Recensione di Ornella Mallo 5/11/2022
Scriveva Davide Maria Turoldo che “la poesia non racconta, suggerisce”. E la poesia che parola dopo parola si dipana in “Eppure”, silloge di Emanuela Mannino, è carica di suggestioni di vento e di silenzio. Un vento che soffia in tutta la raccolta, che trasporta la voce di una “conchiglia” che “Giace inascoltata / su granelli di memoria”: ossia “la poesia del vero”, che l’Autrice si chiede dove sia finita, “oltre i chiaroscuri / del magro tempo”. De l resto, è il titolo stesso a preannunciare una lirica fortemente suggestiva e visionaria, non realistica e assertiva: quell’ “Eppure” sta a significare un rimando a un ’altra dimensione , tutta spiritualità, che esiste oltre e resiste nonostante il caos, nonostante il “subbuglio mondo ” che “sferraglia” , contro cui la poetessa urla il suo “no” nella poesia “Parlano”: “ Parlano tutti / parlano tutti / io non parlo / perché non parlo? / […] Mi sono dimenticata, / come si fa a parlare? / Inizierei da un no / e poi un no / ancora no / e sì / perdutamente qui / a rimestar parole ambulanti / di petto in cuore / a riscaldare il ghiaccio / dei poli opposti / a lucidare ali / domani / volare / adesso.” Dunque un “no” “alle basse quote ostili e buie” , e un sì al volo alto, all’esigenza di “Ordinare il disordine del fuori – dentro” , per riappropriarci di una vita in cui la “dignità” non sia “digiuna / di fame raminga”: “Degna / la mia vita, / di lacrime ed errori / di sogni in volo / di mani bianche / e di risvegli di guerra.” L’altra suggestione che pervade tutta la silloge poetica è quella del silenzio. Leggendola, mi è venuta in m ente la poetessa argentina Alejandra Pizarnik, e il suo continuo e incessante richiamo all’uso di parole che “facciano il silenzio”, in opposizione alle parole che non dicono nulla: “Non voglio altro che un silenzio per me e per quelle che sono stata, un silenzio come la piccola capanna che i bambini sperduti incontrano nel bosco”, scriveva. Fa da contraltare Emanuela Mannino : “Prendo tutti i silenzi / e ne faccio ricami / d’intime parole. / Lascio ago e filo / alla sartoria del cuore. / I sentimenti sussurrano / / ( sarà quel che sarà).” Il silenzio, dunque, consente la creazione di una dimensione intima, in cui trova spazio la voce autentica dell’io, troppe volte soffocata dal clamore vociante delle masse, in una società che sempre più sacrifica l’unicità dell’individuo in nome di una omologazione depersonalizzante. In “Dimentica” la poetessa afferma: “Se vuoi essere felice / dimentica la parola. […] non sei un caso, / piccola fiamma di io.” Un silenzio da coccolare come un bambino appena nato, e che nutre i l nostro io bambino che ancora risiede dentro i nostri più reconditi abissi . Un richiamo alla nostra dimensione di infanti, dove l’infanzia sta per purezza non violata, quintessenza della nostra identità, che va disseppellita e resa visibile. I poeti, in quanto apprendisti o addirittura sapienti conoscitori dell’uso appropriato del silenzio e della parola, in una società che spaccia il chiasso come disvalore imperante, sono visti come dei sovversivi. Ma “Essere poeta / è il crimine più bello. / “, nella misura in cui condanna “le piccole morti / del non vivere.” Nei versi di Emanuela Mannino, la natura è la presenza che si contrappone all’assenza che la poetessa è costretta a “ masticare ” in un mondo in cui non trova posto , autentica meteora che trasmigra altrove. Ed ecco il mare, che in una poesia é visto come un bimbo capriccioso che urla , “con ricci di onde e bocche di vento”; i fiori che “il tempo separa dai relitti”; la pioggia che “batte, / forte /”, e impedisce di vedere le ferite da cui sgorga la poesia, lasciandole aperte; e le “fragole”, vere e proprie metafore di quell’amore carnale che, quando corrisposto e non puro abbaglio, è in grado di dissetare la nostra anima avvizzita. In “Facciamo l’amore” la poetessa scrive: “andiamo nel pozzo proibito / delle primavere / dei pollini / succhiamoci / mordiamoci / urliamoci dentro / sino all’alba – “ Quando invece l’amore finisce, il “tu” cui la Nostra si rivolge , sparisce , risucchiato dalla “botola dell’ombra”: nella bocca della poetessa solo un “bolo di cenere e polvere”, e la consapevolezza che quel “tu” altro non era se non “un sole sporco / sul lungomare dei giorni azzurri”. L’Autrice si serve delle parole come di note musicali, e dei versi come di un pentagramma. Scrive una musica che dà voce all’inesprimibile sua interiorità e all’altrove cui bisognerebbe fare approdo. Il ritmo varia: si fa dolce e sinuoso nelle poesie d’amore; incalzante nelle poesie d’attualità , i n cui critica la frenesia del mondo d’oggi; oppure è un adagio , nelle poesie in cui la poetessa riesce a dare voce alla nicchia di silenzio in cui trova riparo. Emanuela Mannino, con la sua capacità di imprimere agli strumenti classici della poesia una virata verso il nuovo, grazie all’impiego sapiente delle parole , mai ridondanti, semmai minimali , conferma d i essere una delle voci più interessanti della poesia siciliana contemporanea.