di Ornella Mallo 05/02/2021

“Amiamo sempre in ciò che abbiamo ciò che non abbiamo quando amiamo La barca si ferma, lascio i remi e ci diamo le mani. A chi do le mani? All’Altra.” “Mi è venuta in mente L’Altra ” di Pessoa, leggendo il libro di Cristina Comencini. La strofa testé citata non ne è che l’incipit, ma già racchiude ciò che, secondo il poeta, spinge l’uomo a vagheggiare l’Altra: la sua figura incarna tutto ciò che manca alla donna con cui divide la quotidianità, e perciò, pur assente, si fa presente come quel sogno, quella illusione in cui ci si rifugia per evadere dalla realtà. C’è un’altra citazione che mi piace riportare, ed è di Oriana Fallaci: ”La morte di un amore è come la morte di una persona amata. Lascia lo stesso strazio, lo stesso vuoto, lo stesso rifiuto di rassegnarti a quel vuoto. Perfino se l’hai attesa, causata, voluta per autodifesa, o buon senso, o bisogno di libertà, quando arriva ti senti invalido. Mutilato.” Maria butta fuori di casa Pietro dopo averne scoperto la relazione con un’altra donna: una storia passeggera che si esaurisce dopo poco tempo. Successivamente, però, Pietro avvia un rapporto stabile con Elena, sua studentessa, più giovane di lui di circa vent’anni, della stessa età dei suoi figli. Nasce così in Maria la necessità di elaborare il lutto, e di capire se realmente la fine del loro matrimonio sia imputabile alla presenza di quest’altra donna che si è insinuata nella vita di Pietro, allontanandolo da lei in modo definitivo; o se invece l’Altra abbia occupato un posto vuoto da tempo nella vita del marito, e la fine del matrimonio sia stata determinata dalla morte inesorabile dell’amore. Si sventagliano, così, tutta una serie di riflessioni sull’amore, sulla fedeltà, sull’essere donna oggi e sul modello matrimoniale di ieri, in cui le mogli erano più pronte a sostenere mariti assenti e infedeli, a mantenere in piedi impalcature che nascondevano il vuoto, dietro. “Rita gli avrebbe perdonato tutto per tenersi uno straccio di uomo, come Maria avrebbe perdonato tutto a Pietro se fosse tornato a casa, e come mia madre aveva perdonato tutto a mio padre solo per averlo, curarlo, amarlo fino alla fine… Ma che amore era il loro, e che cosa avevano da insegnarci? A cosa era servita la loro consapevolezza, gli anni di libertà a cui si riferivano sempre, l’amicizia tra donne che aveva voluto mostrarmi con la fotografia?” La Comencini, con enorme sapienza, accosta donne di cui dipinge con decisione i tratti, scandagliandone a fondo la psicologia, per poi arrivare ad una conclusione: che non esiste un’Altra che si contrappone alla donna con cui divide lo stesso uomo. “Ricordo benissimo che mentre lo raccontava avevo pensato: ora l’altra sono io.” Siamo tutte “Altre donne” all’inizio del rapporto amoroso, perché tutte veicoliamo l’uomo verso di noi, apparendo “dolci e fortissime”, erotiche e rassicuranti. Successivamente, man mano che la relazione prende piede, diventano sempre meno fumosi i tratti della donna, ed ecco che l’uomo si allontana: viene meno “la febbre di conquista”, come scrive Jacques Brel ne “La canzone dei vecchi amanti”, la curiosità di conoscerla, l’ardore nell’amarsi. Dall’altra parte, la donna acquista sempre più consapevolezza dei limiti e dell’immaturità dell’uomo che ama, e diventa respingente, impersonando sempre di più i problemi del rapporto, che non riesce a ignorare, abbandonando quella leggerezza iniziale, fortemente seducente. Parla Pietro, e spiega così all’amica Rita la fine del rapporto con la moglie Maria: “Volevo dirti che con Maria adesso stiamo così non perché ho avuto una relazione, è già finita, non era una cosa importante… […] me ne vado perché so tutto di Maria, conosco ogni reazione, ogni lato del suo carattere, il modo in cui dorme, mangia, sorride, si incazza… Non c’è niente che mi sorprende, e la cosa più terribile è che anche lei sa tutto di me. Come, non capisci? Questo è proprio il punto: mi penetra ogni pensiero, intuisce ogni cosa. Almeno, io ogni tanto sono distratto. Sì, è inutile che me lo ripeti, sostanzialmente sono un egoista, ma lei almeno si salva per questo, può nascondermi una parte dei suoi pensieri e delle sue azioni, io no. Io non voglio essere capito, Rita, e non voglio capire lei. Vorrei che qualcuno mi facesse un lavaggio del cervello, dimenticare tutto e ricominciare… Ma non si può, abbiamo percorso tutte le strade insieme. […] Vorrei una nuova vita, non me la sento di invecchiare accanto a lei. Volevo tu lo sapessi prima di incontrarla.” E Maria, di rimando, a Rita che le ha riferito quanto detto da Pietro, risponde: “Non vuole invecchiare accanto a me, ti ha detto che mi conosce troppo bene… Io credo che non voglia invecchiare e basta.” Rita mantiene con Pietro un rapporto di intensa amicizia, anche se da giovani avevano avuto una storia. E’ lei che fa da tramite non solo tra Maria e Pietro, ma anche tra Maria ed Elena: riesce a mettere in contatto le due donne, condividendo con loro l’amicizia su fb. Così Maria, sotto il falso nome di Sara Trovato, inizia un’intensa corrispondenza via messanger con Elena, in cui tutt’e due parlano dello stesso uomo. Scopre come, tanti accessi di rabbia che lui aveva nei suoi confronti, non ci sono nei confronti di Elena, con cui ha un rapporto quasi di sudditanza, data la sua giovane età. Si intenerisce, anche, di fronte all’ingenuità con cui lei parla dell’amore che nutre nei suoi confronti, della fedeltà: Maria ha una visione disincantata delle relazioni amorose. Non esclude che ci possano essere avventure, e da una parte e dall’altra. Aveva pure visto il marito in compagnia di un’altra donna durante il loro matrimonio. “L’illusione è alla base dell’amore”, risponde a Elena, sentendola parlare. Arriverà a conoscerla di persona: – Avevo bisogno di conoscerti, le dice. – Perché? – Per essere libera . Rita, Elena, Maria, sono tutte donne che per la legge del microchimerismo maschile, conservano il DNA di Pietro, avendo fatto l’amore con lui. Donne “rivali”, nel senso pieno dell’etimologia del termine: “Rivale viene da rivus, ruscello, chi spartisce con altra persona l’acqua del medesimo ruscello…” “Chi sarebbe il ruscello? Pietro? E lei e io due pietre (anche l’ironia del nome) bagnate dalla stessa acqua in due punti diversi del percorso?”, chiede Elena alla madre, cui racconta di avere conosciuto l’ex moglie del compagno. Madre che non aveva mai lasciato il marito, nonostante lui la tradisse con altri uomini, al punto da morire di Aids. La Comencini allarga il suo sguardo alla generazione della madre di Elena, e a quella dei genitori di Pietro e di Maria: sono donne che hanno invece tenuto in piedi le facciate dei matrimoni, sopportando le infedeltà dei mariti, per i quali erano donne “necessarie, ma non sufficienti”. E la chiave per mandare avanti matrimoni di questo tipo, risiede proprio nella non conoscenza: “Ci sono cose che è meglio non sapere mai”, o fare finta di non sapere, ignorandole del tutto. Cito allora Sandor Marai, che ne “ La donna giusta ” scrive: “In ogni vero uomo c’è una certa ritrosia, come se egli volesse precludere una parte del suo essere, della sua anima, alla donna amata, come se le dicesse: “ti concedo di arrivare fino a qui, mia cara, e non oltre. Ma qui, nella settima stanza, ci voglio restare da solo”. Le donne stupide impazziscono di rabbia. Quelle intelligenti si intristiscono, si lasciano prendere dalla curiosità, ma alla fine se ne fanno una ragione”. Il confronto tra le rivali porta allora ad una solidarietà tra loro, e ad un allontanamento dalla loro vita di Pietro, di cui viene fuori tutta la fragilità e l’inconsistenza. Diventeranno donne che trovano in se stesse la loro integrità e la loro forza. Scriveva Camus ne “La morte felice”: “Non aspettarti la vita da un uomo. Per questo tante donne s’ingannano. Aspettala da te stessa.” Bel romanzo, scritto dalla Comencini con uno stile diretto, asciutto. Si evince una conoscenza profonda della psicoanalisi da parte dell’autrice, che scandaglia minuziosamente e impietosamente le sfaccettature più intime di tutti i personaggi.

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(fonte immagine: web)