“Mamma, sono stato colpito da un proiettile all’addome mentre ero in mensa”. Sono le parole che Fancesca  Mandalari si ritrova nella segreteria del suo telefono. E’ un messaggio da parte del figlio Giuliano Giambruno, militare dei parà, che getta nel panico e nell’angoscia un’intera famiglia.

Questo è, però, solo uno dei tanti casi di “male militare” che in qualche modo viene fuori dal muro di gomma che circonda le forze armate; un muro che non respinge, ma assorbe proprio come un giubbotto anti proiettile.

Giuliano Giambruno è un ragazzo di poco più di vent’anni, campione italiano di Enduro con la fissa della divisa militare. Uno dei tanti giovani italiani che vedono in questa divisa, oltre all’amore per la propria patria, anche uno sbocco al proprio futuro. Decide di arruolarsi a diciotto anni come vfp (volontario in ferma prefissata).

E’ mattina e Giuliano ha appena finito di svolgere il suo turno di guardia presso il deposito munizioni di Rappolano Terme, in provincia di Siena, quindi si dirige verso la mensa. E’ seduto assieme ad altri commilitoni, quando sente un dolore enorme all’addome che lo fa accasciare per terra. Cosa succede? Succede che un suo superiore, un sergente, mentre é nello stesso corridoio, decide di scaricare la sua pistola di ordinanza, non accorgendosi che nell’arma era rimasto il colpo in canna.

E’ un attimo, il dito che preme sul grilletto e il colpo che parte verso il pavimento, colpendo rimbalzo il giovane parà. Giuliano riceve i primi soccorsi dai commilitoni, mentre il sergente autore dello sparo si allontana, probabilmente preso dal panico.

Intanto, il tempo passa e le condizioni di Giuliano diventano sempre più critiche. Ritorna anche il sergente, il quale, fattosi prestare una macchina, decide di portare il ragazzo da un suo amico medico e di lasciarlo da solo nelle mani del sanitario. Il medico cerca di fare quello che può e decide di portare Giuliano in ospedale, dove viene operato di urgenza. Nel frattempo, l’sms parte dal telefono del giovane e arriva a quello della madre che, entrata in fibrillazione, comincia a chiamare il figlio senza avere risposta.

Solo dopo qualche ora Francesca Mandalari riceverà la telefonata di un superiore di Giuliano che, qualificandosi come capitano, cercherà di rassicurarla dicendole che é una cosa leggera e che nel giro di qualche ora tutto si sarebbe risolto.  Ed é soltanto dopo molte ore che Francesca verrà richiamata per sapere che il figlio sta bene. Alle ventuno, la mamma del parà si imbarcherà su un volo per Roma per cercare di capire cosa è successo al figlio. Chiaramente, i vertici militari cercheranno di convincerla che quanto sucecsso non è stato così tanto grave.

Passa del tempo e Giuliano, però,  non guarisce. Addirittura non può indossare alcun tipo di pantalone, eccetto le tute, perché l’operazione non è andata così a buon fine. E’ Francesca che decide di rendere pubblica la vicenda scrivendo una lettera a Tiscali.it in cui racconta tutto, anche perché, a quasi un anno dall’accaduto, non si ha alcuna notizia degli eventuali provvedimenti che la giustizia militare ha deciso di intraprendere per tutelare il giovane parà e punire il sergente autore del misfatto.

Tra le altre cose, un anno di convalescenza ha fatto si che Giuliano perdesse l’idoneità per sostenere l’ultima prova di un concorso già superato, che di sicuro gli avrebbe consentito un avanzamento di grado in carriera. Di conseguenza, tra qualche mese dovrà lasciare definitivamente il 186° reggimento di appartenenza.

Fare qualche riflessione oggi, alla luce di questi fatti, diventa legittimo, così come è legittimo chiedersi come mai un graduato possa compiere certi atti e rimanere al suo posto. Quale fiducia possono avere i giovani militari nei confronti di superiori, che alla minima occasione scappano? E’ questo proprio il caso di dire: “Oltre alla beffa il danno“.

Liborio Martorana