E’ ormai imminente per la Catalogna l’appuntamento elettorale fissato per questo 21 Dicembre che sancirà la nuova composizione del  parlamento della regione. In ballo, com’è ovvio, c’è la solita questione dell’indipendentismo della Catalogna dal resto della Spagna.

Dopo il discusso referendum dell’1 Ottobre, svoltosi in un clima di proteste e di generale illegalità, il governo madrileno, brandendo l’articolo 155 della costituzione spagnola, si era affrettato in maniera decisa e politicamente lungimirante a commissariare tutte le principali istituzioni catalane per poi promettere un ritorno alle urne, il successivo 21 Dicembre, al fine di ricomporre democraticamente il muro contro muro che si era formato fra indipendentisti e unionisti. Con questa mossa il premier spagnolo Mariano Rajoy mirava a sfruttare l’empasse politico e l’imbarazzo internazionale del fronte indipendentista, soprattutto, dopo la fuga in Belgio del principale sostenitore dell’indipendenza il presidente Carles Puigdemont, nel tentativo di convincere l’elettorato catalano a compattarsi attorno al fronte unionista.

Poco dopo a complicare nuovamente le cose è stata la magistratura spagnola che ha ordinato la custodia cautelare del vicepresidente catalano Oriol Junqueras e di altri sette ministri del suo governo, con le accuse di ribellione e sedizione (sotto la lente dei magistrati principalmente l’utilizzo di denaro pubblico per finanziare numerose campagne pubblicitarie che inneggiassero all’indipendenza) che come conseguenza  ha portato al ricompattarsi del fronte indipendentista monopolizzando, ancora una volta, i temi del dibattito sul binario della contrapposizione contro l’opprimente governo di Madrid.

Gli ultimi sondaggi danno il blocco indipendentista a circa il 49% contro un fronte unionista che si attesta al 43,6%, nel caso di vittoria degli indipendentisti sarebbe sicuramente la sconfitta di Rajoy ma la situazione non si assesterebbe:  il fronte indipendentista, che vede la sinistra repubblicana di catalogna (Erc), Junts per Catalunya di Puigdemont e Candidatura di unità popolare (Cup) non ha ancora trovato un accordo su chi ricoprirà la carica di presidente all’indomani del voto e in ogni caso Puigdemont, dal Belgio, sostiene che la sua destituzione è stata illegittima e che il presidente sia ancora lui.

Dal canto suo il fronte unionista non gode certo di miglior salute, il più influente partito dello schieramento è Ciudadanos, una forza politica liberal conservatrice  nata come risposta ai movimenti secessionisti e famosa per la sua intransigenza politica. Ciudadanos da solo non può ottenere alcuna maggioranza e l’unica speranza per il fronte unionista sarebbe quella di trovare un’intesa col partito socialista, intesa improbabile data l’assoluta intransigenza dei Liberal conservatori che stride non poco con i continui appelli, da parte dei socialisti, per  avviare un processo di riforme costituzionali volto a risolvere definitivamente la questione catalana.

Con una situazione di questo tipo il fronte politico che potrebbe garantire una veloce risoluzione della questione catalana (in un senso o nell’altro) dovrebbe incassare domani non meno del 40% . Traguardo che, vista l’attuale eterogeneità delle forze in campo, risulta assai improbabile. Appare veramente difficile sperare in una risoluzione della questione catalana già da domani, più probabile invece che ai catalani verrà nuovamente chiesto di recarsi  alle urne a Marzo, la legge spagnola prevede infatti nuove elezioni se nell’arco di tre mesi le forze politiche non siano riuscite a formare un governo.

 

Fabrizio Tralongo