“I randagi, i questuanti, adesso erano emigranti…sono sporchi, portano malattie. Non possiamo lasciarli entrare nelle scuole. Sono stranieri. Ti piacerebbe vedere uscire tua sorella con uno di quelli? Gli indigeni si suggestionarono fino a crearsi una corazza di crudeltà”. Sembra una narrazione riferita al fenomeno migratorio attuale e, invece, è una frase tratta dal romanzo “Furore” (titolo originale “The grapes of wrath”  Grappoli di ira) scritto nel 1939 da John Steinbeck che narra l’epopea della famiglia Joad e delle migliaia di persone travolte dalla crisi e dall’impoverimento che trasformò gli stati agrari del centro sud degli Stati Uniti in una “dust bowl” (scodella di polvere), in marcia verso il paradiso della California lungo la Route 66 e respinti dai californiani che li bollano come “stranieri”, pur essendo americani come loro.

Un testo attualissimo come spesso accade ai capolavori della letteratura (Steinbeck fu premio Nobel per la letteratura nel 1962), oggi riproposto in una nuova traduzione integrale di Sergio Claudio Perroni che restituisce ai lettori la forza e la modernità del romanzo che tratta il tema universale della lotta dell’uomo contro l’ingiustizia.

John Ford trasse da questo romanzo un film, con il giovane Henry Fonda nella parte di Tom Joad, arrivato in Italia dopo la censura fascista e la guerra.

Val la pena di ricordare anche un altro cantore dell’epopea degli “Okies” come venivano chiamati in senso spregiativo dai ricchi californiani perché erano in gran parte originari dell’Oklahoma: Woody Guthrie, menestrello popolare dell’America di quel periodo, ispiratore di Bob Dylan, che condivise la condizione dei migranti e ne immortalò la vita nelle sue canzoni (una tra tutte “Do Re Mi”).

Fabrizio Vasile

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