A cura di Fabrizio Tralongo

 

L’incontro di venerdì tra il leader della Corea del Nord Kim Jong-un e il presidente sudcoreano Moon Jae-in è stato descritto come “epocale” dalla maggior parte delle testate internazionali, e le immagini e i video degli abbracci, dei sorrisi e delle strette di mano tra i due leader sono state accolte con enorme soddisfazione da parte di chi ha sempre sperato e sostenuto la distensione nei rapporti fra le due Coree, ancora formalmente in guerra dal 1950, anno in cui venne fissata la famosa linea di confine del 38esimo parallelo.  L’incontro, e in particolare il momento in cui Kim ha preso per mano Moon facendogli attraversare la linea del confine, ha sorpreso tutti non tanto per il gesto di per sé distensivo, quanto più per il clima di assoluta rilassatezza e giovialità che ha superato le aspettative anche dei più scettici fra gli osservatori.

Lo storico incontro si è tenuto in una location molto importante per il suo valore simbolico: Panmunjom il luogo in cui nel 1953 venne firmato l’armistizio (non un formale trattato di pace) che pose fine alla guerra di Corea.  Il leader del Nord e il presidente del Sud hanno firmato una dichiarazione che apre nuovi scenari per gli equilibri militari e politici della penisola, dicendosi pronti ad ultimare la denuclearizzazione della penisola e trasformare l’armistizio del ’53 in un vero e proprio trattato di pace entro la fine del 2018, con la promessa da parte di Kim di frenare le provocazioni missilistiche che tanto hanno impensierito gli osservatori internazionali negli ultimi tempi.  “Siamo una nazione e siamo legati dal sangue, non possiamo vivere separati”, ha detto il leader del Nord al termine dell’incontro.

E pensare che soltanto pochi mesi fa immagini come quelle di venerdì erano inimmaginabili: i test balistici della Corea del Nord erano serrati, e le relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti sembravano aver raggiunto i minimi storici. A posteriori non si può non ammettere che tutte le precedenti provocazioni siano state  parte di una precisa strategia volta a concedere al governo di Pyongyang una posizione di vantaggio nelle successive trattative. La sud Corea ne è stata talmente allarmata da aver accelerato le trattative diplomatiche in occasione delle Olimpiadi e successivamente per l’incontro di venerdì. Come spiegato dall’esperto di Corea del Nord dell’ Associated Press, Eric Talmadge, Kim Jong-Un  è riuscito a presentarsi al summit in una posizione di forza: “non sta iniziando le trattative con il suo rivale per disperazione. Lo sta incontrando come leader di una potenza nucleare”.

Ora come ora, l’incontro rappresenta una solida base su cui fondare le future trattative, ed  iniziarle con un incontro che stabilisca buoni rapporti personali tra i due leader che si troveranno ad  affrontarle è un ottimo inizio, pur dovendo ammettere che al momento, di concreto all’orizzonte si vede ben poco:  la ratifica di un regolare trattato di pace che superi i limiti dell’armistizio del ’53, come la riduzione degli arsenali nucleari, ora come ora restano nulla più che semplici intenti dato che al summit non è stato fornito alcun dettaglio su come questi due giganteschi obiettivi saranno conseguiti, né sono state fornite delle scadenze temporali che vincolino i due stati a portare avanti le trattative. Altra discrepanza sottolineata da alcuni analisti è che dalle trattative attuali sembra essere stato completamente omesso qualsiasi accenno alla questione dei diritti umani, gravemente e sistematicamente violati da decenni in Corea del Nord, come è stata omessa la questione delle sanzioni internazionali verso il regime di Pyongyang che si ripercuote sulla  popolazione privandola dei generi alimentari di prima necessità e gettando il paese nella crisi energetica durante gli inverni più rigidi.

Ancora meno chiare sono le reali intenzioni di Kim e quanto sarà disposto ad accettare le condizioni che gli verranno imposte da Stati Uniti e sud Corea riguardo la denuclearizzazione: Il governo USA da sempre spinge per lo smantellamento, verificato e verificabile, dell’arsenale atomico nord coreano nel suo complesso, di contro però il governo di Pyongyang  da sempre sostiene la necessità di mantenere  un minimo livello di deterrenza nucleare per non fare la fine “della Libia di Gheddafi o dell’Iraq di Saddam Hussein”.

Il compito che spetta adesso agli Stati Uniti è quanto mai complicato, questo Maggio si dovrebbe tenere un incontro formale fra Donald Trump e Kim Jong-Un e questa volta non potranno bastare le strette di mano, i sorrisi e le dichiarazioni di amicizia che però non sfociano in nulla di definito, dal momento che l’obiettivo dichiarato di Washington è quello di porre la parola fine al programma nucleare nord coreano e Pyongyang pretende la smobilitazione generale di tutte le truppe statunitensi dislocate a sud della penisola (circa 28.000 uomini) e lo smantellamento del sistema difensivo THAAD, un moderno sistema di difesa missilistica che dovrebbe proteggere la capitale sud coreana, Seoul, da eventuali attacchi a sorpresa lanciati dal nord ma che, visto il suo raggio d’azione, sembra essere schierato più in funzione anti cinese e costituisce da tempo uno dei punti di attrito fra Washington e Pechino.

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