di Ornella Mallo 06/04/2022

Scriveva Lawrence Ferlinghetti: “Rischiando di continuo assurdità/e morte/ogni volta che si esibisce/sopra le teste/del suo pubblico/il poeta come un acrobata/si arrampica sui versi/fino a un’alta fune di sua fattura/e in equilibrio sui raggi degli sguardi/sopra un mare di volti/a passettini se ne va/del giorno all’altra estremità/eseguendo entrechat/e piedacrobazie/e altre sublimi diavolerie/e il tutto senza sbagliarsi/neanche un po’/su ciò che esistere non può/Perché lui è il super – realista/che deve giocoforza intuire/la tesa verità/prima di abbozzare ogni postura o passo/nel suo presunto avanzamento/verso quel trespolo più alto/dove sta la Bellezza ad aspettare/con gravità/di spiccare il salto che la morte sfida/E lui/un omino chapliniano/che afferrerà o magari no/la di lei bella eterna forma/a braccia aperte nel vuoto/dell’esistenza” . Credo che la citazione di Ferlinghetti si attagli perfettamente alla poetica di Nunzio Festa. E del resto, anche lui si definisce, nel titolo di una sua poesia, “Acrobata innamorato”. Innamorato della sua terra di adozione, la Lunigiana; e dello scrittore che della Liguria di Ponente ha intessuto le lodi: Francesco Biamonti . A lui è intitolata l’ultima elegia di Festa ; e, nella prima parte , le poesie hanno come titolo versi tratti dalle sue opere, di cui protagonista indiscusso è il paesaggio filtrato dagli stati d’animo dello scrittore, al punto da formare un tutt’uno inscindibile. In “ Il silenzio ” Biamonti scrive: ” L’uliveto soprano stava aggrappato a un pendio ripidissimo, come una grande farfalla dalle ali polverose. Più in basso altri uliveti e altri massi scendevano già nell’ombra del crepuscolo, mostrando una bellezza senza pulviscolo, triste e quasi funebre”. Vediamo come gli stati d’animo dello scrittore si riversino sul paesaggio colorandolo, e l’uno è lo specchio dell’ altro. Non solo. Ma Biamonti si fa testimone del travaglio contadino nell’epoca post – industriale. Quindi il suo non è uno sguardo esclusivamente ripiegato su se stesso e sulla sua condizione , ma uno sguardo che si slarga tenendo conto della realtà degli uomini che fanno la storia, anche se una “storia minore”, usando l’espressione che adopera Festa, nel senso che di loro i libri di storia non racconteranno se non marginalmente. L’attenzione dei libri di storia si concentra piuttosto su coloro che occupano le stanze del potere. Nunzio Festa scrive: ”il dire in ogni tempo della storia/che siamo il meglio della storia minore.” Lo sguardo ch’egli rivolge alla Lunigiana non è dissimile da quello di Biamonti. Il poeta, pur dando prova di capacità introspettiva attraverso l’analisi che fa della propria interiorità, nei suoi versi dà ampio spazio al tempo storico e alla società in cui vive, nei confronti dei quali si pone come cartina di tornasole. Anche lui, quindi, descrive una realtà contadina che non è scomparsa, ma che ancora fa parte integrante del paesaggio della Liguria di Ponente. Leggiamo infatti: ”Nel contado urlato/della cera attiva si scioglieva/ la selezione dell’acqua viva:/ una protezione da una specie/di permissiva intermittenza/a sembianza di fastidio creato/verso i tempi stati/contro i rituali andati: / una linea tenuta sottile/ in questo compresso/con gli elettrodomestici e il vibrato/sesso.” Un mondo antico , dunque, che permane nonostante la modernità introdotta dalla tecnologia, in un connubio stridente, generativo di contraddizioni. Come Biamonti, anche Festa indulge al lirismo. In “Il fumo acre dolce sottile”, titolo ripreso dallo scrittore genovese, leggiamo: “E’ l’eterno battibecco fra nebbia e arcobaleno/il contrasto quotidiano verso l’orizzonte sereno:/il rogo di nostra anima persa/Una rima semplice ma tersa/”

I due sono accomunati dall’amore verso il silenzio . Biamonti scriveva:”Nelle pause della brezza il silenzio si posava sul silenzio”. In “Silenzi” Festa scrive: “Abbiamo una quota d’abbandoni in tutti/i nostri futuri/ma gli spiriti puri abitano nelle quote/della fratellanza.” Dà voce al suo cuore “innamorato” nel descrivere la macchia ligure , adottando espressioni felicissime che mi piace qui riportare. Leggiamo in “Paesaggi anemici”: “Sono le nocche/la ruvidità dell’appiglio/e quel segno/come messaggio raso al sole/che dirada:/e/similmente si sfrana:/ama il sorriso invisibile/in un tramestio/di punti fermi di castigo:/il tutto/che plana” . Oppure, in “Prime”: “ Refoli di vino/su labbra di vento/l’intento/dell’inchino agli scogli/”. Un lirismo attualizzato, però, dal Poeta, che non abbandona una ricerca di innovazione nel linguaggio, senza perdere di vista la tradizione. Per esempio, si serve di assonanze per amplificare la potenzialità espressiva della parola di cui ripete la radice . Nella poesia che ho citato all’inizio, “Acrobata innamorato” scrive: “ Parti avverse/emerse/disperse/velano/sul tratteggio delle colorature/prima delle colature/dei significati/oggetti sofisticati/da conficcare/nelle teste maldestre/infatuate/infartate/per poco.” Fa pensare senz’altro a Sanguineti, ma ritorniamo anche al poeta giocoliere di Ferlinghetti , che lancia in aria parole che prima associa tra loro, e poi separa: gioca a scomporre frasi che poi ricompone, senza mai perdere di vista la Verità delle cose, che denuda per rivestirla dei suoi versi. Questa ricerca di una nuova forma espressiva è confermata dall’uso della punteggiatura, che viene talvolta abolita, talvolta posposta, come, per esempio, nell’uso dei due punti all’inizio del verso. Questo linguaggio, questo modo di fare poesia, realistico e innovativo, fa collocare Festa tra i poeti che si richiamano alla Beat – generation, di cui Ferlinghetti è senza dubbio una delle personalità più rappresentative. Scriveva Ferlinghetti: “Le donne di Sorolla con gli ampi cappelli/stese sulle sue spiagge di tela/incantavano gli impressionisti/spagnoli/Ed erano truffaldine immagini/del mondo/per il modo in cui la luce giocava su di loro/creando illusioni d’amore?” Il controcanto di Festa: “Che c’è di facile/in questa donna – immagine?/l’antitesi relativa/dell’estetismo lo snello grigio/d’una cauta feroce stretta:/a minimo ausilio a ogni/ uomo che chiedendosi fugace/la dedizione/devozione sicuramente /aspetta”. Oppure leggiamo in “a L.M.”: “baciale tutte/quelle traditrici le superficiali/le donne false o solo/con le vite rotte/[…]ma a poche/se non solo a una/darai la mano e la voce/della chiara/notturna cantata.” Festa lamenta la superficialità di certi “mezzi amori” , come scrive: rapporti fugaci, che non affondano radici nella vera interiorità della persona umana, ma scivolano su apparenze saponose e sempre mutevoli. Il j’accuse del Poeta si scaglia allora sulle difficoltà che si incontrano oggi nello stabilire relazioni autentiche , fondate sulla persona vera, al netto di tutte le maschere di comodo, dettate dai social e in genere da una società che invece cura moltissimo l’ apparenza e l’estetica. Leggiamo: “una donna leale/m’ha insegnato l’essenza/che mi può volere anello/di congiunzione in un firmamento/di temi e passaggi/nei conglomerati di gioia/[…]:condivido la scelta che da figlio/a figlio corre il vortice/d’uno spergiuro d’egoismo/camice di comodo/in un corposo apice/del più piacevole individualismo.” Dunque Festa pensa che la cura esasperata del sé sia una delle cause cui imputare il mal de vivre del mondo di oggi; da esso discende la morte della compassione o dell’empatia in generale, e l’indifferenza più assoluta verso chi vive in condizioni al limite della sopravvivenza. E il poeta non può non tenere conto di questi mali , anzi deve fare della poesia uno strumento di denuncia.

Scrive il Nostro : “Nel frattempo/sperimento diversi tipi/di stazione e ognuna emette/una sanzione/destinata ai più poveri/costretti a stare fuori/dalle vere porte/ogni stazione lascia una multa/ai cuori sui pavimenti/nelle regioni/delle compassioni morte./” Nell’amore e nella poesia il Poeta trova l’antidoto ai veleni che infestano e ammorbano l’ aria , per come leggiamo: “Io che scrivo/che scrivo io/da un boccolo d’ira/farò uscire dal cilindro/a cappello/la Cura vera/del bocciolo d’amore/martello/ritornello/coltello di carezza/verso le vostre miserrime relazioni/in afflato di splendide sensazioni./Per l’ennesima/quarta quinta sesta/volta/mi passate la stessa canzone/Io col baccano/delle falsità/posso farvi un sermone ./” Concludo questo excursus attraverso le poesie della silloge “Biamonti”, con una delle poesie più emblematiche del “sentire” di Nunzio Festa, una delle voci più interessanti della poesia italiana di oggi, per questo compendio che riesce a realizzare, con il suo stile, tra passato e futuro, tra lirismo e verso scarnificato stile beat – generation, e per il messaggio etico che lancia, in favore di una fratellanza e di una trasparenza nei rapporti, così che l’uomo possa essere fedele alla sua vera natura: umana, appunto. La poesia ha per titolo uno dei versi di Biamonti, e si intitola “Ognuno a casa aveva il suo cimitero”, e dice così: “La persona vera/ti parla della tua anima/si fa lume piena pace/piume di sollievo/mentre una lampadina/alimenta la sfilata/d’esperienze a bilancia /sui piatti/medaglie di ricordi/ femmina /riversati nei cassetti./Sui tetti delle incertezze/brezze di canzoni/fanno il motivo delle bellezze.”

(fonte immagine di Nunzio festa)

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