Recensione di Guglielmo Peralta

25/01/2025

  Sarà come non fossimo mai stati è il titolo di una poesia di Neruda che dà il nome a questa silloge di racconti di Ornella Mallo. Questa scelta del titolo nerudiano, oltre a rivelare la passione della Mallo per la poesia, fonte della sua scrittura e del suo vivere poeticamente, suggerisce fin dall’inizio il tema centrale del ricordo e della morte, che conferisce all’opera una pregnanza malinconica: travaso di un’anima sensibile che, oltre a prendersi cura dei propri affetti, dei rapporti interpersonali, si preoccupa di conservare vivi i ricordi dell’età dell’infanzia e dell’adolescenza, di rivivere i sentimenti condivisi con le persone più care, ed è incline alla meditazione, a interrogarsi sul senso della vita, sul destino ultimo dell’uomo e del mondo. È una narrazione complessa e varia, che si sviluppa a partire dal pensiero dominante dell’oblio, ovvero, della perdita di quella “corrispondenza di amorosi sensi”, di cui parla Foscolo nel carme “Dei Sepolcri” e che è quel legame intimo tra chi rimane in vita e il defunto, che consente di non sparire del tutto, di continuare a vivere nel ricordo dei propri cari. La morte senza il ricordo degli altri, non è solo il dissolvimento del corpo, ma l’annichilimento della stessa esistenza, la negazione della propria nascita. Da qui il titolo di questa raccolta. Nella società odierna, sottolinea la Mallo, l’indifferenza, la “mancanza di attenzione verso l’altro” genera grande sconforto e una solitudine profonda nelle persone fragili, nelle donne, negli anziani, negli stranieri. L’egoismo, la “mancanza di comunicazione e di solidarietà”, l’abbandono, il “fallimento del rapporto di coppia”, l’isolamento dei poveri cristi, bisognosi d’aiuto, di attenzione, sono i mali di questo tempo spiritualmente sempre più povero e sono bene affrontati, rappresentati in Ci prendono per navi e siamo isole, in Bianca, in Xenia: racconti che hanno come protagonisti questi diseredati, questi delusi dalla vita. Il male di vivere montaliano, che ha il correlativo oggettivo negli oggetti concreti che rimandano a concetti astratti, all’universalità del dolore, della sofferenza che riguarda non solo gli uomini ma anche gli animali, la natura, le cose, e dal quale ci si può difendere prendendone le distanze mediante la “divina Indifferenza”, qui, è il male sociale, che ha proprio nell’indifferenza verso l’altro il suo correlativo, la sua causa oggettiva. L’antidoto a questa tragica e angosciante condizione esistenziale è l’amore, presente in tutta la silloge, anche là dove si avverte maggiormente la sua assenza; dove esso è “lo spiraglio, quel fondo di bontà presente in ogni essere umano”. L’amore può consolare, garantire continuità di vita oltre la morte e infondere nel cuore la capacità di perdonare. In Celeste, la protagonista, una ragazza di sedici anni, angelo assurto in cielo, nega di essere stata annegata nel lago dal fidanzato giudicandolo innocente. Ella esclude che sia stato lui a commettere un’azione così nefanda – (“le tue mani, così generose di carezze, non possono avere fatto questo”) – e non vede l’ora di riabbracciarlo in cielo. In questo nostro tempo, in questa società sempre più priva di valori, caratterizzata da conflitti, incomprensioni, odio, disamore… il perdono ha un potere trasformativo, può liberare il cuore da ogni rancore e risentimento migliorando, trasformando noi stessi e il mondo.   Al tema del ricordo e della morte si lega fortemente l’amore. La memoria è resurrezione ed è morte. Il “tempo ritrovato”, nonostante l’ottimismo proustiano, è un’illusione. Ciò che abbiamo vissuto riceve dalla memoria una seconda morte, dopo quella resa dal trascorrere inesorabile del tempo. Perché la nostalgia, che si accompagna al ricordo, ci restituisce l’amara consapevolezza di quella perdita irreparabile, paragonabile a quella generata dall’oblio. Paradossalmente, con la memoria sparisce il miglior tempo. È come se non l’avessimo mai vissuto. Assai doloroso, altresì, – osserva la Mallo – è il ricordo di quei momenti felici, quando siamo particolarmente angosciati. Perché alla nostalgia segue “la struggente consapevolezza di non poter tornare indietro”. Ci coglie, allora, una dolce sofferenza, che suscita un profondo senso di saudade, perché ciò che abbiamo amato risveglia il desiderio di un’impossibile riconquista. E non ci resta che abbandonarci alla Sehnsucht : al doloroso bramare, che Heidegger definisce “il dolore della vicinanza del lontano”, ovvero, dell’irraggiungibile, in quanto definitivamente perduto. Siamo l’ombra che abbiamo attraversato. Esistiamo solo nella quotidianità di un abbraccio, di una verità, di un dolore, di un’illusione; siamo marionette, maschere tra le maschere sempre in attesa di una rivelazione, di qualcosa che ci gratifichi, che ci sveli agli altri e a noi stessi, in frenetica corsa col tempo che ci sopravanza in eternità e permea la nostra esistenza; implacabile e tuttavia di una “preziosità” che va compresa “per impiegarlo in modo umano”, per fermarlo e colmarlo di tutto l’amore che possiamo e che sapremo donare. Dice Thich Nhat Hanh: “La nostra casa è qui e ora. Vivere l’istante presente è un miracolo”. E un miracolo è l’amore. Esso solo può consentirci di realizzare una vita autentica, aderente alla nostra intima essenza, che è sorgente creativa e, al tempo stesso, oggetto d’indagine in questi racconti. Scrive la Mallo: “L’amore prodigato torna comunque, in qualsiasi forma, e ci offre un bel modo di essere felici”, intendendo con ciò la possibilità che esso ci dà di metterci a nudo, di svelarci lasciando cadere le maschere, di vincere il senso di vuoto e di solitudine generato, soprattutto, dalla “mancanza di attenzione verso l’altro”, nonché di compensare la nostra incompiutezza e imperfezione con la bellezza del fare, di creare, che è fonte di verità e perfezione. Tutta la scrittura della Mallo è un viaggio spirituale, un percorso personale e unico, che ella compie esplorando, perlustrando la “vita interiore” e ascoltando sempre la voce della sua anima. La quale le dà piena consapevolezza di quanto sia importante praticare l’arte socratica della maieutica, ossia, di “tendere la mano sempre all’altro, cercando di cogliere quanto di buono c’è in lui, e aiutandolo a risalire in superficie”. Questo ripiegarsi della Mallo su sé stessa, che è un aprirsi all’altro, caratterizza la seconda sezione della silloge – Diario – dove la narrazione si fa più autobiografica ed “epistolare”. Qui, ella si rivolge alla madre, della quale avverte la “presenza silenziosa” dentro di sé e nei propri figli, ai quali ha trasmesso i valori ricevuti da lei fin da bambina. E ai figli esprime tutto il suo affetto invitandoli a vivere intensamente, a “perseverare nell’amore” che solo può “dare un senso alla vita” e “un equilibrio stabile”. Dolci parole, inoltre, rivolge alla “cara Palermo”, personificata, di cui elogia le bellezze naturali e la sua capacità di donare amore nonostante gli stupri subiti dai suoi “stessi figli”. In virtù dell’amore tutto risorge. In Xenia, anche le statue ri-vivono restando mute; “hanno occhi umani […] ascoltano i pianti degli uomini. Li accolgono, li com-prendono: com-patiscono”. Vedono la vita che le circonda e pulsa dentro di loro. Anch’esse un tempo vive nel concepimento dell’artista, nate dalle sue mani. Così l’amore ci rende le sue epifanie. E ci stupisce.   C’è un pre-testo prima di questi racconti. C’è un raccontarsi prima di raccontare. Un mondo immaginario cancella e determina la realtà, si sovrappone al ‘vissuto’ rendendolo accettabile, appena sopportabile. Tutto è vacuo e inafferrabile. “Non si possiede niente, all’infuori di sé stessi”: è questa la ‘lezione’ della Mallo, la tragica verità che ha i nomi dell’ incomprensione, dell’indifferenza, dei “mutismi”, della solitudine, delle convenzioni sociali e delle norme morali all’interno di una società ancora maschilista che vuole la donna sottomessa e costretta a un legame indissolubile, per cui “la famiglia deve restare unita” al di là del bene e del male, degli abusi, delle mortificazioni, delle violenze fisiche e psicologiche, dei tradimenti. Sono racconti di vita: della quotidianità, dell’anima, del profondo, dell’esserci e dell’essere intimamente congiunti, compenetrati nella ricerca della verità, del bene comune, della com-prensione, dell’accoglienza e dell’interrelazione tra gli umani, senza distinzione alcuna, e degli uomini con la natura, con l’ambiente. “Storie di vita”, “Diario”, “Favole” sono le sezioni di questo libro incantato, che incanta con la scrittura. Perché poetica-mente vive e scrive la sua autrice. Per non dimenticare, per cogliere le epifanie “dalle profondità della nostra mente”, dove naufragano i ricordi, da dove emergono “evocati da un suono, inalati come profumi, balenanti come immagini nitide, nette, prepotenti”. Sono questi momenti, legati alla memoria involontaria e definiti da Proust intermittenze del cuore, che consentono alla Mallo di ritrovare nell’ondoso cammino dell’esistenza, tra il dolore e le ferite immancabili, la gioia e le dolci illusioni, gli attimi di felicità, necessari per superare i timori, i patimenti, i sensi di colpa; per lottare contro “tutto ciò che ci colpisce, che ci ferisce, che guardiamo” con tolleranza e rassegnazione; per rispondere alla propria coscienza sostenuta dall’amore e ridare senso alla realtà contro la falsità, le apparenze e la finzione. Trasgressiva, di denuncia, controcorrente e, al tempo stesso, di conciliante attesa di un futuro condivisibile è la scrittura della Mallo; mai consolatoria e remissiva a fronte di una società violenta e inaridita, che ha prosciugato e dissolto i valori tradizionali, priva delle virtù teologali, di assoluta mancanza di pietà e di cura per lo ‘straniero’, per i deboli e i diseredati, lontana anni luce dal ‘venerare’ la donna: la mirabile visione, l’angelica creatura, un tempo lodata, glorificata, celebrata dal canto dei poeti. La poesia, che permea questi racconti, è l’anima narrante della Mallo, la quale, fin da bambina in simbiosi, in unione intima con la natura (“ero un tutt’uno con l’azzurro del cielo e del mare”), crede ancora nella favola bella della vita, suffragata dall’amore. In questo nostro mondo sempre più povero spiritualmente perché sempre più evoluto tecnologicamente, alla favola si è sostituita la realtà virtuale che condanna l’uomo alla dipendenza da Internet, “dal giudizio altrui”, all’omologazione. Forte, allora, è il richiamo all’autodeterminazione, all’individualità, all’ascolto della propria vita interiore, a scrutare dentro sé stessi, a prendersi cura di sé distinguendosi dalla “massa” .   Tra luci e ombre, tra bontà e cattiveria, si muovono i personaggi sul palcoscenico della natura che ne “riflette, dandone risonanza, gli stati d’animo”. Ed è nelle tenebre, nel buio più profondo che si apre “uno spiraglio di speranza”: “quel fondo di bontà presente in ogni essere umano”, che può consentire a ciascuno di aprirsi all’altro, di “superare le distanze”. Qui, l’amore per il prossimo è fortemente dichiarato dalla Mallo, la quale dall’esperienza del dolore, dai patimenti, dalla sofferenza ha appreso la gioia e l’importanza di “vivere verso”, di realizzare una più compiuta e soddisfacente esistenza raggiungendo quello stato “profondo di umanità” in grado di trasformare la sua vita “da particolare a universale”. In questa ampia sfera del più nobile dei sentimenti è inscritto, oltre all’amore per la famiglia, per i figli, anche quello per gli amici, per le persone care, sincere, confidenziali (i “Tu” della mia vita) della cui presenza la Nostra sente di non potere fare a meno. Per lei l’amore non ha limiti; permea l’universo, “move il sole e l’altre stelle”. In Notte stellata, ispirandosi alla “visione dantesca”, ella immagina che “la Terra ruoti intorno al sole perché ne è innamorata” e che il sole, a sua volta, la ricambi abbracciandola e baciando “ammaliato” le sue “facce sempre diverse”. Un altro “palcoscenico” è Palermo: “una bellissima donna delusa dai suoi amanti, e madre al tempo stesso”; porta del paradiso, accogliente una umanità varia proveniente “dai Sud di tutto il mondo”, e “Ade” per quelle “anime in pena” ammassate sull’autobus 101 che, simile a “Caronte”, le conduce per i dolenti gironi della città, dalle tante risorse e contraddizioni. Figurano accanto a Palermo i luoghi della memoria, della spensierata giovinezza: Mondello, Capo Zafferano e il golfo di Sant’Elia. I ricordi e gli affetti sono il cammino e le tappe essenziali di questo libro dell’anima; essi si amalgamano con le speculazioni sull’essenza del vivere, sul senso della vita, sul destino degli uomini e del mondo. Dall’introduzione alla conclusione, la Mallo procede con una prosa poetica che conferisce leggerezza all’intera raccolta rendendo la lettura agevole, piacevole e fascinosa. E ciò per effetto dell’amore della nostra poetessa per la parola, che nasce innamorata perché frutto del sentimento della bellezza, la quale se-duce anche il lettore. Arricchiscono questo libro, dandogli ulteriote lievità, le citazioni da poeti, artisti e scrittori messe in esergo a molti racconti. Esse costituiscono nell’insieme una costellazione, una mappa di stelle felicemente e opportunamente scelte, che rivelano le esperienze culturali della Mallo, il suo amore profondo per la poesia e per la bellezza, la quale è la luce della sua scrittura e ne segna il cammino.