Di Lorenzo Gagliano

Più conosco il mondo del lavoro italiano, lavorando a contatto con l’universo delle imprese, leggendo le esperienze di tanti giovani, più capisco quanto in Italia la cultura del rischio d’impresa (gestione e scelte imprenditoriali nella conduzione di una azienda) è largamente distorta e con essa l’intera retorica sulle imprese e sui rapporti di lavoro dipendente.

Ad esempio, il tormentone sul reddito di cittadinanza, cassa integrazione, blocco dei licenziamenti: il dibattito pubblico pende troppo spesso dal lato dei “nemici dei sussidi statali”, i quali sarebbero contro il ruolo di sostegno dello Stato alle persone fisiche in difficoltà (solo a loro però), per alcuni, addirittura, comparabile al metadone .

Ma esiste una realtà molto meno discussa e non per questo meno estesa (soprattutto dal punto di vista delle risorse pubbliche messe in campo) che riguarda la galassia di sussidi, sovvenzioni, incentivi, garanzie, detrazioni, finanziamenti (anche a fondo perduto) agevolazioni fiscali e bonus messi a disposizione delle imprese dallo Stato, dalle tasse della collettività (per il 70% pagate dalle persone fisiche). Riguardano la formazione (di cui parleremo), l’export, le assunzioni, lo smaltimento rifiuti, i contributi, il welfare aziendale, la pubblicità, la liquidità, la digitalizzazione, la sicurezza dei luoghi di lavoro, l’acquisizione di tecnologie, la sostenibilità energetica e tanto altro.

Un altro esempio è il piagnisteo noto a tutti come “non riusciamo a trovare lavoratori abbastanza qualificati”, ma la stragrande maggioranza delle imprese italiane preferisce trovare lavoratori qualificati e pagarli con retribuzioni “junior” (Quando va bene) solo perchè “appena arrivati”, e destinano una parte troppo marginale, se non inesistente, del loro budget alla formazione dei propri dipendenti. Si dirà “eh io li formo e poi vanno a lavorare in altre aziende”, verrebbe da rispondere “è il rischio d’impresa, baby”. È chiaro che in questo caso si cerca di scaricare la responsabilità sullo Stato, sulle scuole e sulle Università pur di non assumersi la propria dose di responsabilità sul tema “formazione”.

Sia chiaro, non sono contro gli aiuti alle imprese, sono consapevole dell’effetto moltiplicatore che potenzialmente possono avere (quando i soldi sono ben spesi), ma quel che è inaccettabile è la narrativa che va per la maggiore, farcita di disprezzo sociale e di odioso paternalismo nei confronti dei più deboli da parte di un certo sistema imprenditoriale/industriale che beneficia di una quantità di risorse pubbliche enorme, alla quale va aggiunta la quantità di risorse provenienti dall’UE. Di fatto, in Italia non esiste un settore economico che non sia destinatario di sussidi (perfino le banche e la Borsa).

Prima della pandemia, un famoso libro ben dettagliato sul tema, dall’esplicativo titolo “Mani Bucate. A chi finiscono i soldi dei contribuenti: l’orgia degli aiuti pubblici alle imprese private” quantificava, nel 2011, gli aiuti dello Stato alle imprese a 30 miliardi di euro, grazie ai calcoli della Commissione bilancio del Senato, i quali però non contano le agevolazioni fiscali (Confindustria e Co. Parlava di appena 3 miliardi senza però esplicitare i criteri di calcolo).

Secondo il database comunitario AMECO, il quale compie stime dichiaratamente conservative, nel 2019 gli imprenditori italiani hanno usufruito di almeno 20 miliardi, nel 2018 la stima di Bankitalia ha quantificato 40 miliardi di euro tra contributi e sussidi.

Oggi, con il covid-19 non abbiamo motivo di credere che lo Stato elargisca meno sussidi alle imprese, anche perché c’è una ripartenza da sostenere e da non fallire.

Vorrei terminare solo con 3 dati:

1. il budget stanziato per il reddito di cittadinanza spalmato in 3 anni (2019-2021) è stato di “soli” 21 miliardi di euro, 7 miliardi all’anno.

2. Il tessuto imprenditoriale italiano, nonostante le cifre sopracitate non è mai riuscito raggiungere i livelli di produzione precedenti alla crisi del 2008, segno che i soldi pubblici, evidentemente, sono stati spesi male dalle imprese.

3. Anche lo Stato spende male e in modo ingiusto: nel 2021 le procedure di infrazione aperte dall’Unione Europea nei confronti dell’Italia in materia di “Concorrenza e aiuti di Stato” sono ben 6, mentre in materia di “affari economici e finanziari” sono 10.

Alcuni esempi:

– “Mancato recupero degli aiuti concessi alle imprese che investono in municipalità colpite da disastri naturali cd Tremonti bis” (quel “bis” fa paura).

– “Mancato recupero degli aiuti di stato concessi agli alberghi dalla Regione Sardegna” (com’era la storia sulla mancanza dei lavoratori per la stagione estiva che preferivano il reddito di cittadinanza?).

– “Mancato recupero degli aiuti concessi a favore delle imprese nel territorio di Venezia e Chioggia” (il malcostume e gli sprechi sono sempre al Sud, no?).

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