di Fulvio Fisicaro Palermo, 21 ottobre 2021

Monica Genovese (CGIL Sicilia): recepire subito il decreto149

Il lavoro nero è un crimine odioso. Sottrae alle casse dello Stato le fiscalità a carico del datore di lavoro, sia in termini di imposta sui salari pagati che di contribuzioni previdenziali. Pone il lavoratore al di fuori di tutte le tutele che gli spetterebbero: niente cassa malattia, ammortizzatori sociali, protezione contrattuale, stabilità del posto di lavoro, salario e orario secondo CCNL, sicurezza; niente di tutto questo. Il crimine è ancora più odioso perché i contraenti non hanno lo stesso peso contrattuale e il datore di lavoro sfrutta la sua maggiore forza per prevaricare i diritti del lavoratore. L’impresa che sfrutta il lavoro nero inoltre altera gli equilibri del libero mercato: costi inferiori rispetto all’imprenditore in regola consentiranno una maggiore competitività che non deriva da migliore efficienza ma da un illecito. Lo scorso 18 ottobre, l’ISTAT ha pubblicato le stime sul lavoro nero in Italia nel 2019: le unità di lavoro irregolare sono 3 milioni 586 mila, oltre 57 mila in meno rispetto al 2018. La comparazione della stima con 2 milioni 538 mila disoccupati e 23 milioni 203 mila occupati del 2019 fornisce una prima immediata dimensione del fenomeno e della sua drammaticità. Il numero di unità di lavoro irregolare è pari al 141 per cento dei disoccupati e al 15 per cento degli occupati: ogni 100 lavoratori in regola, nel 2019 ve ne sono accanto 15 non in regola. Il lavoro nero è un elemento centrale nella dinamica del mercato del lavoro. Nel 2019 sul 2018, gli occupati diminuiscono di 5.000 unità (-0,02 per cento). La somma dei lavoratori regolari e irregolari, che esprime il numero di occupati “reali”, diminuisce anno su anno di 62 mila unità. Ma sono 57 mila i lavoratori in nero che perdono il posto (91,93 per cento). Ogni 100 posti di lavoro persi nel 2019 sul 2018, 92 erano irregolari licenziati senza nessun diritto. I lavoratori irregolari sono comprimibili a piacimento come una cornamusa che emette i lamenti della precarietà. Il lavoro nero è una piaga aperta che scarica sulla parte debole nel mercato del lavoro, disoccupati e inattivi, il peso sociale della diminuzione dei posti di lavoro, discriminandoli e sfruttandoli; è strumento di forte ingiustizia e disuguaglianza sociale; è una sacca di lavoro non tutelato manovrata a piacimento da datori di lavoro senza scrupoli. Incontriamo Monica Genovese, laureata in scienze politiche a Palermo, componente della Segreteria Regionale CGIL Sicilia.

Qual è la situazione del lavoro nero in Sicilia?

​ La CGIL ha avviato nel 2019 una vasta campagna di denunzia e sensibilizzazione sul lavoro nero chiamato “Isola senza catene”, puntando particolare attenzione al fenomeno del caporalato. Per questa campagna, abbiamo rilevato una crescita esponenziale del lavoro irregolare in Sicilia: nel 2020 si è attestato al 21,2 per cento del totale degli occupati, contro una media nazionale del 13,4 per cento.”

Quali sono i settori più interessati al fenomeno?

“Abbiamo trovato maggiori sacche di lavoro irregolare nell’agricoltura (37,3 per cento contro il 23,8 per cento nazionale), edilizia (25 per cento), ristorazione e commercio (21,5 per cento), manifatturiero (11,9 per cento). Secondo i dati forniti dall’Ispettorato del Lavoro, in 8.900 aziende verificate sono venuti fuori 6.000 lavoratori irregolari.

Qual è la prima conseguenza del lavoro nero?

“Quello che abbiamo denunciato e continuiamo a denunciare è l’aumento degli infortuni sul lavoro. Collegato al proliferare del lavoro nero, in cui le norme di sicurezza non vengono né applicate né rispettate, c’è un forte aumento degli incidenti sul lavoro e degli incidenti mortali. Per questo noi chiediamo un rafforzamento delle istituzioni preposte ai controlli (INPS, Ispettorato e INAIL).”

Cosa chiede in concreto la CGIL Sicilia al Governo Regionale?

“Vanno aumentati i controlli e applicate le sanzioni. La Sicilia è l’unica Regione d’Italia a non avere recepito il decreto 149/2015 che istituisce l’Ispettorato Nazionale Lavoro; ciò avrebbe consentito la dotazione di nuovi ispettori del lavoro in aggiunta ai quadri in essere e avrebbe anche portato nuovi fondi. In tal senso, il PNRR ha stanziato risorse per la lotta al sommerso tramite le articolazioni territoriali dell’INL, a cui noi, non avendo recepito il decreto, non possiamo attingere. Una delle battaglie che la CGIL sta conducendo è quella di pressare l’Assessorato al Lavoro Regionale affinché riprenda l’interlocuzione con il Ministro del Lavoro per il recepimento del decreto 149. Noi vogliamo che queste risorse vengano messe a disposizione anche della nostra Regione.”