di Roberto Picone 25/03/2023

Chi ama la poesia non può che essere grato a chi la produce, donandola come un figlio appena partorito dopo un lungo e spesso doloroso travaglio. Ogni poeta ha davanti a sé il foglio bianco, perché la poesia non può che essere scritta, fissata, pur dopo mille tentativi, una volta e per tutte. Ornella Mallo fa questo, e lo fa “estraendo” i propri sentimenti e le proprie esperienze per consegnarle al lettore. Chi è il “tu” a cui scrive? A volte sembra facile identificarlo nel destinatario del componimento, ma a ben vedere ci accorgiamo che quel tu è ognuno di noi. Che senso avrebbe accostarsi a una poesia che non ci riguardi direttamente e personalmente? Se la poesia vuole vivere deve comunicare emozioni che nascono nell’autore ma inevitabilmente finiscono con l’appartenerci. Ovviamente, non sempre e non per ciascun verso ci sentiamo chiamati in causa, ma pian piano comprendiamo che l’avventura del leggere è quella della scoperta. Scoperta di chi ci parla e scoperta di noi, del nostro passato, della nostra vita. Per raggiungere questo traguardo, che sembra allontanarsi ogni volta che ci crediamo ad un passo dal tagliarlo, occorre coltivare ogni parola. Ornella lo fa con un linguaggio apparentemente semplice, ma in realtà denso di metafore, assonanze, echi della sua formazione classica e delle sue tante letture, da Omero all’amato Ungaretti. Così riscopriamo la tenerezza dell’infanzia, l’amore per i propri cari, la malinconia per ciò che è stato e non può tornare, la delusione per gli inganni d’amore, la forza per guardare ancora e sempre avanti. Tutto questo non ha i tratti dello sfogo autobiografico, ma la sublimazione della distanza che non disconosce il proprio portato esistenziale, però lo trasforma in messaggio erga omnes. Leggere (e rileggere) questo volumetto è perciò un dono che facciamo anzitutto a noi stessi, in attesa della prossima silloge che speriamo possa raggiungerci presto.