noi vogliamo giustizia.

Serena Marotta

 

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