A cura di Fabrizio Tralongo

 

E’ di oggi la notizia dell’ennesimo blitz antiterroristico messo a segno dai Carabinieri del Ros in cui è stato arrestato Ilyass Hadouz, ribattezzatosi Ilyass El Magrebi, giovane di 19 anni, residente a Fossano (provincia di Cuneo)  accusato di inneggiare e propagandare la retorica estremista del Califfato.

Ad Ilyass è stato contestato il reato di istigazione a delinquere con finalità terroristica e gli sono stati oscurati i vari account social attraverso i quali cercava di adescare e convincere i cosiddetti lupi solitari: combattenti che agiscono in proprio, senza direttive da parte di alcuna cellula terroristica, che compiono i loro attacchi attraverso l’uso di armi improprie e mezzi improvvisati.

E’ la quarta operazione di antiterrorismo messa a segno dal comando dei Carabinieri che si pone in diretta continuità con gli arresti che hanno colpito la rete italiana di Amis Amri, l’incarcerazione, nel torinese, di un giovane sospettato di progettare un attentato con un camion da trasporto e l’arresto del presidente di un centro islamico accusato di indottrinare minori dai 4 ai 10 anni alla Jihad.

Malgrado tali operazioni di sicurezza siano tutte andate a buon fine la radicalizzazione di elementi sensibili attraverso il web è diventata un fenomeno in ascesa:  Dal 2014 in poi, sebbene Daesh nella sua espressione geografica  sia stato sconfitto, il fenomeno del reclutamento via web ha subito in incremento costante dando vita al fenomeno dei Lone Wolves, i lupi solitari, individui sedotti e indottrinati,spesso via web, che decidono in totale autonomia di immolarsi nel nome dell’ideale incarnato dall’Isis.

Perché l’Isis prima di essere uno stato privo di contenuto è una potente idea, un monolito intangibile rivolto verso tutti i musulmani che vivono al di fuori dei suoi fittizi confini, un calderone di radicalismo che ha come unico scopo quello di fornire un ideale con cui attrarre gli esclusi della società occidentale. L’Isis prospera e recluta nei quartieri periferici delle metropoli d’occidente, zone dove ingiustizia sociale, marginalizzazione e misere condizioni economiche rendono i giovani immigrati, di seconda e terza generazione, facile preda dell’efficace macchina propagandistica del califfato.  Il successo mediatico dei profili social dell’Isis è dovuto in larga parte all’eccellente lavoro dell’organizzazione  nel veicolare i messaggi necessari con un linguaggio occidentale: da notare come il materiale di propaganda realizzato in questi ultimi anni dal califfato  sia contraddistinto da un linguaggio estremamente ponderato che fa propri i classici format televisivi occidentali, dai reality show ai reportage fino ai videoclip, diversificando  il loro vocabolario espressivo ed estendendo così la portata del messaggio. Abbandonando le videoregistrazioni dalle cupe e polverose caverne afghane dell’era Bin Laden, i loro prodotti si arricchiscono di ironia, violenza, potere e ricchezza economica.

Studi condotti in merito hanno rilevato nella propaganda del califfato una costruzione stratificata, partendo dal locale per giungere ai famosi messaggi sugli account social. E’ improprio ritenere l’Isis un’entità che ha fatto proprie soltanto le basi della comunicazione 2.0, Daesh parte da una dimensione locale: è attivo nelle piazze, nei mercati e nelle moschee di vari paesi mediorientali. In quei luoghi dove l’accesso alla rete internet non è ancora capillare il califfato ha dimostrato di saper sfruttare agilmente strumenti quali radio, volantini e manifesti di propaganda. In tali luoghi l’Isis veicola messaggi profondamente diversi rispetto a quelli pensati per il pubblico occidentale: si promette uno stato efficiente, si promette ordine, alloggi, sussidi statali e assorbimento della disoccupazione.

Il secondo grado è quello della dimensione regionale: gli esperti dell’Isis confezionano messaggi rivolti principalmente agli abitanti della fascia nord africana trasmettendo un’immagine di stato solido che non cerca soltanto combattenti ma anche varie e diversificate figure professionali come medici, ingegneri, insegnanti, un messaggio generale diretto a tutti i volenterosi che risiedono al di fuori dei confini dello stato islamico col preciso invito a recarsi nei territori del califfo per contribuire alla costruzione di una nuova patria per tutti i musulmani.

Il terzo, e ultimo, grado è quello della dimensione globale: quello più famoso per noi, che ha il duplice scopo di reclutare combattenti in loco e intimorire i governi occidentali fornendo un’immagine delle milizie del Daesh non soltanto come spietate macchine assassine ma anche come forza armata moderna e ben organizzata. Non a caso l’Isis ha sempre riposto grande cura nell’omologazione delle divise dei propri combattenti (quando filmati dalle telecamere), imponendo un vestiario ed un equipaggiamento standardizzati che  richiamano gli standard di efficienza tipici di qualsiasi esercito regolare, con un occhio di riguardo nel coprire con passamontagna i volti di qualsiasi “soldato” comparisse nei loro video al fine di favorire nello spettatore l’immedesimazione non nel singolo combattente ma nell’idea pervasiva, perversa ed in definitiva più efficace dello stato islamico.

Seppur sconfitto sul piano territoriale, ad oggi, la macchina propagandistica del Daesh continua a radicalizzare singole cellule  nei vari paesi occidentali. Gli episodi di Nizza, del Bataclan, della Rambla di Barcellona sono soltanto alcuni degli esempi ormai tristemente noti di ciò che la martellante propaganda mediatica del califfato è stata in grado di scatenare, più che di comunicazione 2.0 in questo caso sarebbe meglio parlare di radicalismo 2.0 che ha come obiettivo giovani ragazzi musulmani relegati ai margini della società occidentale, figli di un’accoglienza fallace e mal gestita che ha prodotto, complice l’ingiustizia insita nel sistema capitalista, la voglia di riscatto e rivalsa in giovani che non hanno migliori aspettative dalla vita se non quella di immolarsi per un ideale. L’ideale dell’Isis.

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