di Fulvio Fisicaro 12/05/2023

A me pare che la destra al Governo non possieda il senso della complessità. Il fenomeno immigratorio riguarda 1,970 miliardi di persone, 1,4 miliardi che vivono in Africa e 570 milioni che abitano le zone dell’Asia più vicine all’Europa. Vivono con un PIL pro capite annuo pari a circa 2.000 dollari USA, ossia 165 al mese e 5,5 al giorno. Secondo un recente rapporto dell’ONU, il 60 per cento di chi vive nei paesi con questi redditi soffre di insicurezza alimentare in forma media o moderata e il 30 per cento in forma severa. La Banca Mondiale ha fissato la soglia di povertà a 600 dollari USA al mese e la soglia di povertà assoluta a 1,05 al giorno; in Burundi, il paese più povero al mondo, 12.500.000 abitanti vivono con 0,61 dollari USA al giorno. Valutando la ricchezza prodotta, sono 1,065 miliardi le persone residenti nell’area che hanno un reddito al di sotto della soglia di povertà e sono interessati a migrare. Per raffronto, l’Europa ha circa 745 milioni di abitanti con un PIL pro capite di 38.000 dollari USA; in fondo alla classifica europea dei singoli stati, l’Ucraina con un PIL pro capite annuo di 2.450 dollari USA, la Moldavia con 3.700 e il Kosovo con 4.400. In Italia, il PIL pro capite è di 35.000 dollari USA. Se si volesse praticare un piano di investimenti a casa loro, come più volte evocato dalla destra al Governo, che abbia per obiettivo l’elevazione del PIL pro capite dei paesi interessati al fenomeno immigratorio ad almeno 600 dollari USA al mese, il PIL dell’area dovrebbe crescere del 364 per cento. Per ottenere questo maggior reddito, sarebbero necessari investimenti per più di 56.000 miliardi di dollari USA, nell’ipotesi di una redditività degli investimenti pari al 25 per cento. A raffronto, l’intero debito pubblico americano ammonta a 32.000 miliardi di dollari USA, quello italiano poco meno di 3.000. Le grandezze finanziarie di un piano d’investimenti che intervenga in maniera strutturale sull’economia interna di tutti i paesi da cui proviene l’immigrazione sono fuori dalla portata non solo dell’Italia, ma financo dell’Europa, incerta sia in senso finanziario che politico. Non saranno certo interventi a macchia di leopardo, con qualche fondo stanziato qua e là, a risolvere alcunché. Anzi, si corre il rischio dello spreco del denaro pubblico e della costruzione di cattedrali nel deserto. La destra persegue politiche che tendono a negare ogni diritto all’immigrato economico; in questo aspetto, è palese una grande mancanza di umanità. In Italia non è considerato diritto di ogni uomo lasciare il paese di propria residenza perché non in grado di nutrire a sufficienza sé stesso e i propri cari, alla ricerca di un maggior benessere. Si nega il diritto alla salute, alla prole, al futuro e talora alla stessa sopravvivenza. Non ci tengo proprio a dirlo, ma questi diritti negati in nome della luogo di provenienza differente sono una discriminazione che a me pare si avvicini al razzismo e alla xenofobia. Anche la legiferazione sulla lotta agli scafisti non è in grado di assicurare alcun risultato e la sua introduzione è pertanto inutile. La politica del blocco delle partenze, anche attraverso accordi con rais locali non meglio identificati, non risulterà mai veramente efficace, sempre che sia morale costringere parte dell’umanità a morire di fame a casa sua. Il fenomeno immigratorio considerato nella sua realtà umana ed economica è una di quelle questioni che potrebbero giustamente definirsi di dimensioni bibliche, al quale forse nessuno oggi è in grado di dare risposte esaurienti. Ma è certo che la destra tende ad ignorarne l’evidente complessità e pone in essere politiche inutili o dannose, sicuramente discriminatorie rispetto ad una parte dell’umanità, come se la realtà possa piegarsi per forza al tono di voce urlato con il quale la destra stessa usa esprimersi. Non è così: alzare la voce non cambia la storia.

fonte immagine La Repubblica