Le onde che alte si infrangono sugli scogli mi nascondono al mondo. Quando il mare è in tempesta mi sento tranquilla. E’ quando l’inverno lascia il posto alla brezza primaverile, che io ho paura. Ho paura che il mondo veda la mia vera faccia, che i turisti sciamino per le strade e mi guardino negli occhi. D’inverno qui ci sono solo pietre e acqua salata che corrode il ferro e piega gli uomini.  In inverno siamo cento persone sull’isola e ci conosciamo tutti, sarà per questo che tutti mi evitano: io sono quella strana.

Quando sono arrivata qui, con tutta la mia vita stipata in pesanti valigie, nessuno è venuto ad accogliermi o mi ha porto una mano. Sono salita da sola su un vecchio bus scalcinato, unica viaggiatrice. L’autista era troppo curioso per non chiedermi quanto mi sarei fermata. Ho risposto che mi sarei fermata per sempre. Mi ha chiesto di te, ho detto che te ne eri andato, per sempre. Due volte in pochi minuti ho detto per sempre, io che nella mia vita ho sempre pensato che tutto muta costantemente. E’ mutata anche la mia convinzione che tutto muta. Quest’istante di dolore sarà eterno.

Ma qui tra gli oleandri e i capperi, trovo quel po’ di pace che mi è concessa da quando te ne sei andato. Ho scelto la clausura volontaria della mia casa sull’isola.

Qui la mattina all’alba esco nel mio giardino e lascio che lo sguardo vaghi nel giorno che sta nascendo e si perda tra gli alberi fino al mare. Anche se è distante, nel silenzio dell’alba, lo riesco a sentire. Mi sembra per un breve istante, di essere guarita dal dolore che per sempre, lo so, tormenterà la mia anima.

Non dormo più, da settimane. A volte chiudo gli occhi, ma rimango sospesa tra questa dimensione e il sonno. Presto l’orecchio a ogni rumore, aspettando che tu ritorni da me. Lo so che non ritornerai, è questa la tua scelta, non posso che assecondarla.

Il tempo lenisce ogni dolore, lo so. Aspetto che succeda anche a me. Aspetto che lentamente la mia anima straziata smetta di bruciare.

Ho bruciato la mia carne, passando una mano sulla fiamma viva, per dimenticare, anche per un attimo solo, il dolore della mia anima. Ma non è servito a nulla, carne e anima pulsano all’unisono. Niente ti porterà via dal mio cuore.

Ho messo via la tua roba nel ripostiglio. La tengo con cura. Io lo so che non tornerai, ma in fondo al mio cuore ho sempre la speranza di vederti riapparire in fondo al viale con la tua andatura claudicante e il tuo sorriso sghembo. Se un giorno tornerai, beh, potrai indossare la tua maschera e nuotare di nuovo tra i pesci dorati di quest’isola magica.

Lo so che non tornerai, ma lascia che a volte mi illuda. Mi serve per sopravvivere. Magari un giorno mi trascinerò fino alla scogliera, nel punto più alto e lascerò che il mio corpo voli e muoia sugli scogli. Solo il corpo è vivo. Io sono morta da tempo. Non so perchè non l’abbia ancora fatto. Forse è solo che sono curiosa e voglio vedere come va a finire.

A volte, quando veramente non riesco più a respirare senza di te, mi lascio avvolgere dai tuoi maglioni. Hanno ancora il tuo profumo, ma lo stanno perdendo lentamente. Non so cosa farò quando non riuscirò a trovarti da nessuna parte. Forse, sarà allora che deciderò di lasciarmi volare.

Coltivo tutte le piante che ti piacciono e curo l’orto come piaceva a te. La primavera vedrà sbocciare le tue amate rose e l’orto in estate mi darà i pomodori. Il giardinò si riempirà di colori e profumi come amavi tu. Ma tu non ci sarai.

Io spero sempre di vederti tornare, se non da me, da questi sassi neri cotti dal sole, da questo cielo adesso nero, ma che in estate all’orizzonte si confonde col blu del mare.

 

E’ venuto oggi Peppino a trovarmi. Il volto scavato dal sole e dalla salsedine. lo sguardo fermo e la schiena curva, come sempre. Mi ha chiesto quando saresti arrivato. Non se, ma quando. Anche se i giorni passano, uno dietro l’altro, nessuno si rassegna a non vederti tornare.

Scusami, se ho fatto entrare i gatti in casa, so che non ti piace e pulirò fino in fondo, ma adesso piove a dirotto e loro odiano stare fuori. Tra qualche giorno dovrò decidermi a uscire e andare a fare la spesa. Le scorte di carne, che sembravano durare all’infinito, si stanno esaurendo. Non ho voglia di uscire perchè so che tutti quelli che hanno il coraggio di parlarmi mi chiederanno di te.

 

 

Oggi sono andata a fare la spesa e ho incontrato padre Antonio. Mi ha chiesto se avessi bisogno di qualcosa. Evidentemente la notizia del tuo abbandono si è sparsa, ma io non ho bisogno di niente. Anzi, ho solo bisogno di te. Gliel’ho detto, ma lui non capisce, ha detto che a volte le vie del Signore sono misteriose. Non so, non ho idea di cosa voglia dire, secondo me non lo sa neanche lui ed è solo una frase di circostanza da dire quando non c’è niente da dire, come “condoglianze” a un funerale. Meglio stare zitti, piuttosto. Questa cosa è sempre stata uguale per tutti e due: se non hai niente da dire, taci e se non trovi le parole, ma vuoi confortarmi, abbracciami in silenzio.

Gli ho voltato le spalle senza rispondere e questo certo non mi aiuterà a essere più popolare qui, ma tanto io non ho mai voluto essere popolare. Anzi.

Ho comprato tutte le cose che ti piacciono. Ormai la primavera è alle porte, ma i colegamenti con la terra sono ancora difficili per il mare in tempesta e non si trova molto sull’isola. Ho comprato il tuo yogurt preferito, quello ai cereali, le lenticchie e le carote. Oggi ti preparo la zuppa di lenticchie. C’è un gran vento, spero che ti porti l’odore ovunque tu sia e ti convinca a venire ad assaggiarla. Ti piaceva la mia zuppa di lenticchie, all’inizio. Alla fine non più, ma alla fine rifiutavi tutto quello che veniva da me, quindi non conta.

Adesso forse potresti apprezzarle di nuovo. Adesso che non ci sono più ostacoli tra noi. Io non ho mai capito perchè hai scelto di andare, anche se lei ti aveva lasciato.

In verità, non ti ho mai capito fino in fondo: un giorno mi sembrava che bastasse guardarti negli occhi per leggerti dentro e il giorno dopo mi sembravi così enigmatico…ma è stato parte del tuo fascino. Oggi non lo so più, penso che preferirei capirti meglio.

La zuppa è pronta, dopo settimane finalmente posso uscire sul balcone a gustarmela. Il mare è uno spettacolo e il vento è finalmente diventato una brezza.

Non piove più da due giorni e il giardino ha smesso di essere un pantano. Quando sei in un posto così, comprendi la forza della natura. Vedi onde che rischiano di ingoiare strade e vento che spazza il terreno. La notte qui il buio è assoluto e se guardi le stelle capisci di non essere niente

La zuppa è squisita, ne ho dato un po’ anche ai gatti, credo che almeno loro mi vogliano bene, perchè si strusciano contro di me in continuazione e lasciano che li accarezzi. Ho portato qui i miei libri e comprato una sedia a dondolo, come quelle che ti piacciono tanto. Adesso sono stanca, leggo un po’ qui in terrazza, anche se fa freddo. Mi riscalderò con un bicchierino di cognac. Lo so che non ti piace che beva, ma un po’ ogni tanto non mi farà male e forse mi aiuterà a prendere sonno.

Il libro mi fa piangere, ma non importa, perchè nessuno mi vede. Il cacciatore di aquiloni…l’avrò letto dieci volte, ma non riesco a trattenermi. Anche quella è una storia di abbandono, come la nostra. La verità è che mi hai abbandonato e mi sale una rabbia cieca, volgare. Urlo, urlo fino a a non avere più voce, tanto non mi sente nessuno, piango fino a disidratarmi. Perchè te ne sei andato? Perchè la terra non si apre e mi ingoia?

 

Il sole mi trova distesa a terra sul terrazzo, dove mi sono addormentata dopo avere pianto tutte le lacrime che ho. Ho freddo, mi fanno male gli occhi. Entro dentro casa ed evito gli specchi, so di avere un aspetto terribile. Vado a letto portando con me la bottiglia di cognac. Ho intenzione di rifugiarmi nell’oblio dell’alcol e di distruggere sistematicamente il mio fegato. Sono troppo vigliacca per uccidermi gettandomi dalla scogliera, ma forse posso uccidermi lentamente.

Mi assale la nausea e vomito sul letto. Svengo.

Mi sveglio dopo ore. Fuori il sole sta già tramontando. Mi faccio schifo, sono stata debole, ma adesso mi rimetto in sesto. Se tu dovessi tornare scapperesti da una così.

Prendo una pillola per il mal di testa. Scaldo la zuppa di lenticchie, Per prima cosa riempio lo stomaco, ho bisogno di cibi sani. Apro le finestre e lascio che la brezza serale rinfreschi la casa. Cambio le lenzuola, esco in giardino.

Le piantine crescono, a breve cominceranno ad apparire i boccioli di rosa. Innaffio le piante, parlo con loro con amore, ho letto che serve e d’altra parte, con chi potrei parlare? Ho usato così poco la voce ultimamente, che fatico a riconoscerla. E’ rauca e mi graffia la gola.

 

 

Stamattina mi ha chiamato tua madre. Neanche lei riesce a credere al fatto che tu abbia tagliato i ponti con la tua vecchia vita. Non capisce perchè non ti faccia vedere e sentire neanche da lei. Io capisco che hai preso una decisione drastica, ma lei è vecchia e soffre persino più di me. Mi dispiace, ma non so che farci, neanche io mi sono abituata alla tua assenza. Ti sogno spesso e al mattino allungo la mano per prendere la tua. Non la trovo mai. Mi ricordo quando, all’inizio, dormivamo allacciati, poi hai iniziato a cercare scuse per starmi lontano. Alla fine, quando ho capito che c’era un’altra, hai smesso di cercare scuse e ti allontanavi e basta.

Eppure ti sarei rimasta vicina comunque, ti amavo e ti amo ancora così tanto che avrei accettato qualunque cosa purchè non te ne andassi, io non sono incorruttibile come te, che non hai mai accettato compromessi. Per te è sempre stato tutto o bianco o nero e hai condannato me al nero della tua perdita. E’ così che vedo il mondo da quando te ne sei andato: nero. Ti sei portato via la luce e i colori.

Per tua madre deve essere la stessa cosa. Forse potremmo consolarci a vicenda, forse era solo questo che cercava da me oggi, ma le ho detto di non chiamarmi più, soffro troppo. Ogni volta che la sento rivedo il suo volto così simile al tuo e la ferita torna a bruciare. Le ho promesso che se ti farai vivo, la chiamerò subito, è l’unica cosa che sento di potere fare per lei, io lo so che sei testardo e non tornerai, ma non ho voluto toglierle la speranza. Senza speranza si muore. Perfino io, che sono morta dentro, continuo a sperare di vederti tornare. Non dovresti neanche parlare, non mi serve nessuna spiegazione. Se tu ritornassi, ti abbraccerei stretto. Questa è casa tua. Io sono casa tua.

 

 

E’ tornata la primavera e l’isola si è trasformata: stanno tornando i colori e i profumi che si erano addormentati. E’ il risveglio della natura. Riesce ad emozionare perfino me. E’ difficile non emozionarsi davanti alle rose che sbocciano.

Il giardino è meraviglioso: dappertutto il rosa, il rosso e il bianco degli hybiscus  e delle lantane in fiore attirano lo sguardo. Le rose gialle e le rose rosa sono rigogliose come non mai. L’orto è profumato di basilico e menta. Le piantine di pomodoro e melenzane crescono a meraviglia. Sembra che la natura voglia infondermi nuova vita. Non mi sento troppo infelice oggi, mi sento anzi stranamente orgogliosa. Questo risveglio della natura in parte è merito mio, che ho coltivato e concimanto queste piantine una per una. Chissà, forse si sono nutrite anche delle mie lacrime. Oggi guardo fuori e mi sento in pace. Scatto una foto a queste meraviglie e te la mando, Non si sa mai, magari la guarderai e mi risponderai. Mi basta poco: un sorriso, una parola. Non mi rispondi, da qui a quando è sera il mio umore è precipitato nel nulla del tuo silenzio. Neanche una parola. Scaglio il telefono sul pavimento. Lo distruggerei come se fosse colpevole del tuo mutismo. Dovrei prendere le mie pillole, ma non ne ho voglia. Prima le prendevo, ma mi lasciavano stordita e incapace di provare sensazioni. Preferisco sentire il dolore della tua assenza che vivere sott’acqua. Il dottore dice che è solo per qualche mese e che poi potrei smettere di prenderle, ma lui che ne sa. Dice che è solo una lieve depressione reattiva al tuo abbandono e che mi riprenderò presto. Lui non lo sa che io sono morta dentro. Io lo so così bene che per essere certa di non essere morta davvero, devo tagliarmi. Forse è per questo che qui mi guardano strano, non capiscono che le mie ferite mi tengono ancorata alla terra. Se non ci fossero loro sarei morta. Forse un giorno mi taglierò definitivamente e morirò davvero. Il dottore non lo sa perchè non sono più tornata da lui. Le pillole fanno schifo, il dolore va bene. Vado a prendere le forbici, ho deciso di riaprire la ferita sulla coscia destra, le lame tagliano la carne fresca e cedevole, il sangue scorre  e solo adesso io capisco di essere viva. Urlo il tuo nome e piango, ma sono viva.

Mi taglio il palmo della mano sinistra, strazio ancora la mia carne perchè la mia anima urla ancora, tace solo attraverso il sangue e smetto solo quando la sua voce è ridotta a un bisbiglio dal pulsare della mia mano. Adesso sono soddisfatta. Vado a disinfettarmi e bendo la mano. Dirò a tutti quelli che mi avvicineranno per chiederlo, che mi sono ferita facendo giardinaggio. Non mi importa se mi crederanno, le mie ferrite sono regali per te. Ti regalo la mia sofferenza, la scambierei volentieri con la tua, se potessi.

Lo so che hai sofferto molto quando lei se ne è andata, ma mi auguro che tu abbia capito che non ti meritava.

Mi ha chiamato tua madre, ancora una volta. E’ così straziata dal dolore che straparla, è convinta che io sappia dove tu sia e non voglia dirglielo, povera donna!

Adesso però devo dormire, anche se il sole è appena tramontato, il mio corpo ha bisogno di riposo, quando mi taglio spreco molte energie e ho bisogno di dormire molto. Riesco a dormire bene solo in questi casi, perchè il dolore è sgorgato via insieme al sangue e io mi sento pulita.

Bevo un bicchiere di latte e dei biscotti, come facevamo quando tornavamo stanchi dal mare. Era una nostra abitudine, e vado a letto. Dormo senza sogni.

 

Oggi è stata una giornata piena: stamattina è venuto Enrico, a trovarmi. E’stato molto gentile a farmi un pò di compagnia. Certo qui un carabiniere non ha moltissimo lavoro, la vita è molto tranquilla, non ci vedevamo da qualche anno e mi ha fatto piacere. Mi ha chiesto di te, voleva sapere come mai non sei venuto ancora. Gli ho raccontato che te ne sei andato, che hai scelto di abbandonare me e, a quanto pare anche l’isola..

Ha voluto fare un giro del giardino, fino al mare. Era molto curioso, credo che facendo il suo lavoro, essere curiosi diventi parte della propria natura. Mi ha fatto i complimenti per il giardino. Ha voluto vedere perfino il magazzino e il baule che avevo ridipinto per te. Si è complimentato per come l’ho ristrutturato, dice che anche lui è un amante del fai da te. Si è stupito perfino di come fosse pulito il magazzino, dice che il suo in confronto è un macello. Sono piccole, piccolissime soddisfazioni. A un certo punto ho temuto volesse farmi il filo, perchè mi ha chiesto se potevamo entrare in casa per un caffè e ha cominciato a chiedermi come passassi le giornate, cosa facessi tutto il giorno, quando sono venuta qui e perchè. Era da tanto che nessuno si interessava così a me. Chissa, forse potrei farci un pensierino. E’ così dolce e gentile.

Figurarsi che mi ha detto che tua madre ha chiamato perfino lui per avere conforto. Non sapevo neanche che lo conoscesse. Lui è così dolce, che ha capito che avevo bisogno di compagnia.

Gli avrei offerto la cena. Ho tirato fuori dal freezer un pò di quel saporitissimo pasticcio di carne che ho fatto appena arrivata qui e che tengo per le occasioni speciali, ma lui non ha voluto fermarsi, magari un altro giorno, ha detto. Spero di sì, mi piacerebbe tanto. So che non sei geloso e comunque sei stato tu ad abbandonarmi e non ne avresti il diritto

Mi ha detto che tornerà a trovarmi. Chissà: caffè dopo caffè potrebbe nascere qualcosa di bello tra di noi.

Ero così di buon umore quando è andato via, che ho deciso di andare a fare due passi e mangiare al ristorante. Ho preso un tavolo vista mare, e ho mangiato polpo bollito leggendo Camilleri. Mi sembrava di essere in un suo romanzo. Mi ricordo quando li leggevamo insieme. Come mi piaceva! Poi ho fatto la spesa e ho comprato delle pesche dolcissime. Ho comprato un libro, sono rientrata a casa. Era tempo che non stavo fuori così a lungo e che non mi sentivo così bene, E’ stato bellissimo.

 

Secondo me gli piaccio davvero. E’ tornato anche oggi, ma ha portato un amico, chissà, forse non voleva che capissi quanto ci tiene a me. Il suo amico era molto rigido e formale, non so come facciano a stare insieme quei due, e anche un pò maleducato, perchè mentre Enrico continuava a chiedermi come stessi e cosa facessi per mantenere le rose così belle, lui continuava a fotografare in giro…o forse voleva soltanto non stare troppo tra i piedi. Certo poteva anche chiedere il permesso per fotografare il mio giardino. Mi sono un pò indispettita, ma non ho detto nulla pechè non volevo che Enrico si dispiacesse.

Dopo un’ora ha chiamato altri amici suoi e sono stati sempre a guardare il giardino. Sono sicura che se ci fosse un concorso per il giardino più bello, lo vincerei. Enrico non ha voluto che uscissi, ma poi ho sentito dei cani e ho cominciato a urlare e mi sono precipitata fuori. Come si permettono a portare cani nel mio giardino? Spaventano i gatti e poi hanno cominciato a scavare dappertutto con le loro zampacce. Enrico mi ha detto di stare calma, ma non li ha fermata. Perchè non li ha fermata? Quei cagnacci sembravano impazziti e hanno distrutto tutto il mio lavoro. Hanno divelto le rose e le lantane e poi, finalmente si sono seduti in silenzio, come se avessero raggiunto il loro scopo.

Solo allora Enrico e I suoi amici si sono avvicinati e li hanno accarezzati, come se avessero fatto una cosa positiva! Alcuni amici di Enrico hanno continuato a scavare dove i cani avevano distrutto tutto. Uomini brutti che indossavano tute bianche, forse per proteggersi dal sole. Si sono fermati dopo qualche minuto, o era forse qualche ora? Non lo so, la mia percezione del tempo non è mai stata brillante.

Hanno tirato fuori dalla terra un oggetto rettangolare, sembra il tuo telefono, ma so che è impossibile. Enrico mi ha guardato strano, non so perchè. E poi hanno detto che stavano aspettando un dottore da Palermo. Addirittura! Non ho capito chi stesse male, io no. Enrico non mi ha parlato più, credo che avesse tanto da fare e fosse dispiaciuto per il mio giardino. Lo vedevo che era contrariato, ma mai come me. Io ero veramente furiosa. Però per farsi perdonare, ha lasciato due rgazzi in uniforme a farmi compagnia. Non mi hanno lasciata sola un attimo, neanche quando sono andata a stendermi un po’ sul divano. Finalmente è arrivato il dottore, strano tipo, non ha visitato nessuno, che razza di Dottore è, uno così? E’ andato a vedere le mie povere rose e i miei pomodori. Mentre lui dava indicazioni i ragazzi con le tute bianche hanno ripreso a scavare e poi ho capito perchè i cani si agitavano tanto: hanno trovato delle ossa! Ma se me lo avessero detto gliene avrei date io, in casa ne ho un mucchio, nel freezer, qualcuna con la carne ancora attaccata, pensavo di tenerle da parte per I gatti, per quando non avevo voglia di scendere in paese. Ne hanno trovate anche sotto l’albero di limoni, e gli Hybiscus e il gelso, certo, le ho usate per concimare.

Hanno scoperto i miei portavasi di cui vado orgogliosa, sul muretto del terrazzo, come sempre, sono stati i cani. Maledetti! Se li sono portati via senza chiedermi il permesso. Enrico mi chiede spiegazioni sul perchè uno dei due era rotto da una parte, lo so, l’avevo rotto io inavvertitamente con un colpo di crick, me lo ricordo bene, quel giorno. Non avrei voluto, ma lei non voleva andarsene e così l’ho dovuta colpire e ho rotto la parte frontale. Poi ho cercato di sistemarla, ma la frattura si vede, anche se era ben coperta dale foglie delle violette.

Il tuo cranio è perfetto invece. Con te non ho fatto questo errore, non ti avrei fatto soffrire come ha sofferto lei, ma lei lo meritava. Amore, avrei voluto che tu capissi, invece hai continuato a gridare mentre la colpivo. Gridavi così tanto che non riuscivo a farti smettere, me lo ricordo bene. Ti ho sussurrato che sarebbe andato tutto bene, ma tu non volevi smettere, ho provato a zittirti con un bacio, come all’inizio della nostra storia, ma tu non volevi più baciarmi. Mi hai fatto arrabbiare e ti ho dato un morso, volevo solo spaventarti, ma quando avevo la tua lingua fra i denti ho capito che solo così saresti stato zitto e l’ho stretta sempre di più. Che buon sapore aveva il tuo sangue! Me lo ricordo bene, era così buono, che non potevo fermarmi. E la tua lingua, soda e carnosa e dolce! Un ragazzo in uniforme si è alloontanato, forse non si sente bene, era molto pallido, adesso sento che è di là che vomita. Vorrei andare ad aiutarlo, ma Enrico mi dice di continuare e poi c’è il dottore. Che strano Dottore!

Finalmente tu sei zitto. Così legato al letto, col sangue che ti sgorga dalla bocca mi assale una voglia di coccolarti che non sai, ma prima devo finire con lei. Non si muove più finalmente, ora potrai essere mio. Te lo dico, ma tu non puoi rispondermi, lo so, ma scuoti la testa e capisco che sei arrabbiato. Allora ami lei più di me, è vero! Mi sono arrabbiata e vado via, tornerò quando sarai più ragionevole, ma al ritorno, sei freddo e duro, e anche lei. Ho deciso di tenerti con me per sempre. Ho visto che piacete anche ai miei gatti, da come vi leccano e si strusciano. Nerina ha anche mordicchiato un po’ la tua gamba e tu non l’hai mandata via, finalmente.

Ho preso tutto quello che mi apparteneva, l’ho messo in valigia e sono venuta qui, ad aspettare che tu torni, ma non tornerai più, vero?

Marina Caserta

 

Rubrica a cura di Fabrizio Vasile