Continuano gli scontri a Tripoli, dove pochi giorni fa è saltata la tregua tra le truppe legate al governo di unità nazionale, sostenuto dall’Onu, e quelle di milizie rivali. Nella giornata del 2 Settembre Fayez al Sarraj a capo del consiglio presidenziale libico ha proclamato ufficialmente lo stato d’emergenza. Contestualmente il portavoce della “Settima Brigata” la milizia improvvisata che sta avanzando verso il centro della città, ha comunicato di aver compiuto un assalto nel quartiere Abu Salim (quartiere reso celebre da quando l’ex leader libco, Gheddafi, fece uccidere nel 1996 circa 1.300 oppositori politici).

La Settima Brigata, che raggruppa tutti gli elementi militari e paramilitari ancora legati e fedeli al recente passato segnato da Gheddafi e adesso al comando del generale Khalifa Haftar, ha dichiarato di voler “continuare a combattere fino a quando le milizie armate non lasceranno la capitale e la sicurezza sarà ripristinata” precisando di non volere la distruzione ma di stare combattendo in nome “dei cittadini che non riescono a trovare cibo e aspettano giorni in coda per avere lo stipendio, mentre i leader delle milizie si godono il denaro libico”. Nella loro avanzata i combattenti della Settima Brigata hanno occupato diversi quartieri della città iniziando a convergere  verso l’aeroporto, obiettivo strategico di fondamentale importanza al fine di far affluire aiuti dall’estero.

Al momento le fonti ufficiali comunicano un bilancio di circa 200 morti accertati, fra cui si contano 15 decessi  a causa di un colpo di mortaio esploso per errore su un campo rifugiati poco al di fuori delle zone di combattimento.  L’ambasciata italiana ha parlato di “approccio flessibile” che tradotto significa l’evacuazione da Tripoli di tutto il personale non essenziale.

Tale situazione caotica è espressione diretta del traballante armistizio siglato nel 2011 fra i due governi sorti dalle ceneri del crollo di Gheddafi:  Tripoli e Tobruk, che non hanno mai avuto reale controllo sul territorio e che per questo sono sempre stati incapaci di svolgere le funzioni statali nel senso più ampio del termine. Anche il vecchio esercito di Gheddafi, ormai diviso in decine di sottogruppi, si è scisso ricalcando divisioni territoriali e tribali e il governo di Tobruk, scelto dall’Occidente come interlocutore privilegiato, non è mai stato abbastanza forte da imporre il proprio controllo sui confini.  A complicare il puzzle vanno aggiunti una miriade di piccoli gruppi che, nel corso del conflitto, hanno più volte cambiato campo d’azione e che, anche grazie all’ausilio di multinazionali estere che in Libia hanno necessità di proteggere i propri stabilimenti  hanno, a fasi alterne,avuto buona disponibilità di armi e denaro, risultando determinanti nel controllo di ampie fette di territorio.

Il Governo italiano ha smentito le notizie che si rincorrevano nei giorni scorsi circa un possibile intervento armato precisando che  “In relazione ad alcune notizie apparse sulla stampa odierna si smentisce categoricamente la preparazione di un intervento da parte dei corpi speciali italiani in Libia. L’Italia continua a seguire con attenzione l’evolversi della situazione sul terreno e ha già espresso pubblicamente preoccupazione nonché l’invito a cessare immediatamente le ostilità assieme a Stati Uniti, Francia e Regno Unito”.

Fabrizio Tralongo

 

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