Dall’otto settembre al venticinque aprile: dalla disfatta alla liberazione.

Nell’ora della disfatta alcuni italiani decidono di resistere subito alla occupazione tedesca. Poche migliaia: molti per un Paese senza rivoluzione borghese e senza Riforma, che esce da venti anni di regime poliziesco. Altrove, in Francia, in Polonia, nel Belgio, in Olanda, la Resistenza appare dopo mesi di occupazione, dopo una cauta- preparazione, in certo senso importata dagli emissari dei governi in esilio; in Italia la preparazione della minoranza antifascista e il suo esilio durano da venti anni, non c’è un giorno da perdere.

Gli italiani che decidono di resistere si cercano e salgono in montagna nel volgere di poche ore. Può sembrare un miracolo: « era la chiamata di una voce diffusa come l’aria », dirà Duccio Galimberti, « era come le gemme degli alberi che spuntano lo stesso giorno ».

Ma miracolo non è, la minoranza del settembre è l’avanguardia di una Resistenza che ha radici profonde e lontane: nelle fabbriche, nei campi, nelle università, nelle prigioni, tra fuorusciti, dentro l’esercito fascista, dentro il fascismo, energie spesso ignote le une alle altre, ma complementari, figlie della stessa volontà di sopravvivere, di non cedere. I primi ribelli muovono contro la corrente della disfatta, in certe valli se ne ha la rappresentazione fisica, essi le risalgono mentre i reggimenti dell’esercito in rotta le abbandonano. Racconta Giorgio Bocca che gli ufficiali di complemento del 20 alpini vanno a formare la prima banda in val Grana: all’imbocco, in un bosco, càpitano nell’accampamento di una batteria d’artiglieria alpina che sta sciogliendosi, polvere rossastra fra i castagni, urli, bestemmie, muli scalpitanti, solo un ufficiale effettivo seduto vicino al fuoco da campo. « Viene su con noi? ». Li guarda. « Con voi chi? ». Non c’è tempo da perdere per spiegare a chi, forse, non vuole capire. Gli ufficiali di complemento caricano di armi una carretta, l’ufficiale effettivo li lascia fare: è l’immagine degli sfiduciati che scendono alla pianura, scrive Luigi Longo.

Mentre sulle strade passano le colonne dei tedeschi occupanti e il gregge dei nostri soldati è in fuga, subito si organizzano gruppi di resistenti armati, dal Piemonte all’Abruzzo, subito in ogni provincia italiana nuclei di resistenza, migliaia di persone che nascondono un’arma, decidono di resistere.

E la Resistenza del settembre nasce dall’incontro fra il vecchio e il nuovo antifascismo. I due fiumi, divisi per anni dal sistema poliziesco del regime, confluiscono. Il vecchio antifascismo dell’esilio, della cospirazione, del silenzio e sdegno che ha opposto al regime un no di principio, rifiutandone l’esperienza; e il nuovo antifascismo, nato dentro il fascismo già al potere dopo aver partecipato e capito. Il primo orgoglioso delle sue storiche benemerenze della lunga lotta: 4471 condannati dal Tribunale speciale 28 115 anni di carcere (23 000 dei quali scontati dai comunisti, nerbo dell’opposizione) e ottomila internati, quindicimila confinati, centosessantamila ammoniti, diecimila emigrati; più i morti, a cominciare da Gramsci, Gobetti, Amendola.

Il secondo persuaso di rappresentare nel 1943 lo spirito insofferente della maggioranza, passata per tutte le delusioni.

L’incontro, impossibile fino all’agosto del 1943, avviene nel settembre, nell’ora della disfatta, quando nel vuoto di ogni potere i giovani che vogliono resistere cercano l’antifascismo militante, si aggrappano ai suoi nodi, ne aspettano ordini e consigli, vanno materialmente alle sue case e ai suoi uffici. E dove c’è un vecchio antifascista pronto a salire in montagna lo seguono, dove è già salito lo raggiungono.

Mentre la minoranza armata sale in montagna,  nelle città si formano i nuclei della Resistenza politica che sarà il tessuto connettivo della ribellione, l’unico legame fra le bande armate nei primi mesi. I Comitati di opposizione interpartitici, si trasformano in Comitati di liberazione nazionale, CLN, come si è definito il Comitato romano in una riunione svoltasi poche ore dopo l’armistizio in un alloggio di via Adda, presenti Ivanoe Bonomi (indipendente), il liberale Casati, il democristiano De Gasperi, il comunista Scoccimarro, il socialista Nenni, l’azionista La Malfa. Nell’atto costitutivo del CLN essi scrissero: « Nel momento in cui il nazismo tenta di restaurare in Roma e in Italia il suo alleato fascista, i partiti antifascisti si costituiscono in Comitato di liberazione nazionale per chiamare gl’italiani alla lotta e alla resistenza e per riconquistare all’Italia il posto che le compete nel consesso delle libere nazioni.»