Il prossimo 3 Ottobre il Giudice Rosario Angelo Livatino avrebbe compiuto 66 anni ed invece si è prossimi al 28esimo anniversario della sua morte.

Rosario Livatino nacque a Canicattì il 3 Ottobre 1952.

Era un ragazzo sapiente che a soli 22 anni conseguì la laurea e fu pronto a dedicarsi in ciò a cui credeva: la giustizia.

Livatino divenne un giudice determinato e coraggioso che istituì diversi processi con la voglia di sconfiggere un male atroce: la mafia.

Il 21 Settembre 1990 Rosario Livatino, a bordo della sua Ford Fiesta, si stava recando al tribunale di Agrigento per giudicare i mafiosi di Palma di Montechiaro. Un processo come tanti, né più né meno pericoloso degli altri che aveva istituito. Eppure, quel processo fu l’ultimo per il giudice.

Livatino percorreva la strada che da Canicattì porta ad Agrigento quando fu affiancato da una Fiat Uno. Il giudice non aveva la scorta, non l’aveva mai voluta e, quello che poté sembrare un banale sorpasso era invece un’azione ben studiata. Dall’auto che affiancò il giudice, diversi colpi di arma da fuoco colpirono l’auto fino a ferirlo. Un proiettile colpì Livatino che, rendendosi conto di essere ormai circondato, abbandonò l’automobile e iniziò a correre fra le distese agrigentine.

Gli uomini della mafia gli stavano addosso, in molti lo rincorsero, probabilmente gli diedero false speranze fino a sparargli contro.

Immaginate il giovane giudice. Pensate che era solo un 38enne, un giovane di fede con una grande propensione verso la giustizia, che si trovò dinanzi alla morte.

Provate ad immaginare i suoi pensieri. Provate a sentire i battiti del suo cuore, cuore che improvvisamente venne freddato da numerosi colpi di arma da fuoco. Ben sei colpi furono quelli mortali ma uno, in particolare, segna lo sfregio di chi lo uccise: un colpo di lupara in bocca, come a voler far tacere la voglia di giustizia che animava la vita di Rosario Livatino.

Negli anni 90′ Livatino fu uno tra i tanti magistrati e uomini coraggiosi vittime della mafia ma quella lupara che sparò un colpo determinato ha fallito perché la voglia di giustizia anima ancora i cuori di tutti coloro che sostengono la legalità, la giustizia e la fede. Proprio in ambito di fede è in corso ma quasi a compimento la beatificazione di Rosario Livatino così definito dal cardinale Montenegro: «Livatino è la figura di un professionista colto ed estremamente consapevole. Credente convinto e praticante. La sua fede ha dato forma al suo servizio professionale. Stando alla sentenza Livatino è stato ucciso perché perseguiva le cosche mafiose impedendone l’attività criminale, laddove si sarebbe preteso un trattamento lassista, cioè una gestione giudiziaria se non compiacente, almeno, pur inconsapevolmente, debole, che è poi quella non rara che ha consentito la proliferazione, il rafforzamento e l’espansione della mafia».

Nicoletta Fortunata Dammone Sessa

 

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