La Vice Ministra degli Esteri Marina Sereni interviene al Festival dell’Unita di Palermo 150 milioni di euro stanziati dal Governo Italiano per fronteggiare la crisi umanitaria Al Festival dell’

A cura di Fulvio Fisicaro 01/10/2021

Al Festival dell’Unità di Palermo, è intervenuta la Vice Ministra degli Esteri Marina Sereni sullo stato dell’arte della crisi afgana. “L’Italia e la comunità internazionale hanno promesso che non avremmo spento i riflettori sull’Afghanistan. Ad agosto tutti abbiamo guardato con sconcerto e angoscia i Talebani conquistare le varie provincie ed arrivare a Kabul. Non sarà facile mantenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica, delle istituzioni e dei governi su una situazione così lontana da noi. Però l’Italia, subito dopo i primi giorni in cui eravamo impegnati nella grande operazione di evacuazione di chi voleva fuggire da Kabul, ha fatto una promessa. L’ha fatta il Presidente del Consiglio, l’ha fatta il Ministro Di Maio, l’abbiamo fatta tutti noi: non avremmo abbandonato la popolazione afgana. In quel paese è in corso una grande emergenza umanitaria: manca tutto, mancano farmaci, mancano vestiti, manca cibo, manca carburante, manca liquidità. C’è il rischio di un collasso economico del paese; mancano i servizi essenziali; manca la possibilità di far funzionare gli ospedali e le scuole. C’è anche un forte rischio di instabilità. Quell’area dell’Asia centrale è già stata in passato il territorio privilegiato di grandi organizzazioni terroristiche come Al Qaeda, e non è detto che non torni ad esserlo. Abbiamo visto in questi giorni molti attentati contro i Talebani da parte di altre organizzazioni terroristiche come Isis-Khorasan, la versione afgana di Daesh: l’abbiamo vista tornare in vita. Temiamo che ci possa essere una forte crescita dell’instabilità e dell’attività di formazioni terroristiche. Sappiamo che fioriscono i traffici illeciti di droga: in Afghanistan si produce una grande quantità di oppio. Dobbiamo occuparci dell’Afghanistan se non vogliamo che succeda una catastrofe sul piano della sicurezza e sul piano umanitario. Una parte di Afghanistan per vent’anni ha lavorato insieme a noi e ha creduto che il loro Paese potesse diventare qualcosa di diverso da un luogo governato dai Talebani, quegli stessi che oggi sostituiscono il Rettore dell’Università di Kabul con un guerrigliero non in grado sicuramente di gestire e dirigere un ateneo.” Dopo l’analisi della situazione, la Vice Ministra ha analizzato gli interventi che Italia e comunità internazionale stanno ponendo in essere. “Ho partecipato insieme al Ministro Di Maio alla settimana di apertura dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e abbiamo approfittato di questa settimana per organizzare eventi specifici invitando altri soggetti per capire che cosa succede in Afghanistan. Oggi in quel paese ci sono le Nazioni Unite e questa è una novità rispetto agli anni ’90. Non sono cambiati i Talebani, ma l’Afghanistan è cambiato: non è più lo stesso di vent’anni fa. Una delle differenze positive è che le organizzazioni internazionali sono tutte presenti in Afghanistan. Ci sono tutte le agenzie delle Nazioni Unite, UNHCR, UNDP; c’è UN Woman, che fa campagne contro la violenza di genere, contro le mutilazioni genitali femminili e contro i matrimoni forzati; c’è l’UNICEF, che si occupa della sanità ma anche delle scuole; c’è l’OCHA per il coordinamento umanitario; c’è la Croce Rossa. E tutte ci riferiscono che è possibile lavorare in Afghanistan: questa è una notizia non banale che dobbiamo registrare. La comunità internazionale deve mobilitare risorse sapendo che lì ci sono dei soggetti che possono usarle per proteggere le donne, per aiutare gli afgani, per dare delle risposte concrete. L’Italia vuole realizzare un piano di medio periodo sull’Afghanistan: abbiamo stanziato 150 milioni di euro per il 2021, che non sono pochi. Già 30 milioni di euro erano stati stanziati in precedenza per la cooperazione italiana; altri 120 milioni di euro erano nel bilancio del nostro Ministero per la formazione delle forze di sicurezza afgane. Quel lavoro non si può più fare: non siamo lì per proteggere o formare le forze militari dei Talebani. Ma il Presidente Draghi ha deciso saggiamente di lasciare quei fondi per l’Afghanistan. Stiamo pensando a come utilizzarli insieme alle Nazioni Unite, sia per assistere il popolo afgano dentro l’Afghanistan che per aiutare i profughi ove cominciassero flussi migratori verso i paesi limitrofi. Oggi ancora il fenomeno migratorio non ha dimensioni troppo rilevanti; le persone stanno probabilmente cercando di capire come evolve la situazione. Ma le organizzazioni sovranazionali ci avvertono che potrebbe partire un flusso di rifugiati verso il Pakistan, verso l’Iran e in parte verso l‘Europa attraverso la rotta balcanica: dobbiamo essere pronti ad assisterli dentro ma anche fuori l’Afghanistan. Al Ministero è stato chiesto di coordinare il lavoro di concertazione e coordinamento di tanti soggetti: i Ministeri degli Interni, degli Affari sociali e della Difesa, le Regioni e i Comuni, le Università, l’ACLI e le organizzazioni della società civile. Abbiamo visto la mobilitazione delle donne; abbiamo sentito la grande ondata di generosità proveniente dalle associazioni, dalle parrocchie, dalle scuole, dai Comuni di tutti i colori. In vent’anni abbiamo costruito tante relazioni people to people con il popolo afgano, con le donne afgane, con le ONG afgane, con gli studenti; abbiamo costruito una rete enorme di relazioni. Questa rete oggi ci interroga. Dobbiamo continuare per quanto è possibile a fare uscire quelli che vogliono uscire: è necessario considerare la loro libertà di andarsene come uno delle questioni da porre alle autorità talebane. Ma sappiamo che non potranno uscire 35 milioni di afgani: dobbiamo darci da fare. Oggi la Regione Lazio ha partecipato alla riunione del tavolo presentando un’iniziativa molto interessante: l’organizzazione di borse di studio per 40 studenti afgani, già iscritti nelle Università laziali, per vitto, alloggio e mantenimento. Per avere il visto questi ragazzi e queste ragazze devono dimostrare di potersi sostenere; senza le borse di studio non potrebbero farlo. Questo consente di costruire un percorso per farli uscire dal Paese. Il tavolo deve decidere dove orientare questi 150 milioni di euro a disposizione: sulla salute, sull’educazione, sicuramente sui serviz essenziali alla popolazione. Vogliamo fare questo lavoro insieme alle agenzie delle Nazioni Unite, che, voglio essere chiara su questo, stanno discutendo con i Talebani. Non è all’ordine del giorno il riconoscimento politico dei talebani, è evidente. Quello che invece non possiamo non fare è avere una discussione concreta e pragmatica con loro, per mettere sul piatto questa nostra capacità di assistenza e protezione umanitaria chiedendo in cambio qualcosa: ad esempio che facciano lavorare le donne che sono operatrici della sanità, che facciano fare ad Emergency i corsi di formazione per le donne afgane che fanno le infermiere o i medici, che consentano di far lavorare Inter SOS, ONG italiana che lavora con le donne afgane. Dobbiamo usare la leva delle nostre risorse per cercare di rendere meno drammatica la situazione dei diritti umani, sapendo che la situazione può evolvere.” La Vice Ministra ha infine preannunciato la prossima riunione straordinaria del G20 con la crisi afgana all’ordine del giorno. “A New York abbiamo organizzato la Ministeriale degli Esteri del G20, e oggi il Presidente Draghi ha annunciato che il 12 ottobre si terrà il G20 dei Capi di Stato e di Governo sull’Afghanistan. E’ una cosa molto importante: non esiste nella storia del G20 una riunione straordinaria sulla politica estera. Non è mai stato fatto prima, perché è stato sempre impossibile trovare un accordo dei 20 paesi più ricchi del mondo sulla politica estera perché appartenenti a scenari, a sistemi, ad aree del mondo completamente diverse. Questa volta ci siamo riusciti, anche se è stato molto complesso. Abbiamo scelto di identificare alcuni punti minimi ma molto importanti: rispetto dei diritti umani, contrasto al terrorismo, lotta per dare risposte concrete alle richieste di servizi essenziali per la popolazione, tutela delle donne, libertà di movimento per chi sceglie di andarsene. Abbiamo scelto punti piccoli, che non necessariamente coincidono con la nostra posizione di Occidente sulla situazione afgana, ma che consentono di mettere insieme Russia, Cina, India, Turchia, Qatar e alcuni paesi dell’area che hanno rapporti con i Talebani e che possono influenzare quelle autorità non preparate a gestire un governo e un paese. Un conto è conquistare il potere militarmente, cosa che sono riusciti a fare, altra cosa è saper governare. Dovranno appoggiarsi su un pezzo della comunità internazionale, che a sua volta dovrà impegnarsi non solo sul piano umanitario, ma anche per cercare di spingere queste nuove autorità verso una strada che non sia quella di vent’anni fa. Non siamo ovviamente ciechi: vediamo che ci sono molti rischi. Ma pensiamo che se si vuole mantenere qualcosa delle promesse che abbiamo fatto ai giovani afgani e alle donne afgane, dobbiamo percorrere questa strada chiedendo all’opinione pubblica italiana di non spegnere i riflettori sull’Afghanistan e sulla situazione delle donne afgane, lavorando anche qui in Italia con le donne e con i nostri collaboratori che hanno lasciato insieme a noi quel Paese. Abbiamo molto da fare e penso che il Governo italiano possa essere uno dei protagonisti di questa grande scommessa.” RIPRODUZIONE RISERVATA ©