Dopo settant’anni dalla fine della guerra di Corea, la repubblica popolare cinese resta, almeno sulla carta, il principale alleato della Corea del nord.

Alleato militare prima, ed ideologico poi, il colosso cinese ha rappresentato per il regime coreano il principale punto di riferimento durante le crisi politiche e la principale risorsa economica verso cui indirizzare il risicato export di risorse naturali (principalmente carbone, esportazioni che costituiscono buona parte del PIL nazionale della Corea del nord)

Le relazioni tra i due poli comunisti del sud est asiatico non sono sempre state idilliache e sin dagli anni ’50, in piena guerra fra le due nazioni della stessa penisola, dispute fra i generali cinesi e nord coreani circa la giurisdizione e la conduzione delle operazioni belliche  erano all’ordine del giorno. Col preciso intento di scongiurare una penetrazione statunitense nel sud est asiatico Pechino rifornirà addestrerà e invierà in nord Corea quasi un milione di uomini che, malgrado il comune intento e la condivisione di un unico fronte armato, non riusciranno mai ad imbastire col governo di Pyongyang una salda alleanza scevra da diffidenze e sospetti. Questi problemi  da parte coreana erano di importanza cruciale, perché riguardavano la questione della sovranità nel nord e la potenza contrattuale anche nei confronti dell’alleato cinese.

Mao Tze Tung e Kim Il Sung (padre della rivoluzione nord coreana) intrattennero da sempre relazioni diplomatiche controverse rimproverandosi vicendevolmente la volontà di perseguire indipendenti volontà di potenza a discapito dell’alleato, fu solo grazie allo spauracchio della presenza statunitense nel sud della penisola e all’intervento di mediazione sovietico che Cina e nord Corea riuscirono a rimanere, almeno sulla carta, nazioni alleate.

Ed è proprio nelle ultime settimane che la duplice natura, mutevole e contraddittoria, di quest’ alleanza si sta concretamente palesando, con una Repubblica popolare cinese sempre più in difficoltà (e sicuramente spazientita) dalle continue provocazioni del giovane Kim Jong Un che continua ad investire sul suo programma nucleare ponendo d’innanzi al mondo una sequela di provocazioni balistiche (fra le ultime il sorvolo del Giappone da parte di un missile intercontinentale) che stanno progressivamente spingendo  Pechino ad assumere una posizione netta.

Il sud est asiatico nella visione geopolitica di una Cina in ascesa economica e militare è percepito dal governo di Pechino come una zona di naturale influenza a cui non rinunciare per nessun motivo, le continue provocazioni della nord Corea offrono, giorno dopo giorno, il pretesto agli Stati Uniti di rafforzare la loro presenza militare nella regione e dopo l’ennesimo test missilistico proveniente dal nord  il presidente sud coreano Moon si è detto favorevole al dispiegamento del TAAD, un moderno sistema di intercettazione missilistica schierato nei sobborghi di Seoul, dislocato al fine di intercettare eventuali missili balistici nord Coreani ma che, all’occorrenza, può essere rivolto facilmente verso la Cina mutando in favore dell’occidente gli equilibri strategici nella regione.

Le innumerevoli risoluzioni ONU volte a far desistere la nord Corea dal suo programma nucleare parrebbero essere state inefficaci, in parte grazie al veto di Cina e Russia che non intendono tollerare un aumento della presenza statunitense in Giappone e in Corea del sud, in parte perché come effetto immediato stanno producendo nel regime di Pyongyang un fervente attaccamento al programma missilistico nazionale in cui vengono riposte le speranze di una rinvigorita politica di potenza e un paritario terreno di trattativa col governo del sud.

Resta evidente come il neo nato programma missilistico su cui Kim Jong Un sta puntando tutta la credibilità del proprio regime non è ancora in grado di costituire una minaccia per nessuna delle potenze nucleari globali, esso costituisce però un ottimo pretesto da parte degli USA di rafforzare la propria presenza in un settore ricco di giacimenti petroliferi ed economicamente essenziale (gran parte del commercio dell’area asiatica passa dalla penisola indocinese) in un momento cruciale in cui potenze regionali quali Cina e Russia si riaffacciano sulla scena internazionale rivendicando sfere di influenza che fino alla fine degli anni ’90 erano state totale appannaggio degli Stati Uniti.

Arginare il pericolo della nord Corea è soltanto un pretesto, da parte degli Stati Uniti, per arginare l’espansionismo Cinese e questo Pechino lo sa bene. Bisogna soltanto capire se per  la Repubblica Popolare Cinese la difesa di uno scomodo, controverso e inaffidabile alleato valga il prezzo di un inasprimento delle relazioni con l’occidente.

Fabrizio Tralongo