23 Maggio 2018 – Commemorazione strage del giudice Falcone, di Francesca Morvillo e degli uomini della scorta

Anche quest’anno saranno commemorate le vittime della strage del 23 maggio di ventisei anni fa secondo una cadenza ormai ben nota.

Vi sarà l’arrivo della nave della legalità nel porto di Palermo con a bordo scolari e insegnanti di ogni ordine e grado provenienti da diverse parti d’Italia, dei giovani scout di diverse organizzazioni, di tanti attivisti e volenterosi. Seguirà celebrazione della figura del magistrato e del maxi processo nell’aula bunker del carcere dell’Ucciardone e a finire presidio sotto l’ Albero Falcone in via Notarbartolo, a Palermo, abitazione del giudice assassinato con il minuto di silenzio nell’attimo della strage.

Tutto ben organizzato, rodato. Quest’anno tuttavia da più parti si sono levate critiche a questa “liturgia commemorativa” che a molti lascia l’amaro in bocca di una appuntamento dove la forma, la struttura, rischia di prendere il sopravvento sulla sostanza.

Mi spiego meglio. Le tensioni nazionali (elezioni, formazione del nuovo governo con forti pulsioni sovraniste e populiste) ma anche le tensioni internazionali (Siria, Palestina, Corea del Nord, Venezuela, Nicaragua solo per citarne alcune) hanno generato un fenomeno strano se non fosse allarmante. La mafia non c’è più. Sparita dall’agenda di governo (insieme a tutto il sud in verità).

I problemi che restano sono i migranti morti di fame che a rischio della vita arrivano sulle  nostre coste per poi finire schiavi in mano a quella mafia che si ingrassa e ci lucra sopra. Strano Paese il nostro dove se arrivi morto (vi ricordate il piccolo Aylan con pantaloncini e scarpette morto riverso sulla spiaggia?), l’opinione pubblica si commuove mentre se arrivi vivo si incazza.

Il grido di allarme lanciato dai magistrati che di mafia si occupano, Di Matteo in testa, non viene raccolto se non in occasione delle celebrazioni (Falcone oggi, Borsellino prossimamente) per poi essere dimenticato il giorno dopo. Ma se questo potrebbe essere (sottolineo potrebbe) fisiologico con la classe politica che, specie in Sicilia, dal dopoguerra fa affari e scambi con la mafia (vi ricordate di Lima, Ciancimino, i cugini Salvo e via dicendo) non risulta comprensibile né tollerabile da parte di chi si appresta a sostituire la vecchia classe dirigente nazionale.

Il contrasto senza quartiere alla mafia e alle collusioni con la politica, la lotta alla corruzione e agli sprechi  dovrebbe essere in cima ad ogni progetto, contratto, accordo di governo. Ma così non è. Per inciso lo spreco non esiste. E’ un concetto relativo. Per noi tutti è una disgrazia ma per pochi è una vera cuccagna. I soldi non spariscono: escono dalle tasche di tanti per finire nelle tasche di pochi.

Ed infine, lasciatemi dire, tutto si tiene. Nel generale degrado e imbarbarimento della politica nazionale con il controllo asfissiante di ogni dettaglio che possa danneggiare o ridicolizzare l’ avversario (curriculum o scontrini o dove parcheggi la Panda) se il Presidente della Camera Roberto Fico dichiara che l’ Antimafia è una priorità dello stato cominci lui a dare lustro alle istituzioni e si tolga le mani dalle tasche quando suona l’inno nazionale.

 

Rosario Tralongo

23 maggio 2018

fonte immagini: web