Di Fabio Gagliano.

Gino Strada ci ha lasciato. Cardiochirurgo e fondatore di Emergency, è stato il medico degli ultimi. Se ne è andato all’età di 73 anni, dopo una vita spesa per il bene degli altri.

Era nato a Sesto San Giovanni nel 1948, era stato chirurgo di guerra per il Comitato internazionale della Croce Rossa in luoghi come l’Afghanistan e la Somalia, e nel 1994 ha fondato Emergency con la moglie Teresa Sarti e alcuni amici colleghi, aprendo il primo progetto in Ruanda durante il genocidio dei Tutsi e degli Hutu  che si compì tra il  6 aprile e il  16 luglio 1994, per mano dell’esercito regolare e delle milizie paramilitari. Il movente ideologico delle stragi fu l’odio razziale verso la minoranza Tutsi, che aveva costituito l’élite sociale e culturale del Paese. In soli 100 giorni persero la vita circa un milione di persone, uccise soprattutto con machete, asce, lance, mazze. Lo sterminio terminò con la vittoria militare del Fpr, Fronte patriottico ruandese, espressione della diaspora Tutsi.

Poi, nel 1998, Gino Strada raggiunge l’Afghanistan, dove rimane per sette anni. Nel 2005 ha lavorato all’apertura del Centro Salam di cardiochirurgia, in Sudan, primo Centro di cardiochirurgia totalmente gratuito dell’Africa. Nel 2014 si trasferisce in Sierra Leone, dove Emergency era presente già dal 2001, per far fronte all’emergenza Ebola.

Dal 1994 al 2013, Emergency ha fornito assistenza gratuita a oltre 6 milioni di pazienti in 16 paesi nel mondo. Perché i diritti devono essere proprio di tutti. Altrimenti, come diceva Gino Strada, «chiamateli privilegi».

Rifacendomi alla sua vita ed alle sue imprese, non posso non pensare, con un filo di commozione,  che Gino Strada è stato il testimone massimo di quello che noi medici abbiamo giurato quando abbiamo iniziato la professione: il giuramento di Ippocrate. Ne riporto qualche riga qui di seguito:

Consapevole dell’importanza e della solennità dell’atto che compio e dell’impegno che assumo, giuro: di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento; di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale; …… di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità condizione sociale e ideologia politica; di prestare assistenza d’urgenza a qualsiasi infermo che ne abbisogni e di mettermi, in caso di pubblica calamità a disposizione dell’Autorità competente

Solo dopo aver prestato il Giuramento di Ippocrate si può davvero dire di essere medici a tutti gli effetti. Perché? Ecco di cosa parla questo giuramento: Della dignità del malato e del rispetto della sua vita, della diligenza nell’esercizio della professione, dei doveri inseriti nel Codice che ogni medico è tenuto a rispettare.

Tuttavia, in un editoriale del Medical Journal of Australia, il professore di bioetica Edmund Pellegrino ha scritto: “Forse oggi per molti il giuramento medico è un frammento di un antico ideale infranto. Ma buona parte di quell’ideale rimane impresso nella coscienza della professione medica, così da ricordarci che lasciarsi completamente alle spalle questo ideale sarebbe come trasformare la medicina in un’impresa commerciale, industriale o comunque mossa dalle logiche del profitto”.

Ma il medico, come disse l’imperatore Gallieno, non può non essere filosofo. E quindi non può non essere “politico”. Ma “politico” per Gino Strada è un medico filantropo che deve simpatia (misericordia) e umanità (humanitas) a ognuno dei suoi malati, sulla base della fratellanza tra gli uomini. L’amore dell’umanità diventa la virtù professionale del medico.

Anche se l’umanesimo medico è rimasto ristretto a una piccola minoranza di medici, resta tra gli ideali più sublimi concepiti dall’antichità e tramandati sino ad oggi. Il giuramento di Ippocrate assume il suo pieno significato solo se interpretato nel modo in cui fu compreso dal medico romano Scribonio nel 44 d.C. e dai suoi successori. E proprio perché ci è stato consegnato dall’antichità incastonato nell’ideale dell’etica della filantropia, di cui si è fatto supporto, ha potuto costituire nel corso dei secoli un punto di riferimento costante a cui Gino Strada si è sempre ispirato

Oggi siamo, più che in passato, coscienti delle ambiguità che possono deformare il senso del giuramento. Ne è un esempio la Sanità intesa come “azienda” che tanti danni ha provocato in Italia e non solo. Ma Gino Strada si è opposto fermamente al tentativo di ridurre l’«ethos ippocratico» a un puro flatus vocis. Egli ci ha ricordato  l’obbligo che ha il medico di servire non solo l’uomo in carne ed ossa che si affida alle sue cure, ma l’umanità. Forse è un’utopia,  ma questa utopia ha il merito di evidenziare la differenza tra l’ideale e la pratica quotidiana. Come tutte le dottrine utopiche, anche l’etica ippocratica, e il giuramento che ne è diventato simbolo, apre al reale l’orizzonte del possibile. E Gino Strada lo ha dimostrato.

Fotografia di Fabio Gagliano