I risultati annunciati dal Consiglio Nazionale Elettorale Venezuelano hanno premiato il presidente Nicolás Maduro come netto vincitore dell’ultima tornata elettorale del paese.  Circa il 46% degli aventi diritto si è recata alle urne consegnando a Maduro il 68% delle preferenze, quasi 6 milioni di voti, il principale candidato dell’opposizione Henri Falcón ha raggiunto il 21%, circa 2 milioni di voti.

La buona ed ordinata riuscita del processo elettorale in un clima di incertezza e disastrosa crisi economica è già di per sé un successo non indifferente anche se le principali testate giornalistiche internazionali hanno tenuto a precisare che la percentuale di astensione si è attestata su livelli alti, sottolineando come la gente fosse più occupata a “cercare da mangiare” piuttosto che ad esercitare il proprio diritto al voto.

I paesi del G7 hanno dichiarato di non riconoscere il risultato elettorale definendo le elezioni “illegittime e poco credibili” , ciò nonostante è bene precisare che:

-Quest’ultima tornata elettorale è stata soltanto l’epilogo di una lunga trattativa, tenutasi nella repubblica Dominicana, fra il governo e le opposizioni che si è concretizzata nella stesura di un contratto, poi non firmato, da parte delle suddette nel giorno concordato.

-La comunità internazionale e il partito del candidato Falcòn hanno denunciato brogli e irregolarità verificatesi alle urne. Il sistema elettorale Venezuelano è in parte elettronico, il voto elettronico è certificato da una scheda stampata e il conteggio dei voti elettronici può essere fatto contando le relative schede emesse (o mancanti), inoltre Maduro ha annunciato che il 100% dei seggi verrà scrutinato manualmente nei prossimi giorni.

L’opposizione è stata fortemente penalizzata dalla percentuale di astensionismo, più di quanto non lo sia stato lo stesso Maduro, questo perché nel paese non esiste un’alternativa concreta alla politica governativa condotta fino ad oggi che, seppur spesso criticata e dopo le tante aberrazioni commesse, viene percepita come l’unica speranza per l’auto determinazione di grosse fette della popolazione.

Anche se la vittoria di Maduro è un’importante presa di posizione a livello nazionale ed internazionale non rappresenterà una soluzione ai problemi del paese.  L’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno già aumentato la pressione diplomatica sul Venezuela che attraversa la più grave crisi economica della sua storia: il Bolivar, la moneta nazionale, è soggetta ad un’incontrollata inflazione che ha toccato l’800%, reperire beni di prima necessità, dal cibo alle medicine, è pressoché impossibile e, quando accade, i prodotti vengono venduti a 20 – 30 volte il loro effettivo valore. Il welfare nazionale è praticamente collassato e quelli che avevano i mezzi per cercare migliori condizioni all’estero lo hanno fatto. Il governo di Chavez ha una grossa fetta di colpa nell’aver creato le precondizioni della crisi da quando, nel 2013, ha fatto dell’esportazione del greggio l’unica locomotiva economica del paese, riproponendo le strutture burocratiche, clientelari e corrotte del passato.  Al contrario di Chavez, il governo Maduro non è mai stato in grado di comunicare quali misure economiche il governo intendesse adottare, né tantomeno come attuarle.

L’empasse di Maduro ha progressivamente spazientito anche le forze armate che vivono le stesse difficoltà della popolazione e che il 15 marzo scorso hanno accusato il colpo di assistere all’arresto del ministro dell’interno e fondatore del servizio di intelligence venezuelano: Miguel Rodriguez Torres, accusato di essere in contatto diretto con gli Stati Uniti e di aver organizzato un colpo di stato.

Al momento alcune fonti interne al ministero della difesa venezuelano stimano che circa 86 ufficiali fra tenenti, capitani e colonnelli siano stati arrestati dal governo e che la possibilità che si verifichi un colpo di stato sia tutt’altro che minima. Ciò che al momento allontana lo spettro di un golpe è la pressione diplomatica unita alle sanzioni economiche imposte al Venezuela che, in questo momento, mantengono le forze armate su posizioni timidamente filo governative.

 

Fabrizio Tralongo

24 maggio 2018

 

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