di Pilar De Tozzi 04/10/2021

Palermo: Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’emigrazione Mohamed Jammeh e Mustapha Jarjou: un invito a prendere coscienza Accordo Italia-Libia: sinora più d 50 mila persone respinte

L’articolo unico della legge n. 45/2016 recita: “ La Repubblica riconosce il giorno 3 ottobre quale Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione, al fine di conservare e di rinnovare la memoria di quanti hanno perso la vita nel tentativo di emigrare verso il nostro Paese per sfuggire alle guerre, alle persecuzioni e alla miseria.” Il legislatore indicò quella data perché il 3 ottobre 2013 annegarono 386 migranti in un disastro navale al largo di Lampedusa. Malgrado l’ufficialità della ricorrenza e la manifestazione pubblica promossa insieme da STRA VOX, società civile e Forum Antirazzista, alle ore 16.00 a Palermo in Piazza Verdi davanti al Teatro Massimo, di autorità civili e religiose non c’era neanche l’ombra: non c’è pietas nei palazzi del potere. Gli assenti non hanno rinnovato la memoria delle vittime che riposano per sempre in fondo al Mediterraneo, ma la piazza gremita e multietnica guardava commossa il lunghissimo elenco che sembrava infinito di nomi e di vite perdute e si chiedeva attonita il perché di tanta barbarie, rendendo onore alle vittime dell’immigrazione di ogni luogo e ogni tempo. Mohamed Jammeh, studente all’ultimo anno in un istituto tecnico professionale, è arrivato qui con un barcone. E’ un attivista di STRA VOX, la Voce degli Stranieri, un’associazione nata a Palermo nei giorni del Black lives matter . Prende il microfono e parla. “Siamo qui oggi per la giornata dedicata alla commemorazione delle vittime dell’emigrazione. Siamo qua per ricordarci di tutte quelle persone che hanno perso la vita in mare. Ma dobbiamo ricordarci di loro ogni giorno. Oggi è il 3 ottobre. Il 3 ottobre 2013 più di 300 persone hanno perso la vita nel Mar Mediterraneo. Ma da allora ci sono stati tanti altri 3 ottobre. Perché questa cosa continua ancora oggi. Dal 3 ottobre 2013 ad oggi hanno perso la vita più di 20 mila persone in questo mare. E queste 20 mila persone vanno ricordate anche come 20 mila famiglie spezzate, 20 mila madri che aspettano il ritorno a casa dei propri figli che non tornano più, 20 mila madri che non sanno dove sono i figli. Tanti di loro stanno aspettando in Africa, perché il figlio è uscito da casa dicendo che stava andando a cercare qualcosa per sollevare i pesi che gravano sulla madre, e non è più tornato a casa. Ma oggi non siamo qui solo per questo. Siamo qui per dire basta ai morti in mare, in Libia e nel deserto. Tante vite vanno perse per colpa dell’Europa, per colpa della politica europea. Oggi siamo qui per dire che la vita dei neri conta. Il movimento Black lives matter non c’è solo in America, ma c’è anche qui. Pochi giorni fa ho visto tante immagini sui social media provenienti dalla frontiera americana con il Messico (n.d.r.: foto e filmati di poliziotti a cavallo che allontano i migranti a nerbate) . Ma quello che succede qui è peggio. Anziché indignarci per quello che succede in America, pensiamo a quello che succede qui: in nessuna parte del mondo c’è in atto una violazione dei diritti umani come in Libia. L’Europa è complice dei criminali libici; l’Europa fa l’accordo con la Libia per mandare le persone indietro, per torturare le persone, catturarle ed ucciderle. Quindi le mani dell’Europa sono sporche quanto quelle della Libia. Vogliamo la libertà di spostamento, uno dei diritti fondamentali dell’uomo. Perché noi non possiamo spostarci legalmente? Perché tanti ragazzi sono costretti a restare qui in Sicilia e non possono andare fuori a lavorare? Perché l’accordo di Berlino ci costringe a stare qua? Siamo qui anche per dimostrare solidarietà a Mimmo Lucano. Lui era uno dei buoni. Lui era una persona che ha provato a dare diritti a persone che diritti non ne avevano mai avuti. L’hanno condannato a 13 anni e 2 mesi di carcere, è un’ingiustizia enorme. Sappiamo tutti che il sistema è stato sempre così. Così hanno fatto con Ghandi, così hanno fatto con Martin Luther King, così hanno fatto con tanti attivisti. Diciamo a Mimmo: noi siamo con te. Noi ti amiamo, noi ti sosteniamo fino alla fine. E noi ti vogliamo vedere libero, sia ora che dopo. Tu un giorno sarai liberato. Siamo qui oggi pure per parlare dei braccianti. Una persona ha perso la vita a Campobello di Mazara 2 giorni fa. Quello che è successo non è giusto. Perché se il cibo arriva, se la frutta arriva nei nostri piatti a casa è grazie ai braccianti, che fanno i lavori che oggi i vostri figli non vogliono fare perché sono troppo duri, perché si guadagna poco. Vogliamo dignità per queste persone, vogliamo diritto per questi lavoratori. Queste cose non devono succedere. Perché non abbiamo diritto neanche alla vita? Le nostre vite non contano. Nessun diritto per noi, nessun diritto per nessuno. I diritti sono tutti collegati: nessun diritto per i braccianti, nessun diritto per gli altri lavoratori.” Mohamed passa il microfono all’altro attivista Mustapha Jarjou. Anche lui è arrivato qui con un barcone. “Un punto è fondamentale. Mohamed ha parlato del diritto che tutti noi dobbiamo avere: nessuno deve essere costretto, nessuno deve decidere sulla vita delle altre persone. Nessuno deve dire ad una persona che deve partire e a un’altra che non deve partire. Siamo tutti nati senza catene. Abito qua a Palermo da tre anni, sono in Italia da cinque. Oggi è una giornata molto importante, che ci fa ricordare, ci fa pensare, ci fa ragionare. Ma non soltanto oggi: l’evento che è avvenuto il 3 ottobre 2013 dovrebbe essere sempre nei nostri pensieri. Ogni giorno è 3 ottobre. Perché questo succede tutti i giorni alle frontiere italiane e alle frontiere europee, tutti i giorni in Libia, tutti i giorni nei campi di concentramento, dove avvengono tutti i tipi di violenza. E queste violenze vengono da parte dell’Europa, da parte dei paesi europei che fanno gli accordi con la Libia. Tutti sappiamo che la Libia non è un paese sicuro, ma continuate a mandare lì le persone. Io sono passato dalla Libia, so che significa essere in Libia. Essere nero in Libia significa non avere la libertà di passare, non avere nemmeno la libertà di respirare: è un inferno. Un paese che ci manda in quel maledetto posto ci accompagna al cimitero. Questo non deve succedere. Quando ero in Africa pensavo che l’Europa era la terra dove erano nati i diritti umani. Ma sono rimasto deluso: un paese civile non può fare un accordo con un paese come la Libia. Oggi siamo qua per parlare anche di Mimmo Lucano. Io dico che anch’io sono personalmente colpevole, quindi dovrebbero condannarmi. Quello che ha fatto Mimmo Lucano dovremmo farlo tutti: perché è la cosa giusta da fare, quella è la cosa che una persona civile dovrebbe fare. In Africa, l’accoglienza fa parte della nostra cultura. Non distinguiamo se questo è straniero, questo è nero, questo è bianco. Quando gli europei vanno in Africa, chiedete loro, quello che trovano è forse lo stesso che noi troviamo qua, l’esperienza che noi viviamo qua? Si o no? Io sono molto arrabbiato oggi. Questa lista che vedete è la lista delle persone che sono morte nel Mar Mediterraneo. Questa è la lista delle persone che oggi dovrebbero essere qua con noi. Oggi in fondo al Mar Mediterraneo ci sono i sogni e la vita delle persone, le storie delle persone morte per volontà di alcuni, morte per volontà della politica. Cosa dobbiamo fare noi? Non dobbiamo stare a guardare l’ingiustizia che avviene. Chi ha il cuore buono non deve stare a guardare. Dobbiamo tutti agire, dobbiamo tutti parlare, questa è la cosa che dobbiamo fare. Tanti miei fratelli sono qui e hanno fatto la mia stessa esperienza. Cosa significa passare attraverso la Libia? Cosa significa vedere il mare? Cosa significa vivere in mare, passare in quel mare verso la sponda opposta? Molti definiscono la Libia un posto sicuro. La Libia non può essere mai un posto sicuro. Qualsiasi migrante che vi passa è alla ricerca di un futuro migliore. Quando le persone partono vogliono rivendicare il loro diritto di movimento. Voi avete il diritto di muovervi e andare in Africa, perché noi non abbiamo lo stesso diritto per venire qua in Europa? Ragioniamoci. Vi hanno fatto capire che noi siamo la minaccia, noi siamo quelli che portano qua la malattia, noi siamo qua e vi rubiamo il lavoro. Cercate invece di conoscere le persone. Cercate di parlare con le persone. Noi siamo persone che hanno anche il cuore umano, cercate di capire. Quando capirete queste cose, capirete dove sta il problema: quelli là sopra non vogliono che noi rimaniamo. Ma se noi ci uniamo, noi siamo il potere. Quando uniamo le nostre forze, questo è quello che loro non vogliono, siamo più forti. La lotta contro i morti nel Mar Mediterraneo, la lotta contro le morti alla frontiera: battaglie di giustizia sociale, lotta di liberazione, che tutti noi dobbiamo fare.” In base all’accordo Italia-Libia del 2017, più di 50 mila persone sono state respinte in Libia. Tutti siamo chiamati a prendere finalmente e pienamente coscienza delle loro parole.