di Ornella Mallo 02/02/2021

Pupi siamo, caro signor Fifì! Lo spirito divino entra in noi e si fa pupo. Pupo io, pupo lei, pupi tutti! L. Pirandello, Il berretto a sonagli, a. I. Mi guardi: i tuoi occhi sono disegnati da una sottile linea marrone. Da loro traspare un’aria corrugata, severa. Naso e mento sono finiti chissa dove, strappati dal tempo. Hanno resistito alle sue intemperie i baffi e la barba, di un marrone deciso. E la bocca, di un rosso vermiglio. L’incarnato del viso eà rosa; rosa le tue mani rigide, che affiorano da un’armatura di metallo su cui spicca un gonnellino di velluto bordeaux, con ricami dorati. Sull’elmo, una piuma dall’acceso color fucsia, e una delle due aste che servono a muoverti; all’altra, eà attaccata la mano destra. Alla sinistra, invece, hai lo scudo. Sei in assetto di guerra, eppure sei inoffensivo: perché tu possa fendere i tuoi colpi, occorre che qualcuno dall’alto ti muova, prendendoti per le aste. Ti guardo: sei in un angolo della vetrina del salone, riposto tra tazze da caffe. Ti fa compagnia una ballerina andalusa, che indossa uno sgargiante vestito di raso, di colore azzurro. Anche lei sta lì immobile, in attesa di qualcuno che la sollevi e che, facendola danzare, le dia vita. La vita, fatta di tempo che scorre inesorabile, e che imprime le sue orme nella mente, sotto forma di ricordi. Tu sei arrivato quando ero bambina. Ricordo mio padre, che mi teneva per mano, con i suoi baffi neri, press’a poco come i tuoi. Col suo passo deciso e sicuro, mi portava al teatro dell’opera dei pupi, per vedere le gesta di Rinaldo in campo: “ Eu su’ Rinaldu e su’ di Montalbanu Chiddu chi desi morti a re Mambrinu […] E puru desi morti a Miculinu Sett’anni tinni eu lu munnu ‘n guerra Pri guadagnari Angelica la bella.”* Ricordo le grida dei pupari, i tonfi dei loro calcagni sbattuti sul pavimento di legno del palcoscenico; i pianti accorati di Angelica, lo stridore delle spade di metallo che sbattevano contro gli scudi durante i combattimenti; le luci che accendevano gli scenari variopinti. Mi rivedo piccola piccola, seduta in prima fila, con il naso all’insu, mentre trattenevo il fiato di fronte a quella magia che si animava, e che trasformava il palcoscenico in un caleidoscopio chiassoso di colori e suoni. All’uscita, tanti pupi di metallo come te, riposti su un tavolino. Le mani di mio padre ti afferrano e ti affidano a me. Ricordo il tuo parlare muto che inondava la stanza dei giochi: mentre sciorinavi le tue gesta epiche, io mi divertivo a muoverti per le aste. La notte, ti sentivo sbattere con la tua armatura contro i vetri della finestra della mia camera, come fanno le falene quando si ritrovano imprigionate negli appartamenti di cittaà. Ti vedevo volteggiare nell’aria, alla ricerca disperata di uno spiraglio da cui fuggire per dare un contenuto alla parola liberta, poco più che un ideale irrealizzabile nella tua vita …​ Nella tua? O anche nella mia? E cosa vedevo volare verso la finestra, alla ricerca di una via di fuga? Te? O un mio anelito? Ti ascolto: non hai mai smesso di parlarmi, in realtà, da quando ci siamo conosciuti. Sono stata io, caso mai, a guardarti con occhi sempre piu fuggevoli, man mano che crescevo, fino a non guardarti affatto. Quando sono diventata adulta, hai silenziosamente adornato la vetrina di casa di mio padre, che ti custodiva gelosamente insieme a tutti gli oggetti che raccontano la sua vita: in essa, le fila del passato si allungano prepotentemente, e si accorciano quelle del futuro, fino a diventare sempre piuà brevi. Anche se, l’orizzonte verso cui si protendono, eà ancora nebuloso, indistinto. Adesso, sei ritornato tra le mie mani, e adorni un angolo della vetrina del mio salotto, testimone muto del grande amore di mio padre per me. Del suo vivere in mia funzione ancora oggi che passa le giornate ad aspettarmi, e che sta a guardare, con i suoi occhi ciechi, il corridoio da cui arrivo tutte le volte che lo vado a trovare. E in fondo, il suo destino non eà dissimile dal mio, come non lo e nemmeno dal tuo: tu aspetti qualcuno o qualcosa che, dall’alto, ti agiti e ti muova nella direzione che ti imprime. E anche noi, in fondo, non sappiamo a quale mano sono attaccati i ganci che ci muovono. E stiamo qui, oggi più che mai, con questa pandemia che ci affligge, a chiederci se e quando arriverà per noi, quel che di imponderabile che aleggia nell’aria. E se saremo capaci di farvi fronte, resistendo come hai resistito tu, che a questo punto del tuo cammino sei qui che mi guardi, sia pure con quel naso e quel mento smozzicati, segno delle traversie che comunque hai dovuto sostenere per ritornare tra le mie braccia.

Ornella Mallo * Tratto da “Le tradizioni cavalleresche popolari in Sicilia” di G. Pitrè, pag. 370

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