“Sul margine” di Maria Allo, ed. Interno poesia, prefazione Franca Alaimo,

Recensione a cura di Ornella Mallo

Scriveva Stefánsson ne “La tristezza degli angeli”: “Da qualche parte nel profondo delle regioni dello spirito, di questa coscienza che rende l’umanità sublime e maledetta, si nasconde comunque una luce che tremola e rifiuta di estinguersi, rifiuta di cedere il passo al peso delle tenebre e alla morte che soffoca. Quella luce ci nutre e ci tortura, ci costringe ad andare avanti, invece di sdraiarci a terra come bestie prive di parola e aspettare ciò che forse non arriverà mai.” È questo il senso del messaggio che Maria Allo vuole trasmettere attraverso la sua poesia, che si offre come bandolo di quella matassa informe che è la vita. La poetessa dunque si serve del verso per indagare sul significato della nostra esistenza carnale e terrena, che si dipana sul margine di una vita altra, spirituale e trascendente, margine che a volte si erge in modo netto e divisorio, mentre altre volte si assottiglia tanto da consentire la formazione di un amalgama indistinto tra le due parti. Non a caso l’Autrice riporta ad esergo dell’intera opera una citazione di Lucrezio tratta da “La natura delle cose”: “Come dai grani d’incenso non si potrebbe levare l’aroma / senza che ne vada perduta la stessa sostanza, / così riesce difficile estrarre dal corpo la natura / dell’animo e dell’anima evitando che si dissolva l’insieme”. E nella poesia “Fuoco e cenere” scrive: “Sul margine la felce incendiata / rivela un suo saldo credo e non smette / di negoziare testarda e tenera / nel più lieve dei gesti la vita”. Quella della felce incendiata è una metafora della condizione umana, che resiste nonostante le percosse che le incute il dolore. “ Resistere è il nuovo confine ” scrive la poetessa, e “Resistenza” è il titolo della sezione conclusiva della silloge, il traguardo del cammino che si dispiega nelle due sezioni precedenti: “Carte sparse / C’è come un dolore”, che apre la raccolta, e “Frammenti”, intermedia. “Et sparsa animae fragmenta recolligam”, scriveva Petrarca. L’unitarietà alle molteplici e contraddittorie sfaccettature della nostra esistenza viene conferita dalla caparbietà e dalla ostinazione nella ricerca della luce interiore, che coesiste con l’ombra, ma che deve prevalere su di essa, se vogliamo una vita umana: “ nessuno proprio / nessuno può farcela da solo ”, scrive la poetessa, “ non può farci male la vita quando / a vegliare il viaggio siamo noi ”. Nella poesia “Phos” leggiamo: “Un dio errante con ali distese reggerà / il brusio della vita che cede e anche / se gli occhi non riescono a vedere / una feritoia di luce schiude un volto / prima della parola a metà strada”; e nella poesia “Il dolore degli angeli” la Poetessa scrive: “Lascia impronte quando crolla / luce nei contrari e nel viola / del cielo tesse le ferite di chi / ha attraversato tutto il deserto / il dolore degli angeli diviene / suono che invade la fiumara / acqua che nutre alberi spogli / quando i nessi slittano sul fondo ”. È chiaro il richiamo a una realtà divina, che sottende tutte ​cose e che lancia segnali all’uomo nel tentativo di offrirgli una via d’uscita dal labirinto in cui si muove a tentoni, affinché non si smarrisca divorato dall’ombra. Quando infatti l’uomo non fa fronte al dilagare dell’oscurità, prevalgono i suoi istinti brutali: “Il sonno della ragione genera mostri”, scriveva Francisco Goya. L’accecamento dell’uomo genera il predominio della nebbia: la poetessa spiega così l’esistenza dell’odio, che tormenta le vite umane seminando violenza, indifferenza nei confronti delle difficoltà in cui versano le persone bisognose e fragili, sopraffazioni e guerre. La voce di Maria Allo si leva accorata quando ricorda le donne “vittime di pestaggi e torture”: “Mai sarà primavera per te Daniela, Natalia o Camela e Ana Maria e ancora Maria Rita o Elisa”; quando parla dei bambini e dei naufraghi che annegano salpando su barconi alla ricerca di una vita migliore: “Mani screziate di vene volteggiano / come ceneri contro onde indifferenti / e un’occhiata fugace rimuove / la preziosità della vita / tutti proveniamo dall’acqua ma non tutti apparteniamo all’acqua ”; quando scrive delle atrocità della guerra: “L’ombra della terra è più vasta dello spazio / e gli asfodeli scivolano su improvvisi / fili di pioggia nei bagliori dell’alba / come nel vento aspro la disperazione / degli esiliati si fonde ai rumori dei mortai / non c’è salvezza dopo ogni guerra”. Il canto lirico della Poetessa si fa preghiera, ma anche monito minaccioso rivolto all’Uomo affinché si desti dall’egoismo che lo ottenebra: “Non rinunciare / alla forza della coscienza / che di fronte all’ingiustizia / alla barbarie alla distruzione / impone di dire no / Nutri la parola custode inerme / di memoria e pietà / specchio e segno certo / della nuda voce da restituire alla terra degli uomini”. La parola, allora, viene dall’Autrice riconosciuta nella sua funzione salvifica: “Sulle bocche fiorisce il deserto”. Ma per essere viatico per la pace essa deve scaturire dall’Amore, unica vera forza capace di rendere coesa l’Umanità perpetuando così la Vita: nella poesia “Donarsi” Maria Allo scrive: “Stringersi nelle ciglia vivi e assenti / forse donarsi assomiglia alla vita / come al desiderio reale immaginario / che cerca l’uno di raggiungere l’altro / avanzando sempre più in dentro / con alti e bassi per riconoscersi”. Pervade tutta la silloge una fede laica che resiste, nonostante il dolore: notiamo come l’Autrice non adoperi il tanto abusato termine “resilienza”, che comunque implica una capacità del soggetto di mutare sé stesso adattandosi alla realtà esterna: questo mutamento potrebbe anche essere letto come un compromesso che il singolo attua con situazioni esterne non modificabili. La Allo va oltre: afferma che è nell’Uomo la capacità di cambiare sé stesso e il mondo circostante, debellando tutte le brutture che derivano dal male. “L’alba tarda a far chiaro”, ma arriverà, e sarà luce. Occorre ascoltare: la Poetessa rileva come manchi nella nostra società una capacità di ascolto: ascolto delle parole, che siano pronunciate dagli altri uomini, o che provengano dalla memoria insita in ognuno di noi; parla anche il mondo circostante, parlano le cose, e i bulbi nel loro schiudersi emettono un crepitio che va recepito, e custodito nelle proprie interiorità come il più prezioso dei gioielli, perché è il grido che lancia la vita che vuole ​continuare a essere. Ecco perché Maria Allo scrive: “Spesso la luce incrocia l’ombra / ti avvolge un labirinto / la parola diventa macigno / come sordi i passi tra le ortiche / così non puoi vedere i boccioli / fiorire e gli stormi esplorare vita / in cerca di alberi tra le ortiche ”. Da notare, da un punto di vista squisitamente formale, l’assenza di punti, come per non troncare il verso, che resta aperto esattamente come il percorso di vita, che deve essere fatto all’insegna del mutamento; l’uso alternato che l’Autrice fa del carattere tondo e del carattere corsivo: si serve del corsivo per dare rilevanza agli aforismi, che si stagliano dal contesto poetico come messaggi didascalici di speranza lanciati al Lettore. La Poetessa si avvale di un linguaggio ricco di immagini visionarie, fluide e cromatiche come dipinti, di metafore e di sinestesie, come a volersi fare voce di un Unicum che c’è e resiste al di là di tutte le frastagliature. Ecco perché Maria Allo chiude la sua silloge con i seguenti versi: “Non avremo corpi né confini / solo innumerevole esistenza / scorrerà nel vento / sarà un unico respiro atemporale / a farci adempimento e condivisione”