Dopo lo scioglimento del patto di Varsavia, le varie repubbliche e gli stati satellite che costituivano la prima linea difensiva verso l’Europa occidentale del blocco sovietico si ritrovarono improvvisamente proiettati lontani da Mosca, troppo impegnata, com’è noto, a risanare le proprie ferite economiche e desiderosa di realizzare il sogno della democrazia. Le piccole ma ben armate repubbliche iniziarono a nutrire spasmodica bramosia verso un occidente che per loro costituiva il tramite con cui realizzare i tanto desiderati sogni di progresso e ricchezza che erano stati loro negati durante anni del regime comunista. Già nel 1999 siglano l’adesione alla NATO:  Ungheria, Repubblica Ceca e Polonia, nel 2004 Bulgaria, Romania e Slovacchia. Le date di ingresso nell’Alleanza atlantica sono esplicative del sentimento che serpeggiava in Europa orientale fra i paesi dell’ex blocco sovietico: il 1999 è l’anno del ritorno dell’armata russa in Cecenia, che provoca nei vecchi stati satellite il terrore di un ritorno dell’orso russo e di un possibile allontanamento dal tanto agognato occidente. La seconda data è il 2004, l’anno della definitiva svolta autoritaria a Mosca sancita con la seconda vittoria elettorale del partito Russia Unita che si sovrappone  con la nuova espansione ad Est dell’Alleanza atlantica. La conseguenza è un infittirsi dei rapporti con la NATO con la ferrea volontà di entrare a far parte del blocco occidentale al fine di godere della protezione degli eserciti europei assecondando la  psicosi anti russa che serpeggia tutt’oggi in Europa orientale.

Dal canto suo, la NATO, ha accolto con entusiasmo la volontà di “defezione” degli antichi rivali, soprattutto nell’ottica di contenere una Russia in ascesa economica che detiene il monopolio dei gasdotti che convergono nel vecchio continente. E’ in questa cornice che trova perfetta collocazione la ripresa del progetto faraonico delle “guerre stellari” varato da R. Reagan negli anni ’80.

Lo scudo anti missile, i cui progetti procedono più o meno speditamente, costituisce un gigantesco sistema di difesa a guida satellitare schierato in più punti d’Europa, al fine di sventare qualsiasi minaccia balistica proveniente da Iran e Russia (recentemente si è anche aggiunta la nord Corea)

Nell’ottica del Cremlino è evidente come la presenza dello scudo missilistico, soprattutto nei vecchi paesi del patto di Varsavia, costituisca una minaccia concreta. Mosca nei suoi rapporti con l’Europa è ancora legata agli schemi della guerra fredda e agisce auspicandosi la divisione del continente in sfere di influenza. Questa la dottrina che ha orientato il dinamismo politico della Russia verso l’Ucraina, che si è poi concretizzato nell’annessione della Crimea:

Nel 2013 l’Ucraina è attraversata da una grande mobilitazione popolare in risposta alla decisione del governo di Kiev di sospendere l’accordo di associazione e stabilizzazione con l’Unione Europea. Tale accordo costituisce condizione essenziale al fine di essere ammessi nell’Unione e prevede, fra i vari paragrafi relativi alla salute dei conti pubblici, la stabilità degli apparati democratici e la conformità del rispetto e la tutela diritti umani con gli standard UE. La Russia, nel tentativo di spezzare l’idillio fra Kiev e Bruxelles, ad Agosto 2013, si affretta a cambiare i propri rapporti commerciali con l’Ucraina, bloccando di fatto l’afflusso delle sue merci verso il mercato russo. Il danno economico per Kiev è enorme ma il Cremlino rincara la dose pretendendo la restituzione di tutti i debiti che gli ucraini avevano contratto con Mosca. (il prezzo di vendita di alcune materie prime e del gas naturale che i russi vendevano all’Ucraina era irrisorio rispetto ai valori di mercato)

 

Capendo le difficoltà economiche che il paese avrebbe dovuto affrontare se avesse continuato sulla strada dell’avvicinamento all’occidente, il governo di Viktor Janukovyc opta per la sospensione dell’accordo di associazione e stabilizzazione. Nel giro di poco tempo vastissimi movimenti europeisti si formano in tutta l’Ucraina. I manifestanti scendono in piazza chiedendo la prosecuzione dei lavori e l’avvicinamento all’UE, il governo opta per la repressione violenta ottenendo soltanto una recrudescenza delle proteste. Nel Febbraio 2014 Janukovyc è spinto a rassegnare le dimissioni, e l’Ucraina assiste alla ripresa dei lavori operata da un nuovo parlamento filo europeo.

Alla fine di Febbraio, una non meglio identificata forza militare filo russa occupa gli edifici chiave di Sebastopoli, in Crimea (in seguito il governo russo ammetterà trattarsi di brigate del proprio esercito prive di distintivi di riconoscimento)

Agli inizi di Marzo 2014 la Russia annette la Crimea.

La condanna di Bruxelles come anche quella di Washington non si è fatta attendere. Criticando gli intenti e i modi con cui la Russia ha operato questo colpo di mano, la politica occidentale ha affermato che Mosca persegua ormai una dichiarata politica di potenza e che l’annessione della piccola penisola (che ospita la flotta del Mar Nero, uno dei più grandi contingenti russi al di fuori del territorio federale) si sia svolta in pieno sfregio alle norme diritto internazionale. Putin rivendica il principio di autodeterminazione dei popoli, sostenendo che il grosso degli abitanti della Crimea sia di origine russa e che un riavvicinamento della penisola verso la federazione, anche con la forza, debba essere giustificato. E’ bene precisare, senza mezzi termini, che l’annessione della Crimea costituisce un atto illegale: il principio di autodeterminazione, nel diritto internazionale, è comunque subordinato alla continuità e all’integrità territoriale dello stato Ucraino. Si potrebbe, a ragion veduta, invocare l’autodeterminazione solo nell’eventualità di atti persecutori e discriminatori volti a ghettizzare la popolazione russa nella penisola, cosa che Kiev non ha mai fatto.

Per comprendere il colpo di mano russo bisogna allora tentare di cogliere il loro punto di vista: L’Ucraina rappresenta la “porta per l’Europa”, la maggior parte delle merci russe, così come il gas di cui l’Europa ha famelico bisogno, passano tutte per le dogane di Kiev. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica la Russia, conscia dell’importanza commerciale dell’Ucraina, ha sempre cercato di imbastire con Kiev rapporti cordiali e preferenziali, la volontà del governo ucraino di entrare a far parte dell’UE e della NATO sarà stata percepita dai russi come un vero e proprio tradimento, perché “perdere” l’Ucraina significherebbe perdere un fondamentale avamposto militare nel mar nero (la base di Sebastopoli, come già accennato, ospita la flotta del Mar Nero, che costituisce l’unico strumento di pressione e deterrenza nelle mani di Mosca nella regione) e implicherebbe l’intollerabile movimento di truppe NATO a ridosso dei confini nazionali.

Ecco perché per la Russia la partita più importante si svolge nell’Europa orientale, nella zona che, fino a non molto tempo fa, era nulla più che il familiare spazio di influenza e che oggi il Cremlino non intende lasciare in mano all’occidente. Per i russi è una questione di spazio vitale, spazio che Mosca è decisa a difendere. Anche con la forza.

Fabrizio Tralongo

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