Prendete un professore quarantenne della Sorbona a Parigi, deluso dalla vita e senza ambizioni, e catapultatelo in un futuro prossimo quando, in Francia, il leader del partito della Fratellanza musulmana, lo spregiudicato Ben Abbas, tunisino francese di seconda generazione, sconfigge alle elezioni Marie Le Pen con l’appoggio degli altri partiti e instaura un regime di Sharia attenuata, rassicurante nella sua autorità che concede posti di potere e nuovi diritti, come la poligamia, a chi si converte alla fede islamica.

Questa è l’ambientazione del romanzo “Sottomissione” scritto da Michel Houellebecq nel 2015. Il protagonista, dopo un iniziale rifiuto alla conversione, si adegua opportunisticamente guadagnando una comoda cattedra universitaria. Lo stile, come sempre satirico e corrosivo, dell’autore mette in evidenza, pur in una storia dell’apparente flusso narrativo piano e accogliente, contraddizioni, tragedie e farse della vita, mettendo il lettore di fronte a interrogativi sul declino delle vecchie certezze e fedi che porta al caos.

Ma come spesso accade, anche per la migliore letteratura, la critica più approssimativa e al contempo più sbandierata ha interpretato la narrazione come una sorta di “profezia” con il singolare risultato di attirare sul Michel Houellebecq contemporaneamente l’accusa, da parte di un fronte anti-islamico, di favorire l’islamizzazione del mondo occidentale e, da parte dei musulmani, di mettere in cattiva luce l’Islam attraverso la figura di Ben Abbas.

Il libro fu pubblicato, per una tragica coincidenza, nel giorno dell’attacco armato alla sede di Charlie Hebdo e Houellebecq lasciò Parigi per timore di essere anche lui nel mirino degli estremisti islamici: la superficialità aveva trionfato ancora.

Fabrizio Vasile

Fonte immagine: ctrlmagazine.it