Roberto Saviano è universalmente noto per il best seller “Gomorra” scritto nel 2006, con il quale ha portato allo scoperto la rete con cui la camorra ha occupato tutti gli spazi possibili a Napoli, in Italia, nel mondo per ottenere il controllo dei rami più redditizi dell’economia. Da Gomorra è stato tratto un film e una serie TV (tra le più belle prodotte in Italia), mentre le minacce di morte hanno costretto Saviano a vivere sotto scorta.

Se Gomorra si configura (volendo utilizzare le etichette) come autofiction e il successivo “Zero zero zero” come un saggio sul traffico internazionale della droga, con “La paranza di bambini” del 2016, Saviano approda (finalmente) al romanzo.

Nella “paranza” Saviano si immerge nuovamente nel ventre di una Napoli che conosce bene, quella della lotta per la conquista delle piazze di spaccio della droga per descrivere il fenomeno emergente di gruppi di giovanissimi (le paranze dei bambini, appunto) che pur di avere tutto e subito (soldi, potere, donne) non esitano a competere con la camorra anche a rischio della propria vita.

La storia del protagonista Nicolas Fiorillo, detto Maraja, non risparmia al lettore scene di un crudo realismo, fino al tragico finale, frutto della fantasia dell’autore ma perfettamente verosimili nell’ambiente delineato. Pugni nello stomaco del lettore o, come diceva Kafka, un’ascia per rompere il mare ghiacciato che è dentro di noi.

Chiudo con una curiosità: il capitolo in cui la “paranza” del Maraja arriva al culmine del suo potere, prima di precipitare nel baratro del sacrificio degli innocenti, porta un titolo (Andiamo a comandare) che la banalità del consumismo quotidiano ha trasformato in hit musicale da consumare e gettare via.

Fabrizio Vasile