RECENSIONE DI “MADRES PARALEES”; FILM DI PEDRO ALMODOVAR

di Ornella Mallo 16/11/2021

“Per quanto si tenti di ridurla al silenzio, la storia umana si rifiuta di tacere.” Pedro Almodovar cita Galeano al termine del film “Madres paralelas”, dando così una spiegazione inequivocabile a tutta la narrazione, che riprende, amplificandola, una tematica a lui particolarmente cara, presente in quasi tutta la sua filmografia: quella della maternità. Una maternità che esplode incontrollabile, e che non resta circoscritta al piano intimo, familiare della gente comune, ma che si estende fino alla storia, trasformandosi in ricerca delle proprie origini, per conoscere consapevolmente la propria identità, e collocarla poi nella sua esatta dimensione sociale e spazio-temporale. Entra allora, in questo film di Almodovar, con tutta la sua irruenza, la storia: la protagonista Janis, interpretata da una Penelope Cruz all’apice della sua forza espressiva, cerca un modo per riesumare da una fossa comune i resti del cadavere del bisnonno, assassinato durante la guerra civile spagnola insieme ad altri uomini che si opponevano al regime franchista. Quindi il film ha anche una sua connotazione politica, non solo storica. Per raggiungere questo scopo, la donna si fa aiutare da un antropologo forense, Arturo, interpretato da Israel Elejalde. Tra i due nasce una storia clandestina, essendo l’uomo sposato. Casualmente Janice resta incinta. La gravidanza viene però ben accolta dalla donna, che corona un suo desiderio recondito, e accetta di assumersi tutte le responsabilità del caso, facendo a meno della figura paterna. In sala parto, conosce un’altra mamma deprivata di un maschio al suo fianco: è Ana, interpretata da una stupefacente Milena Smit. Donna molto giovane, non ancora maggiorenne, approda anche lei allo status di madre in modo casuale, anche se per origini diverse: la gravidanza è stata frutto di una violenza perpetrata ai suoi danni dai tre giovani con cui era uscita, che avevano abusato di lei dopo averla drogata. Proprio per questo motivo, per essere stata vittima di uno stupro, la ragazza oppone un rifiuto nei confronti del padre naturale, che viene deliberatamente escluso. Due madres paralelas, quindi, vivono insieme il momento del parto, nel trionfo di una femminilità che taglia fuori il mondo maschile, ammesso solo in un ruolo fecondante, e nient’altro. In questo parallelismo tutto al femminile rientra anche la madre di Ana, Julieta, interpretata da Aitana Sanchez Gijon: personaggio tipico di Almodovar, è una donna che si serve del matrimonio per fuggire dalla famiglia di origine e per realizzare il suo sogno di diventare attrice. Rimasta incinta, si disinteressa della crescita della figlia, adducendo l’alibi del difficile rapporto con il marito, da cui poco dopo essersi sposata, si separa; in realtà è talmente presa da se stessa, che si disinteressa di tutto, anche della politica: “Sono apolitica, mi interessa solo piacere”, afferma nel corso del film. Altra madre senza padre è la madre di Janice, che muore giovanissima dopo avere affidato la propria figlia alle cure della propria madre. Da qui, la ricerca affannosa, da parte di Janice, del padre della nonna, di cui tanto aveva sentito parlare quando era bambina. Madri, quindi, tante madri, i cui destini si intrecciano senza potersi districare, nella creazione di famiglie tenute in piedi da legami affettivi, e non da legami di sangue.​ Anzi, la sensibilità femminile, così colma di amore, tiene insieme i lembi strappati dall’indifferenza maschile. Il dramma di Almodovar ha infatti un registro “melò” inevitabile, data la sua sintonia col mondo femminile. Ana e Janice non saranno accomunate soltanto dal loro stato di single e dall’avere partorito insieme, ma anche dallo scambio delle loro neonate, per cui l’una porterà a casa la figlia dell’altra. Le due donne vivranno insieme per un certo periodo, e saranno legate da un sentimento saffico, fino a quando non interverrà Arturo a riappropriarsi del ruolo non solo di maschio fecondante, ma di padre che divide con la madre le responsabilità di crescita del figlio. Arturo è l’unico uomo ammesso in questo universo femminile. E avvierà Janice alla scoperta della verità sotto tutti i punti di vista: intanto facendole iniziare il percorso che la porterà a scoprire chi è la sua vera figlia, e poi riesumando i resti del bisnonno dalla fossa comune. Il legame tra loro si rinsalderà e Janice resterà nuovamente incinta di lui. La scena finale, in cui Arturo è disteso insieme ai desaparecidos che aveva cercato, non più come resti, ma come uomini in carne e ossa, dà un senso a tutto il film e chiude i cerchi di tutte le tematiche che il regista ha sollevato durante il suo evolversi: la fossa comune non è che una metafora del grembo materno. Vita e morte, durante tutto il film, si alternano in una sequenza che annulla i confini dell’una e dell’altra, determinando un binomio indissolubile. E la vita prevale sulla morte, così come la verità prevale sulla menzogna. Da qui il detto di Galeano, per cui la storia umana si rifiuta ostinatamente di condannarsi al silenzio, ma emerge trionfante dal buio, e si distende sulla Terra alla luce del sole. Bravissimi gli interpreti, tutti, in una interpretazione corale che ancora una volta conferma la grandezza di Almodovar. La scenografia è piena di colori, secondo il suo stile. E il messaggio finale è positivo e carico di speranza e di ottimismo. Film da vedere. Meritatissima la coppa Volpi tributata, per questa interpretazione, alla Cruz.

(fonte immagine: facebook)

Anzi, la sensibilità femminile, così colma di amore, tiene insieme i lembi strappati dall’indifferenza maschile. Il dramma di Almodovar ha infatti un registro “melò” inevitabile, data la sua sintonia col mondo femminile. Ana e Janice non saranno accomunate soltanto dal loro stato di single e dall’avere partorito insieme, ma anche dallo scambio delle loro neonate, per cui l’una porterà a casa la figlia dell’altra. Le due donne vivranno insieme per un certo periodo, e saranno legate da un sentimento saffico, fino a quando non interverrà Arturo a riappropriarsi del ruolo non solo di maschio fecondante, ma di padre che divide con la madre le responsabilità di crescita del figlio. Arturo è l’unico uomo ammesso in questo universo femminile. E avvierà Janice alla scoperta della verità sotto tutti i punti di vista: intanto facendole iniziare il percorso che la porterà a scoprire chi è la sua vera figlia, e poi riesumando i resti del bisnonno dalla fossa comune. Il legame tra loro si rinsalderà e Janice resterà nuovamente incinta di lui. La scena finale, in cui Arturo è disteso insieme ai desaparecidos che aveva cercato, non più come resti, ma come uomini in carne e ossa, dà un senso a tutto il film e chiude i cerchi di tutte le tematiche che il regista ha sollevato durante il suo evolversi: la fossa comune non è che una metafora del grembo materno. Vita e morte, durante tutto il film, si alternano in una sequenza che annulla i confini dell’una e dell’altra, determinando un binomio indissolubile. E la vita prevale sulla morte, così come la verità prevale sulla menzogna. Da qui il detto di Galeano, per cui la storia umana si rifiuta ostinatamente di condannarsi al silenzio, ma emerge trionfante dal buio, e si distende sulla Terra alla luce del sole. Bravissimi gli interpreti, tutti, in una interpretazione corale che ancora una volta conferma la grandezza di Almodovar. La scenografia è piena di colori, secondo il suo stile. E il messaggio finale è positivo e carico di speranza e di ottimismo. Film da vedere. Meritatissima la coppa Volpi tributata, per questa interpretazione, alla Cruz. Ornella Mallo