Arte, cultura, rigenerazione urbana. Tutto questo è possibile oggi grazie al progetto “Countless Cities”, la Biennale delle Città del Mondo. A fine giugno 2019, a partire dal 28 e sino al 27 ottobre 2019, si terrà la prima mostra biennale di Farm Cultural Park. Dove? A Favara.

Un’esposizione che coinvolgerà fotografi, artisti, architetti e creativi che attraverso il loro linguaggio racconteranno la governance, le città resilienti e la nuova consapevolezza dei giovani.

Un progetto che porta la firma di Andrea Bartoli.  Notaio dal 2000. Cultore dei linguaggi del contemporaneo con particolare interesse all’architettura, al design, all’arredo urbano, all’arte, alla rigenerazione urbana e riqualificazione territoriale, alla progettazione strategica.

Bartoli quindici anni fa ha creato il Brand Farm, trasformando una masseria del Settecento in albergo di charme e centro di produzione di innumerevoli eventi di arte contemporanea. Insieme a Florinda – compagna di vita e complice di tutte le sue iniziative – a giugno del 2010 ha dato alla luce, a Favara, al Farm Cultural Park, Centro Culturale indipendente.

Tra innumerevoli premi, nel 2018, ospite del Dipartimento di Stato americano, ha partecipato al progetto di scambio International Visitor Leadership Program (IVLP). Nel 2019 è stato invitato dalla Commissione Europea come Inspirational Speaker alla prima conferenza del Dublin Global Platform e ha ideato e progettato Countless Cities, la Biennale delle Città del Mondo.

L’intervista al fotografo palermitano Zino Citelli

“Monumento di ferro”, foto: Zino Citelli (Tunisia)

Tra i creativi che aderiranno al progetto, Radio Off ha incontrato il fotografo palermitano Zino Citelli, classe 1961, laureato in Economia. Citelli lavora e vive a Palermo. La sua grande passione è la fotografia. Una passione nata sin da bambino, quando prendeva in prestito la fotocamera del papà.

La sua foto, dal titolo “Monumento di ferro”, è stata realizzata in Tunisia (presso il lago salato Chott el Jerid) nell’ottobre 2017.

Una foto che racchiude una doppia storia: da una parte c’è la leggenda che vuole che la carcassa del bus sia stata lasciata lì da un gruppo di profughi libici in fuga, dall’altra invece la reale storia, cioè che la carcassa rappresentasse l’avamposto di un francese che lì ha installato la propria base per praticare kitesurf. Un luogo però che pare non abbia dato all’uomo la possibilità di fare affari, tanto che, ha deciso poi di andar via e lasciare il mezzo in balia del tempo.

Serena Marotta